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Giorni in Birmania – George Orwell

Il momento più importante che precede le vacanze è quello della scelta del libro da mettere in valigia.

A dicembre dello scorso anno ho deciso di partire per il Myanmar e, nello zaino, mi è sembrato quasi scontato lasciare un piccolo spazio per George Orwell e i suoi “Giorni in Birmania”.

Mai scelta fu più azzeccata; le atmosfere che ho respirato in questo incredibile viaggio sono le stesse che danno sostanza al romanzo.

Le descrizioni che lo scrittore fa delle città sono ancora sorprendentemente attuali. Orwell racconta di queste strade abitate dal popolo, strade con le quali i birmani hanno un legame fortissimo: in strada si vende e si compra di tutto, ci si ferma a parlare, si mangia, si vive.

Gli odori, i suoni e i sapori dei quali ci parla l’autore, sono gli stessi che ho avuto modo di annusare, ascoltare e sperimentare in tutto il Paese, da nord a sud. Girovagando tra le bancarelle dei paesini montani, in barca sui fiumi dei villaggi dei pescatori e nel traffico delle due metropoli più caotiche: Mandalay e Yangon.

«…e si sentiva nell’aria come un’oppressione, la minaccia delle lunghe ore soffocanti del meriggio. A tratti, lievi folate di vento – che per contrasto sembravano fresche – agitavano le orchidee appena annaffiate pendenti dalla grondaia. Al di là delle orchidee si scorgeva il tronco curvo e polveroso di una palma, e poi il cielo sfolgorante color oltremare.»

«i cani randagi abbaiavano alla luna, di cui a mezzanotte non si vedeva più che un solo quarto già quasi tramontato. Ma i cani avevano dormito tutto il giorno per il caldo, e si sfogavano ora con i loro ululati.»

E ancora:

«Fiori selvatici sbocciavano dappertutto […]. Il sole era basso nel cielo, le notti e le albe freddissime, con nebbie bianche che si riversavano nelle valli come vapori di immense caldaie. […] Il riso maturo, alto fino al petto e color oro, sembrava grano. La mattina si camminava attraverso un bosco nebbioso e fitto, umide radure erbose e alberi nudi sulle cui cime squittivano le scimmie in attesa del sole.»

«Questo era l’oriente. Profumi d’olio di cocco e di legno di sandalo, cannella e zafferano erano sospesi sull’acqua e nell’aria calda e mossa.»

 

Il romanzo racconta la vita di John Flory, un mercante di legname trasferitosi da diversi anni a Kautada, una città della Birmania, vittima della cospirazione di un magistrato corrotto.

Combattuto tra l’amore e l’odio per una terra alla quale oramai sente di appartenere, Flory oscilla tra la ricerca dell’accettazione dei suoi connazionali e il legame che lo lega agli uomini e alle tradizioni birmane.

Nel 1922 Orwell si arruolò nella polizia imperiale indiana e trascorse cinque anni proprio in Birmania. Il libro è, senza ombra di dubbio, il risultato di quegli anni a stretto contatto con il colonialismo britannico, verso il quale l’autore non nutre alcuna simpatia, e che anzi critica aspramente.

«Il fatto è che a lei piace tutta questa faccenda del progresso, mentre io preferisco le cose meno disinfettate. […] se abbiamo un’influenza civilizzatrice, è solo per aggrapparci qui più solidamente. Avremmo già smesso, se non ne valesse la pena.»

«Bisognerebbe non ascoltare i discorsi degli onorati gentiluomini inglesi, dottore. Questa mattina ho resistito quanto ho potuto. […] Ripetono le stesse cose almeno dal giubileo della regina Vittoria, dall’Ottantasette.»

Giorni in Birmania” non è solo una bella storia di denuncia, ma un sapiente romanzo dove vengono affrontati temi come la corruzione e la diffamazione, la dualità dell’uomo e la sua difficoltà a scegliere senza  condizionamenti.

Il protagonista è un personaggio affascinante e complesso, un uomo al quale, come lettrice, mi sono affezionata piano piano. È un eroe moderno, coraggioso e  pieno di debolezze, capace di comportarsi in modo meschino e poi di risollevarsi, grazie ad una profonda comprensione dell’altro. Un uomo incompleto, alla disperata ricerca di un senso, in quella terra dove ha smesso di sentirsi straniero.

Il finale è la chiusa perfetta di un romanzo all’apparenza semplice ma che, in realtà, racchiude molto di più di quello che ci si aspetta.

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Author: Ilaria Bonfanti

"Dammi del caffè (molto) nero bollente, una zucca da mettere nel forno e una bic nera senza gel, senza cappuccio e senza troppi fronzoli e ti assicuro che siamo già sulla buona strada. Aggiungici i miei ventisette anni e una vita divisa tra Bergamo e Rio de Janeiro, vita che mi ha resa una polentona con il sorriso carioca. Vanno a completare il quadro un giradischi che non smette mai di suonare musica, quella stessa musica rubata ai vari mercatini di antiquariato e, una montagna di libri. Libri che stanno nella testa, nei ricordi, nelle intenzioni e in giro per tutta la casa. Colleziono Baroni rampanti nelle diverse lingue, adoro andare al mare in bicicletta, stare in silenzio in autunno e rubare l'uvetta dalle fette di panettone. Non sopporto le colazioni fatte di fretta, le persone arroganti e il mese di novembre. Questa sono io e, con un po' di fortuna, ci capiterà di scontrarci in una libreria in giro per il mondo."

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