![Un impero del cazzo [divagazioni su Shame, di Steve McQueen]](/wp-content/uploads/2015/01/Michael-Fassbender-in-Shame4-240x240.jpg)
Un impero del cazzo [divagazioni su Shame, di Steve McQueen]
di William Dollace La città onnisciente, la città impero, che vigila distratta sulle incombenze delle marionette, che scalda i cuori e i coiti notturni implosi con il sangue sonoro che si fa voce e finestre accese, il brulicare, incessante, del nostro battito cardiaco che si fa similitudine con la suite del compositore Harry Escott, questo è Shame, un pompino disperato a New York. Un imponente trattato sull’urbanistica notturna del...
Cardiocircolazione
di William Dollace Gli scatti di Evan Thompson ci mostrano la vita via via come un’area dismessa in costruzione, da non oltrepassare o da attraversare correndo, le luci che scheggiano come sconfitta contro il tempo, la notte che le canta e le contiene nella placenta di cemento e metallo che è il sogno di una vita: San Francisco. Non c’è disincanto se non appropriarsi del qui e ora, scatto di uno scatto in velocità che elude lo...

La vita in tempo di guerra
di William Dollace “Vivo in uno stato di costante ironia!” [da Happiness] Life During Wartime di Todd Solondz è il racconto insolente del disfacimento delle locandine delle vite di burattini parlanti. Solondz abbatte e celebra in questo trattato antropologico ripiegato sul Cinema la Civiltà di un’immagine dal fetore sgradevole. La superficie patinata di questo festival degli orrori produce una discarica di sorrisi sotto attacco da un...
Innescate considerazioni sul presente, un manifesto
di William Dollace Dopo aver assistito al decesso delle ultime scorie di televisione, emblema dell’infinito intrattenimento pre-web, è umano troppo umano il sorpasso istantaneo del carro funebre televisivo che faccia fuoco sulle corsie d’emergenza, svelando la materia strutturale delle riproduzioni del nostro io seriale e del degrado graffiante dei suoi derivati. Attraverso la lettura delle nostre radiografie dismesse nasce il nuovo...
Gone Girl, di David Fincher
Gone Girl, come uno Yates che esponenzialmente implode nella gabbia che si è costruito, è un orologio perfetto, sincronizzato, un teatro americano smerigliato in cui vanno in scena figli che fanno prestiti ai genitori borghesizzati dalle apparenze e dalle apparenze affossati come carne status da macello, in cui sono i media e i selfie a dare o meno la pena di morte, in cui la vita e la morte sono un gioco calcolatissimo da predoni...