invia il tuo racconto inedito

Giocattoli – Seconda Parte

Un racconto scritto e proposto da Fabio Gaccioli

«Guarda che macello che c’è qui.»

Dal tetto sfondato pendevano verticalmente alcune travi ancora agganciate ai margini delle mura. Il pavimento si era spaccato in diversi punti e la terra emergeva da là sotto come un gonfiore. C’erano sterpi, fiori, terriccio. Al centro della stanza, proprio sotto al grande buco del soffitto, erano ancora visibili le tracce di un vecchio fuoco raccolto in un cerchio di pietre basse dai profili irregolari. Davanti al cerchio di cenere annerita qualcuno aveva sistemato una trave in bilico su due sassi piuttosto grandi e piatti abbastanza da consentire una certa stabilità. Sotto alla panca, e sparse qua e là un po’ dappertutto, c’erano bottiglie rotte, cicche di sigarette e porcherie di questo tipo. La notte ci venivano i ragazzi più grandi, al vecchio mulino, e si portavano la birra e le ragazze.

Il bambino con il bastone sedette sulla panca e guardò il fuoco spento come fosse un fuoco vero. L’altro, quello con il fucile, girava dappertutto ribaltando i sassi, spostando la roba con la canna del fucile.

A un certo punto disse: «Guarda cos’ho trovato!»

«Che roba è?» chiese l’amico.

«Un condom!»

Mostrò trionfante all’amico un aggeggio di plastica bianchiccio e spiegazzato. «Uno di quei robi che usano i ragazzi e le ragazze quando scopano! Ne ho trovato qualcuno anche nel cassetto della camera dei miei.»

Ributtò l’aggeggio dietro al sasso dove lo aveva trovato e si pulì la mano sulla stoffa dei pantaloni. Poi andò a sedere di fianco all’amico.

Trascorse un lungo silenzio, riempito solo dal frinire dei campi intorno e dal rumore dell’acqua che scorreva nel suo letto a poca distanza da lì. Quando il silenzio fu sufficientemente lungo e annoiante, il bambino con il bastone si decise a dire:

«Mi sono portato una roba.»

«Che roba?»

Il bambino frugò nella tasca sinistra ed estrasse una scatola di caramelle. Fece scattare il coperchio e infilò due dita ed estrasse una sigaretta e l’infilò in bocca.

«Che fai?» chiese l’amico.

«Fumo.»

«Dove l’hai presa?»

«Da uno dei pacchetti di mio papà. So dove li tiene.»

«Un volta io ho fumato lo stecco della paglia del fieno. Ci si riesce, sai, se si tira abbastanza forte.»

«Questa è meglio.»

«Non ne ho mai fumata una.»

«Questa è meglio del fieno. Bisogna stare attenti però quando la respiri, sennò il fumo ti fa tossire e a volte ti fa anche vomitare.»

«Tu hai vomitato?»

«Macché!»

«Ce la fumiamo insieme?»

«Non saprei…»

Il bambino con la sigaretta continuava a fissare la cenere del fuoco spento. Stava valutando se dividere o no la sigaretta con l’amico. Dipendeva molto dalla storia dei giocattoli e dei soldatini di piombo.

«E dai!». Il bambino con il fucile gli mollò un leggero pugno sulla coscia. L’altro rispose con una spallata molle.

Era passata più di un’ora. Il bambino con le sigarette ne teneva una stretta tra l’indice e il medio della mano destra e ogni tanto ne annusava l’odore dolciastro. L’altro si era messo a sedere per terra, tra la polvere, e con un rametto rimestava distrattamente la cenere sottile del fuoco spento.

A un certo punto disse: «Mi sto annoiando».

L’amico mugugnò qualcosa di incomprensibile e con uno scatto si fece saltare la sigaretta in bocca ma non riuscì a serrare le labbra in tempo e questa cadde in mezzo alla cenere e quando il bambino la raccolse vide che il filtro aveva assorbito lo sporco e ormai era inutilizzabile.

«Tu no?»

Il bambino con il fucile si voltò di tre quarti e guardò l’amico. «Tu non ti annoi?»

«Umnnn…»

«Non vuoi giocare?»

«A cosa?»

«Non saprei…. Giochiamo che siamo due esploratori e…»

«Non mi va.»

«Sei ancora arrabbiato?»

Il bambino con la sigaretta soffiò sul filtro per pulirlo dai rimasugli di cenere e poi s’infilò l’affare tra la tempia e l’orecchio sinistro. Si accoccolò di fianco al bambino con il fucile e gli prese il fucile e lo tenne in mano e lo mosse su e giù come se volesse stabilirne il peso. Poi glielo restituì.

«Vuoi fare un gioco?» disse. «Allora facciamo una gara». Guardava l’amico dritto negli occhi. Si passò la lingua sulle labbra e si rese conto di avere una gran sete, perché la bocca era tutta impastata.

«Una gara?» disse l’altro. «Una gara a cosa?»

«Una gara di tiro.»

«Con il mio fucile?»

«Con il tuo fucile» disse il bambino con la sigaretta. «E se perdi me lo tengo io.»

«E se perdi tu?»

«Ti puoi prendere tutti i giochi che ho.»

«Non saprei…» disse il bambino con il fucile. «Ma sei proprio sicuro?»

Avrebbero usato una delle sigarette come bersaglio.

Il bambino con il fucile avanzò tra i sassi e raggiunse il davanzale della finestra e ce la sistemò sopra. Poi rifece la strada al contrario. Contò sei passi e si fermò. Con un calcio fece rotolare una bottiglia di birra ancora intatta. Il liquido raccolto sul fondo spruzzò sui ciuffi d’erba una ruggine maleodorante. Il bambino puntellò il tallone al suolo e tracciò un segno abbastanza chiaro.

«Da’ qui» disse.

Il bambino con le sigarette lo raggiunse, si sistemò dietro al segno vergato dall’amico e guardò in direzione della finestra. A quella distanza la sagoma bianca della sigaretta si indovinava appena. Fece passare della saliva da una guancia all’altra e poi la sputò a terra e tornò a valutare la difficoltà del tiro. «Fino ad esaurimento dei pallini» disse. «Se finiamo il caricatore e la sigaretta è ancora intatta è come se avessi perso. Ti puoi tenere il fucile». Guardò molto attentamente l’amico, poi disse: «E tutti i miei giochi».

Lo teneva tra le mani e pareva quasi vero.

Aveva lasciato il primo tiro all’amico. Lo aveva visto puntellarsi sulle gambe, ma male. Le aveva tenute rigide e unite, quando invece avrebbe dovuto allargarle e flettere un po’ per abbassare il baricentro, e aveva lasciato partire il colpo, si sarebbe detto, quasi senza guardare. Il pallino aveva sibilato tra i ronzii degli insetti scalfendo la pietra del muro di sassi a un venti centimetri dal bersaglio.

Avrebbe vinto lui, se lo sentiva.

Adesso teneva tra le mani il fucile, e pareva quasi vero. Prima di mettersi in posizione aveva fatto passare il palmo della mano destra sul calcio in legno su cui era inciso, in rilievo, un cavallo al galoppo. Aveva tolto e infilato nuovamente il caricatore e poi aveva fatto scorrere il carrello per mandare il colpo in canna. Lo maneggiava come se fosse stato suo da sempre. Nell’aria immobile del pomeriggio poteva persino annusarne l’odore: sapeva di metallo e olio lubrificante. Non aveva mai posseduto in vita sua un giocattolo così perfetto. Doveva costare un occhio della testa. Era il terzo giocattolo per ordine di importanza e avrebbe potuto essere suo. Tutto quello che doveva fare era stringere il calcio del fucile nell’incavo della spalla, con decisione ma senza esagerare, in modo da averne il pieno controllo. Poi doveva individuare la sagoma bianca e sottile della sigaretta e metterla in linea con il mirino. Lo fece, e percepì che il mirino era sfalsato rispetto alla linea della canna e non ci si doveva affidare completamente. Spostò quindi il tiro leggermente sulla sinistra e trasse un respiro profondo e lo trattenne, quel respiro, e immaginò la biglia di ferro allungarsi in linea d’aria e descrivere una misteriosa traiettoria che da lì, da dietro al mirino, sarebbe parsa leggermente flessa, ma che in realtà sarebbe stata dritta, dritta e precisa come un fuso. Fece scattare il grilletto. Con un sibilo l’aria intrappolata nel giocattolo catapultò la biglia a piena velocità nella calura immobile del pomeriggio.

«Secondo me non vale». Il bambino con tanti giochi era corso immediatamente verso la finestra quando aveva visto la sagoma bianca sparire all’improvviso e adesso si reggeva alla parte interna del telaio e ci sbirciava sopra. Allungò una mano e raccolse ciò che rimaneva della sigaretta. «L’hai presa. Ma comunque non vale» disse.

Il bambino che aveva appena eseguito il tiro non disse niente. Non ne aveva bisogno. La sigaretta era lì, spezzata in due, con i ciuffi di tabacco che spuntavano dalla carta come il ripieno di un materasso. Aveva eseguito un tiro perfetto.

«Non vale. Io dico che non vale». Il bambino con tanti giochi si lasciò cadere all’indietro e reggendo la sigaretta con due dita tornò verso l’amico. «L’hai presa, è vero… però non vale.»

«E perché non dovrebbe valere?». Il bambino guardava il fucile. Lo stringeva con entrambe le mani e passava il palmo sul calcio in legno con il cavallo al galoppo inciso sopra. Era suo.

«No che non vale. Hai tirato è hai scalfito il muro di fianco alla sigaretta. Sono stati i calcinacci a tirarla giù, non il tuo tiro. Quindi io dico che non vale.»

«Io dico che non vale quello che dici» disse il bambino con il fucile. «Hai perso». Fece scattare in avanti la canna e si pose l’arma sull’avambraccio, come aveva visto fare ai cacciatori quando rientravano dopo una battuta. Poi si incamminò verso la finestra.

«Dove vai?!» strillò il bambino senza fucile. Quindi fece per rincorrerlo. Ma poi si bloccò perché sentiva che stava per mettersi a tremare e gli occhi gli si riempivano di lacrime. «Non vale!» urlò allora. «Sei un ladro!! Non vale!! Ladro!!»

Il bambino con il fucile nel frattempo era riuscito a issarsi sul davanzale della finestra e si era voltato e aveva fatto scattare nuovamente la canna. Quindi aveva portato il calcio sulla spalla e aveva mirato verso il bambino che gli strillava tutte quelle cose e che non riusciva a smettere di piangere. Lo aveva messo in linea con il mirino e spostato il tiro in mezzo alla fronte. Lo teneva. Dietro al mirino vide l’amico farsi serio all’improvviso. Allora il bambino con il fucile spalancò la bocca e fece uscire il fiato.

«Baaang!!» disse. Poi si lasciò cadere dall’altra parte e si mise a correre tra l’erba alta.

Il bambino con il fucile aveva percorso tutta la strada che doveva percorrere per tornare a casa. Adesso era davanti al portone d’ingresso e ansimava perché aveva fatto l’ultimo chilometro praticamente di corsa essendosi reso improvvisamente conto che era tardi, e i suoi dovevano già essersi messi a tavola per cenare.

Prima di entrare controllò che le scarpe non fossero infangate, e infatti non lo erano. Allora aprì la porta.

Sua madre e suo padre erano in cucina e stavano litigando.

Lo vide afferrare il pistone del vino rosso, quello che faceva venire apposta con le damigiane dalla Toscana, come una specie di martello e scagliarlo con tutta la forza contro il muro alle spalle di sua madre. Il pistone andò in frantumi e tutto il vino schizzò sul muro, e sopra al lavabo si disegnò una vasta macchia scura.

«Assassino!!» strillò allora lei. «Assassino!!»

Fu allora che si voltarono a guardarlo.

Se ne stava fermo con le gambe ben piantate e li teneva sotto tiro con il suo fucile giocattolo.

Durò un istante. Quasi subito il ragazzo distolse la mira incamminandosi al buio lungo il corridoio.

Aprì la porta della sua camera e sempre al buio individuò il letto e ci si lanciò sopra, stringendo il fucile contro il petto. Sdraiato così, senza vedere, passava il palmo sul calcio in legno con il cavallo al galoppo inciso sopra. Pianse tutto quello che si sentiva di piangere. Quando riuscì a controllare anche l’ultimo singhiozzo, e a smorzarlo, rimase ad ascoltare nel buio della camera.

C’era silenzio in tutta la casa. Un silenzio esausto. Dalla cucina si sentivano il tinnire delle posate e dei bicchieri, e un parlare basso, quello di sua madre e di suo padre che, immaginò, stavano tentando di ricucire gli strappi.

Poi non udì più nulla.

Poco dopo dei passi si fermarono proprio fuori dall’uscio. La serratura scattò molto piano e una sottilissima lama di luce arrivò a tagliare il buio.

Lui chiuse gli occhi e li tenne chiusi, facendo finta di dormire.

Fine.

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

Share This Post On
  • Google

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *