Racconto scritto e proposto da Davide Apice
Dalla finestra aperta entra il cinguettio rauco di un passerotto. È un fermo immagine sull’albero. Non vola più. Ha le ali intirizzite e spelacchiate. Lo zio gli sbuffa addosso folate ininterrotte di catrame e nicotina, perché non ha nulla da fare, se non fumare e sbrigare bisogni fisiologici impellenti. Ha perso il lavoro a 52 anni. Si è chiuso in casa e non si schioda. Ha lo scazzo perenne. Come il mio, di scazzo, che faccio le pulizie nel Centro Commerciale Amaranto, quello specializzato in ferramenta, che con il Blu e il Giallo forma un triangolo isoscele. Ci sono altri quattrocentonovantanove Centri Commerciali, tutti con il nome di un colore… così per offrire alla propria Spettabile Clientela un palliativo alla decadenza imperante… e che combinati insieme formano una figura geometrica perfetta.
A parte lo scazzo, non assomiglio per niente allo zio. Lui ha i capelli lunghi, lucidi, tirati allo splendore e raccolti in una spessa coda; su di me invece si è abbattuta la scure della calvizie… e mi fermo qui, tralascio tutto il resto, perché i capelli sono proprio il mio cruccio, lo sento, lo trasudo da ogni poro, mi esplode dalle orbite, anche se recito la parte dell’autoironico e menefreghista, sì sì…
La mattina a casa è come una bomba a orologeria. Perfida batte ogni istante prima di esplodere. È un vociare, un rimbombo frastornante che la testa fa crac. Il parto plurigemellare – prelevato come un pacco senza mittente né ricevuta di ritorno dalla pancia di mia sorella – è un martellante, congiunto e sincopato discorso monosillabico. Mia sorella è sempre in preda a crisi emicraniche perché mamma è sveglia dalle cinque indecisa tra La settimana enigmistica e lo studio delle congiunzioni astrali. Papà è già sgattaiolato fuori con appresso il bassotto schizoide e deviato dalle polveri sottili. Non so. Saranno escapisti. Avranno una botola segreta. Passeranno attraverso i muri. Sono anni che non riesco a incrociarli.
Lo zio è alla sesta sigaretta. La mia testa ha appena fatto crac.
Esco dal portone frastornato e confuso. La collina sfiorisce come buccia d’arancia essiccata al sole. Contemplo l’orizzonte di piombo e di plastica, polistirolo e sughero, e conto le cacche sul marciapiede, classificandole per massa colore ed energia che potrebbe derivarne.
Seguo le indicazioni a luce intermittente del Percorso Verde Cobalto resistendo al loro potere ipnotizzatore. Le gigantografie delle modelle in intimo succinto non mi provocano neanche più fitte al costato. Celluloide stanca.
L’unica ventata di aria pura che ricompone la testa è l’incrocio fuori dalla dimensione spazio-tempo con Viola, un’inquilina del palazzo.
Respiro a pieni polmoni aria all’essenza di verbena. Il traffico è una parata di carnevale. Il cielo è celeste pastello come sui libri per bambini. Ho il costato che strippa.
Viola è carica magnetica che s’interrompe non appena svolta a sinistra, per un angolo di 45°, inserisce il badge e le tetre porte del Centro Commerciale Bordeaux la inghiottono e chiudono con le cento varianti di materassi a prezzo d’occasione. Sorpasso il mio nemico di cemento e luci al neon svaporando nello smog, lasciandomi alle spalle la mia musa e il trapezio rettangolo formato dai Centri Commerciali Bordeaux, Marrone, Nero e Blu notte.
Il mio incubo a cielo aperto continua col ricordo dello zio quando si slogava i polsi a forza di assemblare tergicristalli. Per ventotto anni. Poi la robotica si è fatta apprezzare per qualità e quantità, costi dimezzati, tempi assottigliati, guadagno alle stelle. Lo zio fuori dal portone della fabbrica. Ha dovuto reinventarsi. Meglio non ha potuto che come operatore call-center del Centro Commerciale Ocra, specializzato in giochi di robotica. Penso alla beffa. Fino a ritrovarsi nuovamente disoccupato. Ma nonostante lo stress e la nevrosi ha mantenuto la sua fluente chioma. Si potrebbe reinventare coiffeur. E invece niente. Niente da fare. Ha lo scazzo e non si schioda da casa, dalla finestra e la sua bocca è cucita alle sigarette.
Il Centro Commerciale Ocra con l’Arancione, il Nocciola e quello Ruggine formano un rombo.
Con ramazza e secchio ho un rapporto intimo e castrante. È con loro che raschio il pavimento con un’acqua sempre più simile a uno scarico fognario. Il segreto è guardarsi alle spalle che non arrivi il capo. «Ogni dieci metri quadri cambia l’acqua», strilla monocorde. Macché. La superficie che mi fa ingobbire a forza di ramazzare è di quattrocentonovanta metri quadri, se cambiassi l’acqua del secchio ogni dieci metri quadri vorrebbe dire quarantanove volte, sette sono i litri nel secchio, sette per quarantanove fa trecentoquarantatre litri d’acqua sprecati per un pavimento sempre lercio e impiastrato. Mi rifiuto. Perché poi chi si fa davvero il culo sono io non lui, Il Responsabile. Io proseguo per la mia strada, lui guadagna sulle mie braccia spalle e culo e il pavimento puzza a ore alterne. Perché non va a comprarsi uno di quei giochi confezionati per i tipi come lui? Giochi over trenta. Ideati su misura per adulti frustrati rincoglioniti e cocainomani. Giochi semplici e ripetitivi, che non attivano le facoltà mentali, minimamente quelle motorie, ossessivamente ipnotizzanti… tipo il videogioco del tennis degli anni ’80, dove due linee si passavano un punto bianco sullo schermo alla velocità di un ralenti. Sì sì, mamma me lo dice, me lo dice sempre che un giorno scalerò la montagna del successo, e che poi farò vedere io al mio capo. Mamma dice sempre così. Ogni mattina. Anche se ogni volta mi pone l’obiettivo tre mesi e diciotto giorni lontano. È una questione di congiunzioni astrali. Dice.
Percorro come un automa il Percorso Arancio verso casa, svolto l’angolo a destra di 90° e la voce di Viola da dietro le spalle: «Ti aspetto a casa mia. Tra due ore esatte…». Sì sì, lo sapevo! Lo sapevo che avresti ceduto al mio fascino, sì sì e adesso corro sfreccio spolmono, non faccio neppure la doccia… lo so che vuoi l’uomo selvaggio e peloso… prendo fiato.
Ammazzo le due ore d’attesa seduto sul cesso e tamburello le dita sulle ginocchia e il piede destro sul pedale di una batteria che immagino di sedici pezzi. Ogni tanto mi alzo e con le mutande alle caviglie pogo impazzito contro il muro.
Faccio finta di non avere ancora superato i trent’anni.
Sono davanti la sua porta. Ricercatamente lercio. «In tutto questo tempo avresti almeno potuto fare una visita alla doccia…», dice.
Viola è linda, profumata, i capelli ancora bagnati che ricadono sulle spalle.
Tengo segreto e nascosto in un punto preciso ciò a cui sto pensando.
«Scusa, credevo che…»
«Lascia stare, non abbiamo tempo per le chiacchiere… ascoltami»
«…»
«Ti ho dato appuntamento perché ho bisogno del tuo aiuto…»
«Qualsiasi cosa… che posso fare per te…» e me lo chiedi pure, io obietterei mai nulla, starei qui ore ad ascoltarti, a guardarti, a seguire gli innumerevoli gesti delle tue mani e a pensare in cosa consisterà la tua riconoscenza…
«Dobbiamo dare un taglio… far saltare il sistema, spezzare la loro grettezza mascherata da perfezione…»
Io sento «taglio» «sistema» «perfezione», sono ipnotizzato dalla sua bellezza, dimentico persino di puzzare come una carogna. Qui tutto profuma di verbena.
«Oh! Mi hai sentito?»
«Sì… sì, il sistema, giusto… giusto, la perfezio… Bene! Un taglio… una brutta e pessima piega là fuori…», concordo.
«Facciamo saltare tutto, mi hanno ammattito a forza di capannoni geometricamente stucchevoli, angoli tagliati con il goniometro e poi la puzza… è insopportabile. M’incancrenisce…»
«Avrai il mio appoggio incondizionato… sì sì, sono d’accordo, bruciamogli il culo…», dico sullo slancio dell’esaltazione mentre mi prende un tic nervoso agli occhi mai sperimentato prima.
«Se riesci trova qualcun’altro… mamma come puzzi… eddai vai a farti una doccia! Ti tengo aggiornato.»
Farfuglio qualcosa che io stesso stento a decifrare.
Faccio cenno allo zio di seguirmi in camera. Acconsente con chiaro disinteresse.
Ma sta attento zio che adesso ti pungolo, ti colpisco nell’orgoglio e magari ti faccio smettere di fumare.
«Hai presente la ragazza che occupa la mansarda?», con le mani ne disegno le forme in aria.
Lo zio annuisce e la sigaretta penzola noncurante dalle labbra.
«Sì sì appunto, mi ha proposto qualcosa di irrinunciabile e doveroso… qualcosa che assomiglia a una sommossa… per smuovere la situazione, cose così…»
Gli occhi dello zio sobbalzano. Sopprime con vigore e precisione il mozzicone nel posacenere che sa già di vita passata e con voce così grave e impostata che quasi non riconosco «Su andiamo dalla bella guerrigliera…». È lui a farmi strada con passo deciso e militaresco. Sicuro e perfetto come quando assemblava i tergicristalli. Io mi limito a seguirlo tutto eccitato.
Suono con insistenza il campanello. Non mi accorgo nemmeno che lo zio è già entrato e la musa guerrigliera mi guarda scuotendo la testa.
Do un’occhiata alla mansarda, ma non vedo traccia di bombe a mano, né di lanciafiamme, pistole automatiche o bazooka, nessun accenno a carri armati. La mia inquilina è davvero sorprendente… La mansarda è invasa da forbici, cesoie, roncole, falcette, coltelli da innesto, seghetti. Ci sono due tosaerba, sul tavolo un decespugliatore e poi vanghe, zappe, badili e un tubo irroratore. A quanto pare metteremo in atto una sommossa nel pieno rispetto umano e ambientale. Niente spargimenti di sangue, niente cadaveri abbandonati per strada, niente arti mozzati penzolanti da edifici sventrati.
«Questa notte. All’una precisa. Davanti al Distributore Automatico delle Creme Antirughe del Percorso Giallo Canarino. Intesi?», chiede conferma.
«Intesi», dice lo zio. Io mi limito a mantenere uno sguardo meno ebete possibile.
Lo zio invece si sta caricando. Ruota la pietrina dell’accendino. Slaccia la coda e scuote i capelli che ricadono morbidi sulle spalle.
No zio… i capelli sulle spalle… no zio… per favore. Non adesso per lo meno.
A fatica riesco a ristabilire un equilibrio interiore. Sento risuonare «All’una. Intesi», con la nuova tonalità profonda dello zio e il candore di Viola, prima di ritornare nel nostro appartamento in preda al delirio della sera: il parto plurigemellare è tutto un tirarsi di capelli. Mamma è chiusa in camera intenta nello studio delle prossime congiunzioni astrali. Mia sorella beve il collutorio, non mi vede neanche pisciare. Piange isterica. Papà e il bassotto… non pervenuti.
La luna è imbronciata e non se la passa mica tanto bene. Pare abbia qualche linea di febbre e una nausea persistente.
Scatta l’ora prestabilita.
01.00.00
Le ombre delle nostre teste si dilatano sul Distributore Automatico delle Creme Antirughe. Siamo immersi nel silenzio.
Chiusi sotto vuoto. Abbiamo i sensi scalpitanti, siamo tutto vista udito olfatto. Al cenno della guerrigliera iniziamo a estirpare l’erba sintetica, tagliare le siepi in fil di ferro, sbriciolare le piante di plastica, raccogliere i fiori di sughero, segare gli alberi di polistirolo. Tutto raso al suolo per innestare erba fresca, semi di passiflora, di mandevilla, di genziana e di verbena; bulbi di gigli, di crocus, di ciclamini; radici di ardesia, di berberi, di abeti, di magnolie, di querce e gelsi. Scaviamo buche profonde 80 centimetri e le riempiamo di terriccio concimato… cresceranno cespugli spet-ta-co-lo-si.
Albeggia. Gli automobilisti si fermano a osservare con sguardo lucido e attento. Tutto inizia a frizzare. A risvegliarsi. Il sole si fa sempre più vigoroso, di pari passo con il mio orgoglio, la guerrigliera stringe i pugni soddisfatta e lo zio non fuma ormai da sette ore.
Qui tutto profuma. Viola mi sorride e le nostre mani s’intrecciano. Indico la luna, ormai lontana, sottile e bianca, quasi trasparente. E annuso… annuso… puff!
15 giugno 2015
Le giuste dosi di realismo e (pseudo)fantascienza, nel linguaggio e nel contenuto, concorrono a esaltare una lettura piacevole, originale e capace di suggerire alcune – e non banali – riflessioni.
15 giugno 2015
Molto bello, scorrevole e coinvolgente! Personaggi ben inquadrati anche in poche righe. L’unica domanda che rimane è: qual’è l’odore di verbena?
16 giugno 2015
Passaggi originali ed incalzanti, lucide allucinazioni di una realtà inquietante e avvilente che, ahimè, ci è molto più vicina di quanto vorremmo, pungente ironia che davvero ti fa sorridere nella lettura…in tutto questo, spicca in maniera vivida una visione positiva, un desiderio di riscatto che sembra avere il poter di cancellare tutto. Racconto fantastico!!! Non mi stanco a rileggerlo più volte…complimenti!