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Giocattoli – Prima Parte

Un racconto scritto e proposto da Fabio Gaccioli

Il bambino con tanti giocattoli fece vedere il nuovo acquisto all’amico che se ne stava seduto con le gambe incrociate sul muretto sotto i rami del grande noce del cortile. Si trattava di un robottino di acciaio splendente che premuto nei punti giusti cambiava forma e si trasformava ora in astronave, ora in leone meccanico e infine in robottino d’acciaio splendente con un muso di leone dorato che riluceva sul petto. Fra i tanti giochi che possedeva, questo era certo il più bello.

«Ti faccio vedere… se premi qui diventa modulo stellare…». Il bambino con il giocattolo fece scattare qualche meccanismo e piegando con decisione gli cambiò forma. E il robottino divenne Astronave. «E poi così…». Schiacciò in altri punti e al giocattolo rientrarono le ali ed uscirono due zampe artigliate e scese la testa di leone dorato.

«In questo modo può lottare contro tutti i nemici» disse. «Tu stai nel fortino e schieri i tuoi uomini» disse. «E io ti attacco con il mio robot».

«Sta bene» disse l’altro. Si accucciò di fianco al Forte e cominciò a schierare le sue truppe. Sistemò i fucilieri (alcuni soldatini in divisa della seconda guerra e qualche cowboy col fucile spianato) sui camminatoi, mentre sulle torrette andarono gli arcieri indiani. Poi nel cortile schierò il resto della truppa e i mezzi pesanti (carroarmati, camions, jeep, cannoni etc…) infine a guardia della fortezza interna mise due gendarmi di piombo più grandi di tutti gli altri soldatini, che gli aveva regalato il nonno e a cui era molto affezionato.

«Fatto» disse. «Adesso puoi attaccarmi».

Il bambino reggeva il robottino d’acciaio splendente alto sopra la testa e passava sopra al fortino correndo e facendo fischiare la bocca per imitare il suono dei motori supersonici. Ogni tanto gridava cose del tipo «Cannone fotonico!! Raggio distruttivo!! Laser della morte» e accompagnava il tutto con versacci e fischi. L’altro bambino rispondeva imitando il rumore delle mitragliatrici, delle frecce che gli indiani scoccavano al suo comando, e delle fucilate dei due gendarmi di piombo. Ogni tanto diceva «Ti ho colpito!», ma il bambino con il robottino correva lontano fischiando forte e urlando «Motore super sonico», poi si avvicinava di nuovo e virava e planava e aggiungeva frasi del tipo: «Non mi puoi colpire…. Io sono super veloce»

«Sì che ti ho colpito!»

«È impossibile… io sono più veloce della luce!»

«Ti ho colpito… ti ho colpito a un’ala»

«Allora io cambio il modulo all’astronave e divento Leone D’acciaio». Fece scattare qualche levetta e il giocattolo mutò forma. Poi lo guidò con entrambe le mani dentro al fortino e cominciò a muovere il leone da una parte e dall’altra, facendo saltare via tutti i soldatini.

«Così rompi tutto!»

«E allora?» disse. «Tanto anche il fortino è mio!». E per provare ciò che aveva appena detto afferrò il fortino con entrambe le mani e lo rivoltò sotto sopra e lo scosse finché anche l’ultimo soldatino non fu caduto sulla sabbia.

Allora l’amico raccolse gli omini sparsi e li ripose uno ad uno nel sacchettino di plastica e poi infilò quest’ultimo in tasca e voltò le spalle all’amico e si incamminò lungo il vialetto.

«Dove vai?». Adesso il bambino aveva lasciato il giocattolo lucente nella sabbia sotto al fortino ribaltato su un fianco e rincorreva l’amico. «Dove vai?»

«Mi sono rotto di stare fermo in cortile.»

«Ti sei offeso?» chiese l’altro.

«No.»

«Se mi aspetti vado a prendere il fucile ad aria compressa… così tiriamo ai passeri.»

«Fa’ come vuoi.»

«Tu vai per primo e fai l’esploratore. Io ti seguo col fucile e quando si alzano io gli tiro.»

«Se ti va così tanto…» disse l’altro bambino. «Fai una corsa. Perché io non ti aspetto.»

Teneva la mano destra ficcata in tasca, dove c’era la busta dei soldatini. Non riusciva a ricordare se c’erano anche quelli di piombo quando li aveva raccolti da terra. Immaginava di sì, ma non poteva esserne sicuro. Cacciò la busta dalla tasca e la sollevò all’altezza degli occhi, ma non riuscì ad individuare i due gendarmi. Ebbe l’istinto di tornare nel cortile a cercarli ma era troppo arrabbiato e decise che se ne sarebbe andato a casa e non sarebbe mai più tornato in quel posto. Ma il bambino con tanti giochi uscì di casa appena in tempo e lo raggiunse correndo lungo la strada. Teneva tra le mani un fucile ad aria compressa che ricordava molto da vicino il fucile che usavano i loro padri quando andavano a caccia. Due o tre volte ci aveva sparato anche lui. Aveva una buona mira, e gli piaceva quel giocattolo, che era il terzo giocattolo per importanza del bambino con il robottino splendente, ma aveva mirato solo alle cortecce degli alberi perché aveva paura a tirare a delle cose vive. Il fucile si armava con dei piccoli pallini di piombo che si conficcavano di qualche centimetro nel legno, spaccandolo tutto.

Si tuffarono per certi vecchi sentieri. L’erba era molto alta e c’erano le ortiche, così i due bambini, che indossavano entrambi pantaloncini corti e sandali, procedevano con estrema cautela. Uno davanti, armato di un bastone che abbatteva come una specie di sciabola sui ciuffi d’erba più alti e intricati, e l’altro dietro, con il fucile in spalla e gli occhi puntati al cielo nella speranza di individuare qualche uccello. Quando questo accadeva portava rapidamente il fucile alla spalla e lasciava partire un colpo. Si sentiva allora un flop leggero e il sibilo della biglia d’acciaio che fendeva l’aria e faceva frusciare le fronde degli alberi che in certi punti si chiudevano su di loro come una pelle sottile.

Erano nel pieno di un pomeriggio estivo. Il clima era torrido. I boschi intorno trasudavano umidità. Incrociarono un sentiero più ripido che si tuffava a valle verso il fiume e lo imboccarono. Avevano intenzione di andare al Vecchio Mulino, come facevano di solito quando non c’era nient’altro da fare.

Si trattava di un rudere quasi completamente abbattuto da una bomba sganciata da un aeroplano durante l’ultima guerra. Il tetto era sfondato ma le mura erano ancora in piedi. A loro piaceva quel posto perché erano liberi di entrare e potevano farci le avventure, magari trasformandolo in un castello, oppure in un’antica rovina Maya. E poi lì erano nascosti e lo sentivano come un posto tutto per loro, dove potevano stare lontani dagli adulti e fare tutte quelle cose che si sentivano liberi di fare.

Arrivarono al fiume e uscirono dal sentiero per qualche centinaio di metri finché non giunsero in prossimità del rudere. Il bambino con il bastone faceva strada mulinando quest’ultimo tra l’erba e schioccandolo via via sui grandi sassi che erano rotolati fuori dal perimetro devastato; accompagnava ogni colpo con una vibrazione sonora delle labbra, per spaventare le serpi che potevano annidarsi sotto i sassi oppure cercavano refrigerio all’ombra dell’erba alta.

Si calarono all’interno passando attraverso una finestra sfondata, calcando e aggrappandosi alle assi del telaio che era parzialmente crollato verso l’esterno. Uno per volta si lasciarono cadere dall’altra parte e atterrarono sul battuto di terra secca. C’era polvere e afa e ronzare d’insetti. Il bambino con il fucile avanzò di qualche passo puntando l’arnese in avanti come se si spettasse un agguato. Puntò a nord, a ovest e a est. «Libero» disse riabbassando l’arma.

Il bambino con il bastone non disse niente. Gli era passata la voglia di giocare. Vibrò un fendente con il bastone che passò a pochi centimetri dal collo del bambino con il fucile.

Questo percepì lo spostamento d’aria e fece un passo in avanti. «Sta’ attento con quel coso» disse.

Continua…

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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