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Occhi senza un volto

Racconto scritto e proposto da Mattia Tasovac

Troppo lontani gli anni universitari, quelli in cui si tirava tardi fino all’alba e i pensieri del lavoro e della famiglia da costruire, con tanto di figli e mutuo annessi, sembravano troppo lontani per realizzarsi.

Eppure ora si guardava allo specchio e avvertiva che quei pallidi ricordi pur riaffiorando saltuariamente erano passati e bisognava fare i conti con la realtà di tutti i gironi. Avrebbe voluto tornare indietro e non fare certe scelte, cambiare improvvisamente direzione per poter vivere quell’attimo che si era lasciata sfuggire quindici anni prima. Ormai il dado era tratto: quella era la sua esistenza, fingere che non fosse la sua, ma quella di un’altra era un’illusione temporanea, buona solo per mitigare quell’astinenza da vita e da rigettare pochi secondi dopo nella più assoluta atarassia.

Non che la sua vita fosse indegna: aveva raggiunto ciò che per i più era il successo, eppure avvertiva la sensazione di essersi persa qualcosa per strada, lungo il tragitto neppure troppo immaginario che segna il passaggio dall’età giovanile a quella matura. Quel gap insopportabile che la separava dalla serenità era sorto improvvisamente da qualche anno, ma lo aveva lasciato assopire nei meandri della ragione, in attesa che ammuffisse e sparisse senza troppi sensi di colpa. Non c’è cosa peggiore di dover fare i conti con la realtà dei fatti, specie se essa ha qualche legame con gli anni che passano e si portano con sé i soliti tipici rimpianti. Puntualmente però quel gap tornò a distanza di circa tre anni: fu peggio di una mazzata al petto, sebbene fosse carico di tutta la verve che solo un’agognata e inaspettata serenità possono dare.

La prima volta in cui lo vide le sembrò che fosse assorto in tutt’altri pensieri fuorché quello di badare a lei, sebbene quello fosse il suo compito; giudicò alquanto scortese che lui non la degnasse di uno sguardo eppure di lì a poco si rese conto che la stava esaminando molto più approfonditamente di quanto osasse lasciar trasparire. Era timidezza scoprì in seguito.

Lei era rimasta piacevolmente colpita dalla sua fisicità e lo aveva osservato distrattamente mentre si dedicava alla mansione per cui era pagato, constatando che i suoi muscoli tesi non la lasciavano indifferente, tanto da farle sobbalzare il cuore così come non le capitava da anni ormai. Era così maledettamente assurdo ciò a cui stava pensando, ma avrebbe voluto toccargli la mano, per sentire che sensazioni le avrebbe dato, ma si trattenne per comune senso del pudore tipicamente borghese. Lui le rivolse un sorriso distratto, che lei interpretò come cortesia e nulla più; infine si parlarono, però il loro interloquire fu pieno di tutte quelle banalità che inaridiscono i rapporti tra estranei. Ne restò delusa, pregustando un polso freddo, una mano sudaticcia, dalla presa molle. Invece si stupì quando lui nel salutarla le diede una stretta vigorosa e decisa alla mano, cosa che lei avvertì come un senso di potere, di mascolinità e la fece trasalire così forte che un urletto le uscì dalla bocca e la fece gettare nel panico, quasi come se l’eco di quel suono maldestro si fosse propagato ben oltre le mura dell’edificio nel quale si trovava.

Si guardò intorno e non notò nessuno sguardo curioso puntato su di lei, perciò si tranquillizzò e con un sorriso di circostanza si allontanò da lui. Uscita dall’edificio nel quale si erano incontrati rifletté su quanto accaduto e si rese conto che non riusciva a levarsi dalla mente l’immagine di quell’uomo così forte, deciso, apparentemente sfrontato: temeva i doni dati dal saper veicolare con dovizia i vocaboli che la sua lingua materna offriva, soprattutto se tali doni erano accompagnati da un corpo di tutto rispetto, tonico e carico di sensualità.

Avrebbe voluto rivederlo, parlargli di nuovo, poter sapere qualcosa in più del nome scritto sulla targhetta che troneggiava sulla sua scrivania: se lo avesse rivisto avrebbe potuto iniettarsi una dose di vita come non faceva da tempo.

Uno sconosciuto non potrà crearmi dipendenza, semmai mi donerà il desiderio di non sentirmi sempre inadeguata”, pensava mentre con l’auto si dirigeva verso casa. Si fermò nel primo locale che vide sulla via che portava a casa e vi si fermò per bere qualcosa. Saranno state le sette di sera ma quel gin tonic sembrava la cosa migliore della giornata dopo quel ragazzo. Lo ordinò al banco e poi sprofondò nel divanetto che troneggiava nell’angolo meno illuminato del locale: iniziò a sorseggiarlo e si sentì subito meglio quando, in sottofondo, si udirono le prime note di “Eyes without a face” di Billy Idol; erano anni che non lo ascoltava più, quasi avesse rinunciato a quella vena punk che in gioventù aveva segretamente nascosto ai suoi genitori. Non aveva fatto i conti con la sorte. Il destino è beffardo, si accanisce con i deboli di cuore, li tortura e li lascia morenti sul patibolo della vita, incurante del fatto che morire di crepacuore sarebbe meno doloroso e più salutare. Mentre sembrava che il peggio fosse passato lo stesso ragazzo che poco prima le aveva dato quello scossone di vitalità entrò nel locale accompagnato da un’avvenente ragazza mora: lei sorrideva divertita e lui sembrava a suo agio nel ruolo del seduttore pericoloso.

Ecco, la solita ragazzina giovane, avvenente, magari un po’ troietta…Figurati se si accorge di una vecchia.”

Si sentiva ridicola ad aver pensato di poterlo conquistare o quanto meno di poterlo rivedere: non poteva competere con una donna più giovane e libera soprattutto da ogni tipo di vincolo.

…“I’m all out of hope…One more bad dream could bring a fall”…

Fanculo Billy, ci sono già dentro fino al collo in questo brutto sogno…Meglio finire questo gin tonic e tornare a casa.”

Se ne va subito? Pensavo stesse aspettando qualcuno, quando l’ho vista poco fa lì seduta.” Non si era accorta che lui era in piedi davanti a lei: la ragazza mora sembra essersi dileguata. Lui era lì per lei.

No, no, prego, si sieda: sono qui da sola”. “Azz, penserà sono un’alcolizzata ora…”

Era estremamente naturale parlare con quel ragazzo: non sembrava finire mai di raccontare aneddoti sulla sua vita; per un attimo pensò di conoscerlo da sempre per la sintonia che li legava. Lui non sembrava in imbarazzo a parlare con lei: questa sensazione la fece stare meglio, aveva spesso la sensazione di mettere a disagio chi le stava a fianco, suo marito in primis. Dopo quasi un’ora e mezza dovette congedarsi, anche se le sembrava ingiusto che quell’arco di tempo fosse trascorso così in fretta. Si salutarono frettolosamente e lei lo guardò allontanarsi finché non sparì completamente dalla sua visuale.

Tornò a casa e si ritrovò catapultata nella solita vita frenetica di ogni giorno: i figli che le chiedevano di aiutarla a fare i compiti, la cena da preparare, le pratiche portate a casa dall’ufficio e lì stagnanti da una settimana. Si cambiò in bagno e si osservò allo specchio: era ancora una bella donna, piacente, sensuale; aveva ancora tutto il sacrosanto diritto di piacere a qualcuno.

Come mai sei rientrata così tardi?”.

Ho avuto da fare”.

Ah, ok”.

Era la punta massima di curiosità che lui ormai le concedeva: eppure lei avrebbe voluto parlare la sera, anche fosse stato per litigare. Invece si guardavano, parlavano dell’educazione dei figli, del lavoro che ormai era davvero l’unica cosa che li teneva uniti. Lei tornava a rilassarsi quando lui se ne andava via qualche giorno per affari: poteva vivere la sua vita, come desiderava lei. Poteva soprattutto agire senza sentirsi sotto osservazione e potenziale giudizio, solitamente negativo, del marito.

Durante la cena lui le comunicò che sarebbe dovuto partire entro pochi giorni per l’ennesimo impegno lavorativo: il lavoro prima di tutto. Lei non sembrò preoccuparsi troppo della futura assenza del marito: gli sorrise distrattamente e annuì con la testa. “Occhi senza volto sei…Ti vergogni di essere quello che eri da giovane…Ti nascondi dietro una maschera…

Quella sera stessa, mentre fumava la sua solita sigaretta prima di andare a dormire, si sentiva una ragazzina: avrebbe potuto vedere liberamente quel ragazzo che aveva conosciuto e fantasticò a lungo su quanto ancora non si erano detti; aveva le farfalle nello stomaco.

Lui era il botox che non aveva mai osato utilizzare, si sentiva ringiovanita di vent’anni, si sentiva finalmente viva.


di Mattia Tasovac

immagine di copertina: Jack Vettriano – The Model and the Drifter

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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