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Buzzcock’s Story

Il discorso di Buzzcock non fa una piega.

Se noi fossimo cimici succhieremmo sangue e se fossimo topi mangeremmo scarafaggi, dice. Ognuno ha la sua utilità nella catena alimentare.

Ciò, sostiene.

Anche se comunichiamo abbastanza, io e lui, non mi ha mai autorizzato in via ufficiale a chiamarlo Buzzcock. Né Cock. Né Buzz. Posso rivolgermi soltanto con un Signore. Sì, Signore. Certo, Signore. Va bene, Signore. Ogni qual volta parlo con lui evinco che è un vero e proprio gerarca. Un convinto sostenitore del rispetto verso il più vecchio e un profondo credente della società a piramide.

Ce lo vedrei proprio bene in un regime totalitario.

Sono diverse ore che vado avanti a osservarlo succhiare la stessa parte di torace della cimice; ogni qual volta provo ad avvicinarmi per rodere anch’io, si solleva sulle zampe posteriori e fa da scudo al suo pasto. Non ci sperare, amico, sembra dirmi con la schiena. Ho fame e non posso farci nulla. Lui è fatto così: con la storia del rispetto del più anziano del gruppo, non divide mai niente con nessuno.

In questo preciso momento ho tanta fame anch’io, lo sai, Mio Caro Buzz?

Lo odio. È un obbrobrio, è una massa depressa simile al rigurgito di un cane. Probabilmente se fossi di fronte a uno specchio mi ci vedrei riflesso alla stessa maniera. Chissà.

Meglio, in fondo, che noi scarafaggi non possediamo specchi.

È più vecchio di me di almeno due covate, e io lo rispetto. Il Buon Vecchio Zio Cock. In mente mi diverto a chiamarlo così. Vecchio Buzz. Zio Cock. Il Buon Vecchio Buzz-Cock. Ha due antenne lunghe, filiformi. Certe volte, quando si mette di profilo, mi danno l’impressione di due canne inaridite dalla calura dell’estate. Le mie non sono ancora a quel livello. Le zampe sono di un nocciola che vanno nell’avana. Il corpo è tozzo, e quando si muove strepita come una foglia morta.

Mette ribrezzo.

Cambio repentinamente direzione. La fame è una brutta bestia. Provo ad andare una volta a sinistra e una volta a destra. Ma lui mica è stupido. Sa proteggere il suo pasto. Così quando non provo ad avvicinarmi al suo cibo, mi stoppo animando le antenne. Sono ore che vibrano, ma niente. L’unica fonte di cibo più prossima è proprio là, a diretto contatto con le mascelle di Buzz.

Attaccato alla sottile corazza, succhia e succhia.

E quando si concede una pausa per rifiatare dall’avido estrarre, Buzzcock continua a illuminarmi, sguazzando nel puro campanilismo. Discorsi banali, da vecchio. Continua a dire: nella catena alimentare, noi scarafaggi siamo i più forti. Pensaci, ragazzo. Mi dice questo, poi lo vedo attaccare di nuovo a mangiare.

E l’uomo, allora?, gli chiedo. Non sono affatto d’accordo con lei, Signore, gli dico. In fondo non sono gli scarafaggi gli esseri più forti. L’uomo domina la Terra da centinaia di migliaia di anni, ed è la punta di diamante dell’intero creato. Ha scoperto il fuoco, ha innalzato edifici di 163 piani, è stato nello spazio. Il potere del linguaggio è la base solida su cui poggia il suo ingegno. L’uomo troverà sempre il modo per non lasciarsi sopraffare. E noi blatte, tutto questo, non lo abbiamo mica fatto?

Buzzcock s’arresta si nuovo, si volta di scatto scandagliandomi con le sue 2000 lenti. È una vergogna il modo con cui voi giovani ignoriate la storia, dice. Noi blatte rappresentiamo il modello ideale, da milioni di anni siamo indistruttibili. Siamo sopravvissute ai dinosauri e quando l’uomo si estinguerà prenderemo definitivamente il suo posto. Dobbiamo soltanto attendere il giorno giusto.

Non vedo il modo, Signore. Non vedo il modo in cui l’uomo possa estinguersi.

Dice: Non lo vedi perché sei un ignorante. Sei un ragazzo, è per questo, dice. Tu lo ignori, sicuramente, ma l’uomo tra le altre cose ha creato pure le armi di distruzione di massa. Quando arriverà finalmente il giorno in cui lui scatenerà la sua stupidità attraverso una guerra nucleare, spazzerà via se stesso e il mondo intero. E sarà allora che noi prenderemo il suo posto. Lo spodesteremo perché sopravvivremo. Siamo longevi. Sappiamo sempre venir fuori da ogni tipo di catastrofe.

Beh, forse, in fondo, non ha tutti i torti, Buzz. È un egoista famelico, ma ha una risposta a tutto e non so cosa aggiungere. Così taccio e vado avanti a invidiare il suo pasto abbondante.

 

Da più di un giorno siamo riparati in questa fessura di muro diroccato. Qui è perfetto perché c’è penombra, e aspettiamo che faccia buio anche fuori per continuare il nostro viaggio. Abbiamo invaso questa casa privata non proprio per cercare cibo, ma per ricevere la Visione della Mecca. Purtroppo, una Zecca, tre giorni fa, all’ingresso della Fogna Centrale, ci ha dato un’indicazione imprecisa. Ci ha suggerito di imboccare una strada che conduceva su per una collina, girare a destra e seguire un sentiero che costeggiava il limitare di un fitto bosco. E noi l’abbiamo fatto. Abbiamo imboccato la strada, svoltato a destra e seguito il sentiero.

Quando ci siamo accorti di esser giunti nel posto sbagliato siamo stati assaliti dalla fame.

La Mecca non deve essere troppo distante da qui, comunque. Buzz, mi ammonisce: Non dobbiamo rallentare per colpa del cibo; se ci fermiamo troppo spesso a mangiare rischiamo di non arrivare mai più!

Che ipocrita! Dice questo dopo che si è ingozzato come un maiale.

I problemi, poi, ci perseguitano. Tanto per cominciare, c’è sempre troppa luce per uscire allo scoperto e fa un caldo maledetto per spostarci da qui e andare in ricognizione. A dire il vero, per gli scarafaggi non sarebbe mai il tempo buono per nulla: per un Pellegrinaggio o per ricevere la Visione. Soprattutto  in questa stagione. Un’estate tanto rovente e così umida non la si vedeva dalla fine del secolo passato. Le spalle di Cock non fanno che ripetermi tutte queste cose.

La settimana scorsa è entrato ufficialmente nei cinque mesi di vita e ora si sente più saggio.

Di solito, quando non è impegnato a elucubrare, prova a esibirsi in brevi voli rozzi: si dà prima un breve slancio, e poi si stacca dal suolo, ma la natura non l’ha dotato di un metodo per volare alto. È goffo.

Sto per capitolare definitivamente da tutti i miei tentativi infruttuosi, quando mi sento improvvisamente investire da un odore zuccherino proveniente dal basso. Le antenne mi vanno subito in fibrillazione. È un’autentica onda piena di aromi. È una gioia profonda. Migliaia di granelli di zucchero m’accarezzano le antenne e mi stuzzicano sotto le zampe. È un canto di sirena e non posso resistere.

Tra poco ucciderò la fame!

Mi lascio scivolare a peso morto lungo l’intercapedine producendo un sordo fruscio; anch’io rammento, in questo preciso momento, il morto mormorio delle foglie cadute e spazzate dal vento. Zucchero, zucchero, e ancora zucchero. Non riesco a smettere di pensare alla bella scorpacciata che mi farò non appena avrò qualcosa che mi capiti a tiro.

Dopo alcuni istanti anche Buzz si stacca dalla preda e lasciandosi cadere a peso morto si mette al mio inseguimento. Mi grida, come un ordine categorico, lo scopo per cui siamo in viaggio: Siamo qui per la Visione!

Bastardo fascista!

L’obbrobrio è il solito Dittatore. Tiranno, Oppressore, Duce! Insultare un fascista non è reato! Lo sai almeno questo? Non appena giungiamo in vista del grosso pezzo di biscotto, apre il suo abbozzo di ali, prende una piccola rincorsa e si produce nel solito volo irregolare.

Sembra un aereo che perde quota per un’improvvisa avaria.

Non pensarlo nemmeno, dico io tra due mascelle digrignanti. Col cavolo che t’ingozzerai di nuovo! Accelero fino al punto di esibirmi in diversi scatti fulminei, non rettilinei e mi avvento su una delle briciole prima che nel nome della legge del più forte se ne appropri ancora lui. Quando finalmente schiaccio il muso contro la superficie ruvida, attaccandomi allo zucchero, sento che il cibo è una vera benedizione! Dopo un po’ avverto la sua presenza alle mie spalle: è un’ombra. Dice di tenermi a distanza dal pasto. Poi tenta di scostarmi, fa forza sulle zampe. Col cavolo che mollo la mia preda, Nazista! In questa precisa circostanza pure Darwin avrebbe avuto da ridire qualcosa, mio Caro Obbrobrio! Se la natura è crudele, la blatta civile si distingue per l’idea che gli insetti più deboli meritano aiuto dai forti e dall’intera società civile!

Il rispetto degli anziani, continua a persuadermi lui col solito tono austero, da vecchio. Non lo dimenticare, dice, e tenta ancora di scostarmi da una parte.

È l’essere più avido che conosco. Rimango con la faccia attaccata al dolce e non mi sposto nemmeno di una virgola, se ci tiene a saperlo.

Il rispetto per gli anziani, insiste lui.

Non lo so, Signore, dico; non sono troppo convinto di questa storia del rispetto.

Se non ti scosti subito, potresti anche pentirtene.

Meglio pentito che morto di fame, gli dico. Se non fossi una Blatta Orientalis, e se la faccenda del Santo non mi fosse stata a cuore, a quest’ora sarei già volato via! E succhio, succhio come non mai. Non penso di staccarmi dal biscotto. Voglio succhiarlo con avidità.

In fondo Buzzcock è fortunato; se non avesse trovato me come compagno di viaggio, probabilmente non sarebbe mai andato alla Mecca.

 

In serata ci rimettiamo in cammino. Il sole è basso, finalmente. Dietro l’orizzonte è meno di una attenuata striscia opaca, e non fa più caldo. È un orrore, il sole. Mi ripugna quasi quanto il mio compagno di viaggio.

A metà di un sentiero notiamo un calabrone gigantesco, impassibile e nero come la notte, passare sopra le nostre teste. È un nero elicottero. Vola basso e regolare, e ci passa accanto a pochi centimetri. Buzzcock richiama la sua attenzione con un impacciato frullio di ali. Io non ci tengo ad attirare la sua attenzione, così mi stoppo.

Il calabrone blocca il volo e si accascia a terra con un colpo sordo. Poi si avvicina. Il rumore delle sue zampe a contatto col selciato mi fanno correre brividi lungo la schiena. A dire il vero pure la sua testa fa paura: una palla irregolare e corazzata. È talmente nero che sembra un pezzo di notte staccatosi dal cielo. Resta a fissarci, con la faccia di pietra, giusto il tempo di una domanda: Quanto manca per la Visione?, gli domanda Cock.

Dobbiamo attraversare soltanto un appezzamento di erba, e siamo arrivati, ci spiega il mostro nero. Lo osservo sollevarsi ancora una volta in volo, con un sordo stridere di ali. Forse Buzz ha ragione, in fondo. Noi insetti siamo migliori. La natura ci ha rifornito di elicotteri senza alcun bisogno di ricorrere alle prove d’ingegno dell’uomo.

S’allontana, e noi ci rimettiamo in cammino.

Dopo un vasto giardino pieno zeppo di erba incolta, giungiamo in vista di una bassa costruzione in legno.

La Mecca.

La visione della Casa Bianca riempie il Buon Vecchio Cock d’emozione. Non siamo più soli, ora. Davanti a noi, un’ampia e informe massa scura brusisce di centinaia di specie in movimento. È la Woodstock di tutti gli insetti. Ronzano tutti intorno al grosso Cubo. È un bello spettacolo, ma me lo sarei gustato meglio con la tranquillità della perfetta solitudine.

Sono un entomofobo, l’avrete capito.

Odio i miei simili.

La vista degli altri insetti, contrariamente a me, colma Zio Cock di una profonda emozione. Lo evinco non solo dal fatto che, ad un certo punto, si stacca da me e si mette a frullare le ali come un bacherozzo alle prime armi; ma anche dal fatto che le sue antenne vibrano come rami rinsecchiti sotto l’azione del vento.

È pazzo di gioia.

Signore, la prego. C’è troppa confusione. Ci si rischia di perdere tra la folla, gli dico. Ma lui nemmeno mi sente. Continua a restare estasiato dal momento.

Poi l’inevitabile, succede. Senza preavviso alcuno. Lo perdo tra la folla. Nell’estesa massa diventa inutile ogni tentativo di cercarlo. Mi dirigo, repentino, a scatti fulminei, a destra e poi a sinistra. Ma niente, non lo vedo più. Ci sono sin troppi insetti, qua in mezzo. Lo chiamo. Urlo: Signore! Signore!

Anche in una circostanza del genere, credo, mi è proibito chiamarlo per nome.

 

Dopo più di un’ora sono ancora qui, in mezzo a questa folla immane. Mi dibatto per trovarlo, fino a quando un millepiedi mi bisbiglia che devo fare silenzio. Tra poco il Predicatore Marrone reciterà il Verbo. Lo guardo e faccio silenzio. È un treno molliccio con piedi in fibrillazione.

Mi blocco e smetto di cercare Buzz.

In breve scende un silenzio profondo. Tutto è immobile, innaturale. Niente frullii d’ali o inutili ronzii. Tutti gli sguardi degli insetti sono rivolti verso il medesimo punto. Il Predicatore è salito da poco sulla veranda. Alle sue spalle c’è la grossa scatola bianca, col serpeggiante tubo luminescente nel mezzo. Il Cubo Sacro. Il Predicatore è un grosso maggiolino, marrone come il guscio di una noce. Si concede una lunga pausa che sembra non finire più, ed ecco che solleva bene in alto le sottili zampe e attacca con la parabola:

Una notte, il Figlio del Signore si mise di nuovo a insegnare presso la Mecca. Una gran folla si radunò intorno a lui. Perciò Egli, montato sulla foglia più larga e dal picciolo più lungo, s’alzò in modo che la folla, dal basso, potesse osservarlo meglio. Il Figlio del Signore insegnava loro molte cose e diceva loro nel suo insegnamento:

“Ascoltate: lo scarafaggio uscì nella notte ricca di stelle e quando vide un bagliore sulla sua testa spiegò le ali e volò su in alto per svariati metri; e mentre volava diventò cosciente che il bagliore s’avvicinava sempre di più. Quando si lasciò investire, il bagliore divenne agitata e colorata incandescenza e seppe di esser diventato Santo. Chiunque avrà la stessa audacia dello scarafaggio e spiegherà le sue ali, potrà ascendere per sempre da farfalla nell’alto dei Cieli!”

Chiede chi tra i presenti è pronto a salvarsi e a ricevere la Visione. Dopo, quell’insetto fortunato, diverrà un essere pieno di luce, variopinto e luminoso. Lascerà il suo corpo su questa terra e farà passare la sua anima nel Regno dei Cieli. Solo chi è convinto per davvero di credere nel Puro e nel Giusto potrà giungere nel Regno dei Cieli, narra.

Un gruppo, bello compatto, s’avvicina al Predicatore. Tutti gli insetti sono esagitati e fanno a gara a levare le zampe per essere i prescelti.

Ed è in quel momento che noto di nuovo Buzzcock. Lo vedo bene quando il Predicatore si sposta per avvicinarsi a un’ape col capo chino pieno di devozione. Buzzock! Signore!, urlo. Signore! Ma il gruppetto di insetti che mi sta davanti mi richiama al silenzio. È Buzzcock!, cerco di spiegare, gridando. È un mio amico! Ero poco fa con lui, e ci siamo persi! Cerco di farmi largo tra la folla. Ma le carcasse ruvide, dure e lisce me lo impediscono.

Indietro, indietro, mi fa una zanzara bloccandomi con le sue sottili zampette. Si tiene a pochi millimetri dal suolo facendo vibrare istericamente ali diafane. Tenere il rispetto delle file, urla.

Di nuovo quella storia, del rispetto.

Non posso far altro che guardare il mio compagno di viaggio da lontano.

Il rito è breve.

Migliaia di ali frullanti, cariche dell’emozione del momento, accompagnano l’entrata in scena di un maggiolino verde brillante. Si libra in aria; il suo volo è prima rettilineo, quindi arcuato e quando s’attacca al tubo luminescente del Grande Cubo, s’infiamma all’istante come la capocchia di un fiammifero. Nell’aria si espande immediatamente odore di bruciato. Riesco a sentirlo anche da quaggiù. La carcassa brillante diventa in breve marrone, si stacca lentamente dal Cubo e rotola a terra come un sasso privo di vita. La visione della corazza carbonizzata mi dà il voltastomaco.

Il Predicatore Marrone solleva di nuovo le zampe in aria e dice Preghiamo per il nostro fratello Rhod che ha varcato la soglia dell’eternità. Dalla folla si solleva un folto brusio. Pregano tutti brevemente.

Si passa alla seconda vittima sacrificale.

È Buzz.

Questa volta non provo nemmeno a protestare perché la carica delle migliaia di ali frullanti coprirebbe qualsiasi tipo di grido. Non sembra nemmeno più lui: il capo abbassato, le antenne immobili come due rami rinsecchiti, la carcassa statica. Probabilmente è la prima volta che sveste i suoi abiti dell’autorità. Non riesce a nascondere nemmeno in quest’occasione tanto suprema la sua goffaggine dopo aver preso la rincorsa e levatosi in volo. Anche lui come Rhod brucia immediatamente non appena si attacca al tubo luminescente. Arde come un pezzo di carbone a contatto col fuoco. È una visione orribile. Buzz brucia. Il suo corpo arso non riesce nemmeno a staccarsi dal Grande Cubo. Orribile.

 

Succhio dal corpo della cimice da un tempo così lungo che sembra infinito. Sono insaziabile, la mia fame è infinita. Spiego al ragazzo come noi scarafaggi siamo diversi. Il Beato Buzzcock ne era un convinto sostenitore: Noi scarafaggi siamo i più forti, gli dico. Siamo sopra tutti, anche all’uomo.

Lui mi guarda, col volto spaurito. Non lascia mai trasparire nessuna emozione. Non sembra invidiarmi, né pare desiderare il mio cibo. È un buon compagno, ma non so mai se capisce veramente ciò che dico. Non è come ero io alla sua età. Assolutamente no; e, questo, mi piace. Ma mica sono tanto stupido da confessarglielo?

Il potere assoluto si basa sulla bravura di sottacere alcuni concetti.

Hai fame, ragazzo?, gli chiedo.

Lui mi dice di sì. Ha molta fame.

Bene, ragazzo. Impara a far fibrillare le tue antenne, così, come faccio io, e vedrai che prima o poi scoverai qualcosa.

Segue il mio consiglio. Le sue antenne cominciano a vibrare. Lo vedrebbe anche un cieco che non riesce a captare un bel tubo, ma lui sa di dovermi obbedire. È sottomesso, impaurito da ciò che faccio. La sua apatia mi fa rabbia, certe volte. Però è troppo bello esercitare il potere sui subalterni. Anche il Vecchio Buzz converrebbe con me. Ne sono certo.

[email protected]

Author: Alfredo Perna

Alfredo Perna (Napoli, 1976) si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Federico II. Tra i suoi interessi: la letteratura, il cinema e l’arte. Dal 2012 collabora con gli Alieni Metropolitani, pubblicando racconti e recensioni.

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