Saggio breve di Andrea Corona
«Nel sogno l’anima, libera dal corpo, si tuffa nel kosmos, si immerge in esso e si fonde al suo movimento in una sorta di unione acquatica»
Maurice Blanchot concepiva la letteratura come creazione del linguaggio, il quale ha un potere ‘negativo’ in quanto ‘annienta’ l’oggetto nominato (cfr. M. Blanchot, La scrittura del disastro, Milano, SE 1990). L’esperienza letteraria autentica si configura pertanto come esperienza di morte, e l’esercizio spesso ‘insensato’ della scrittura diviene un’operazione ‘sensata’ solo in quanto tentativo di stabilire un rapporto di libertà con la morte (cfr. M. Blanchot, L’infinito intrattenimento. Scritti sull’«insensato gioco di scrivere», Torino, Einaudi 1977).
A questo proposito, nel suo Il pensiero del fuori, Michel Foucault riconoscerà la «estrema difficoltà di dare a questo pensiero un linguaggio che gli sia fedele», giacché, quando uno scrittore porta il linguaggio al limite, «esso non vede sorgere una positività che lo contraddice, ma il vuoto nel quale si cancella» (M. Foucault, Il pensiero del fuori, in Scritti letterari, Milano, Feltrinelli 1996, p. 116). Affrontare questo vuoto attraverso la scrittura era considerato anche da Foucault il compito autentico dell’autore. Ovvero: solo da tale compito poteva scaturire la libertà di «un ricominciamento, che è una origine pura perché esso non ha che se stesso e il vuoto come principio» (p. 117).
In via analoga, in alcune pagine del suo attento studio su Lautréamont e Sade, Blanchot affronterà la questione del vuoto (cfr. T. Perlini, Maurice Blanchot. L’opera come presenza-assenza, in M. Blanchot, Lautréamont e Sade, Bari, Dedalo 1974). In particolare, il critico francese parlerà di una ‘speciale saggezza’ che scaturisce dal ‘cerchio puro’ della scrittura e dal rapporto tra vuoto e creazione. Secondo l’autore de Lo spazio letterario, infatti, ogni opera davvero ‘potente’ è una irripetibile composizione di forma e caos: «L’opera è il cerchio puro in cui l’autore, mentre scrive, si espone pericolosamente alla pressione che esige che egli scriva, ma anche se ne difende» (M. Blanchot, Lo spazio letterario, Torino, Einaudi 1975, p. 38). Dalla commistione di forma e caos deriva inoltre la concezione secondo cui le opere strappate al delirio, alla passione incontrollabile e al sogno comunicano all’autore uno speciale genere di saggezza; e la relazione fra sogno e saggezza non sarà casuale. Per Blanchot come, ancora, per Foucault. Come si legge ne Il sogno: «Nella notte più buia lo splendore del sogno è più luminoso della luce del giorno, e l’intuizione che porta con sé è la forma più alta di conoscenza» (M. Foucault, Il sogno, Milano, Raffaello Cortina 2003, p. 67).
Tesi principale di Foucault è che il sogno sia nascita del mondo e origine stessa dell’esistenza: in virtù di ciò, non deve essere analizzato come un sintomo psichico, bensì come una chiave per risolvere tanto l’enigma universale dell’essere quanto l’enigma particolare del proprio essere: «Nel sogno l’anima, libera dal corpo, si tuffa nel kosmos, si immerge in esso e si fonde al suo movimento in una sorta di unione acquatica» (p. 41). In particolare, nel sogno si trova «tutta l’odissea della libertà umana, che rivela quanto vi è di più individuale in un individuo […]: nulla più dei vostri sogni è opera vostra » (p. 45). Similmente, Blanchot afferma che il sogno è un «pericoloso appello» a un «presentimento dell’altro» e a un «doppio che è ancora qualcuno» (M. Blanchot, Lo spazio letterario, pp. 234-235); aggiungendo che solo esplorando l’inconscio e l’impensato lo scrittore trova «una parte di sé, e soprattutto la sua verità, la sua verità solitaria» che si avvolge a spirale «in una immobilità fredda da cui non può distogliersi, ma accanto alla quale non può stare» (p. 39).
Come è noto, in Blanchot le ripetizioni e i ritorni sono tanto paralizzanti quanto necessari; ma se questi sono «il canto delle sirene della morte stessa» (p. 38), lo scrittore è una figura che non può fare a meno di subire il fascino della morte, allorché «l’attira ciò che lo mette assolutamente alla prova, un rischio nel quale tutto è rischiato, un rischio essenziale dove l’essere è in gioco, dove il nulla sparisce, dove si gioca il diritto e il potere di morire» (p. 88).
È a questo punto utile ricordare l’interesse di Foucault per quello che rimane con tutta probabilità il più famoso studio clinico di Ludwig Binswanger, ovvero il caso di Ellen West, una paziente affetta da mania suicida. In un commento relativo a questo caso, Foucault scriverà:
«La West era imprigionata tra il desiderio di volare, di fluttuare nell’esultanza eterea, e la paura ossessiva di essere intrappolata nel pantano che la opprimeva e la paralizzava. Volare verso la morte, quello spazio elevato e lontano di luce, significava porre termine alla vita, ma anche scorgere una esistenza totalmente libera»
(M. Foucault, Il sogno, p. 67).
Si ritorna a Blanchot, dunque, e lo si fa procedendo di pari passo con la strada che, compiendo un circolo, va in direzione dell’esito del suo discorso. Secondo Blanchot, se l’opera che nasce da una sfida con la morte ha successo, l’autore sopravvissuto sperimenterà una «miracolosa elevazione alla grazia» (M. Blanchot, Lo spazio letterario, p. 39). Ecco allora che, per una manovra inesplicabile, lo scrittore si ritroverà all’improvviso all’interno del cerchio; mentre il vuoto, che «forma quella parte di lui dalla quale ormai si sente libero e dalla quale l’opera ha contribuito a liberarlo» (p. 40), sarà ormai contenuto nell’opera stessa. Il circolo che parte dalla scrittura e che per mezzo dell’opera letteraria libera dalla morte è ormai compiuto.
*Immagine: Chiara Coccorese, “La Stanza dell’Acqua”. Fotografia digitale di scenografia in miniatura. Stampa Fine Art su carta cotone Hahnemuhle. 100×36 cm, 2014.
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Andrea Corona
Fotografia digitale di scenografia in miniatura, Stampa Fine Art su carta cotone Hahnemuhle. 100×36 cm, 2014