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Le Armoir

Un racconto scritto e proposto da Fabio Lastrucci

Alle sei del mattino i Flic infestavano come piattole il sudicio appartamento di Rue Petrelle, mentre l’ispettore della Sureté si allontanava dai resti della donna sventrata prima che qualche collega ne misurasse il corpo per farlo sparire in un sacco di juta.

L’alba livida di Parigi aveva illuminato da poco la distesa di tetti sottostanti. Dalla finestra dell’abbaino, resa opaca da uno spesso strato di unto e polvere, un raggio sghembo faceva profilare sul muro l’ombra dell’assassino. Uno degli agenti continuava a tormentarsi i baffi a manubrio. Altri interrogavano la portiera dello stabile, alzando la voce e sputacchiandole nell’apparecchio acustico.

Erano tutti stanchi, tutti disgustati.

«Non è colpa mia!» urlava l’omicida dal colorito malsano. «È stato lui, lo Scheletro nell’armadio, è lui che comanda!»

L’Ispettore Guiborg, seduto sul letto coi gomiti poggiati sulle ginocchia divaricate, giocherellò con la tesa del cappello di feltro.

Allungando il mento verso la vittima, indicò lo squarcio spalancato sull’addome che inzaccherava il pavimento di liquidi.

«Già, dev’essere come dici tu, senza dubbio. E delle interiora che se ne fa? È uno scheletro, no? Mica se le mangia…»

Un tremolio scosse l’uomo stretto tra le braccia di due poliziotti. Quando crollò la testa, un filo di bava gli pendeva da un lato della bocca.

«Lo sa solo lui… lo sa solo lui…»

Per un momento Guiborg pensò di fargli ancora qualche altra domanda, ma quel rivoletto di saliva gli fece cambiare idea.

Che se la vedessero i sapientoni dell’istituto di medicina legale.

L’assassino urlante fu trascinato via passando davanti al grande mobile intagliato che occupava mezza stanza, ovviamente vuoto.

Rimasto solo, Guiborg ripensò alle prostitute fatte a pezzi, alla caccia frenetica degli ultimi giorni, alla fortuna di aver rintracciato con una soffiata quell’ebanista impazzito.

Qualche sigaretta dopo, aveva finito di perlustrare la stanza. Non c’era granché da far sparire, una collanina d’oro sottile quanto una promessa, due miseri franchi.

«O io, o quelli delle pulizie…» disse a se stesso arraffando frettolosamente il tutto.

Per scrupolo di coscienza andò a dare un’ultima occhiata all’armadio occupato da polvere e tarli.

Era un catafalco orribile, intarsiato di mostruosità che incorniciavano le ante massicce.

Per quanto squilibrato, l’ebanista sapeva il fatto suo. L’intreccio scolpito di corpi demoniaci e forme inclassificabili era un capolavoro di destrezza e delirio. Senza volerlo, pur provando repulsione, l’ispettore lasciò scorrere il dito sui rilievi di quelle figure abominevoli.

Un’ala sottile terminante in uncini curvi e pungenti.

La schiena irta di vertebre spinose di un incubo antropomorfo.

La faccia di un essere coperto di tentacoli flaccidi e asimmetrici.

Il ventre di una lamia cedette d’un tratto alla pressione con un movimento silenzioso.

Il doppio fondo verticale si azionò da solo, perfetto meccanismo di contrappesi nascosti, per scivolare verso l’alto attraverso una feritoia.

La cicca di Guiborg cadde giù dalla bocca spalancata.

«Cristo!»

Piegato in un groviglio di ossa dalla postura fetale, lo Scheletro inchiodato sul pannello lo fissava imperioso.

Il colorito giallastro striato da venature scure, la lucentezza della superficie, denotavano una vecchiaia smisurata. La forma, un’origine solo sommariamente umana.

«Sai cosa devi fare?» sibilò lo Scheletro senza usare parole.

Era stupendo. Famelico.

«Sì.»

«Fallo adesso.»

«Sissignore.»

Rigido nei gesti, Guiborg chiuse con deferenza il doppio fondo e poi l’armadio per mettersi a frugare nelle tasche della giacca e del panciotto.

Scendendo le scale della mansarda non pensava altro che: dovrei avercelo un serramanico da qualche parte…

Il manico di madreperla del suo Opinel a scatto spuntò da un taschino sfiorandogli i polpastrelli.

Lasciò andare un gemito gutturale.

Non erano ancora le sette. Troppo presto per incontrare delle passeggiatrici, anche in un quartiere come quello.

Pazienza, fece lo Scheletro. Un’insipida maestra di scuola sarebbe andata altrettanto bene.

Per iniziare, almeno.

Fabio Lastrucci

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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