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Magnitudo OttoPuntoZero

di William Dollace

Panorami isterici per visionari cronici si aprono all’inizio di questa mostra di intemperie mentali, dove poesia delle narici coglie in pieno i matti intenti a giocar a carte, forte impressionismo per psichiatria d’assalto, per manovrarci comodi comodi nella nostra manovalanza mentale disumanizzata.

Ci sono matti al guinzaglio qui, ciclo-cross dipendenti, quarantenni che si credono chiavette USB, maniscalchi dell’informatica alle prese con il rinascimento mai nato degli Stati Uniti d’America.

C’è una sinistroide ala liberale che si uccide su ogni palco, simulando una partnership con ogni spostato d’essere umano cronico e politicamente abitudinario. Vi sono sale per l’intelletto, cinema microscopico per elementi escatologici, manifatture di bricolage seriali e catene di montaggio di marmellate cerebrospinali.
Non ci sono animali, né sedie pieghevoli.
Il peggio è passato.

Ho fissato invano lampade arancioni al mio arrivo qui, nel tentativo ingordo di capire una logica stretta e feroce. Ho simulato orgasmi femminili nella lavanderia comune, ospedalizzando il tutto con rantoli e asciugamani per terra come un tappeto di rose sfiorite.

Alle finestre ci sono poster di cielo senza slogan, la pubblicità qui è inutile, il senno non tollera consenso, gli acquisti rimangono improbabili, la logica di un futuro un motore ingolfato.

Mi manca la città, la sua sinistre sagoma notturna impietosita da culi di puttane e semafori, i pub aperti fino alle 4 dai banconi che sentono di bicchieri e gomiti e whisky, le rappresaglie cattoliche degli alcolisti anonimi, il fin di vita di ogni auto-parlante rotto agli angoli delle vie.

La libreria qui è inutilizzata. Ho chiesto un po’ di titoli, mi hanno guardato storto tipo sorpreso, fra una leggere indifferenza scardinata e un uovo cotto troppo all’interno di un corpo umano reagente.

Rido in faccia alle dosi consigliate, alla vigilanza costante, al maltolto degli scacchi ai nuovi amici che mi farò.

C’è una donna in sala soggiorno che fissa la finestra a Sud.
Di giorno picchia il sole e lei non indossa occhiali da sole.
Allora chiude gli occhi, al tramonto sorride, di notte sembra dormire sogni caldi e tropicali, a giudicare dalla epidermide, diversamente dalla mia, superficie da allevamento per roditori filosofi.

Ho nella mano sinistra la carta igienica, nella destra La volontà di Potenza.
Ho coniugato verbi, ne ho fatto una casa di tolleranza a sviluppo passivo.
Non ho colori negli occhi tranne un nero assurdo, che sfiora la cosmologia dopo il Sessantotto di Kubrick.

Ho perdonato Syd Barrett.
Ho perdonato Kurt Cobain.
Ho assolto Rothko.
Ora voglio il malloppo, la maledizione e il maltolto.

Voglio scrivere il testamento delle generazioni tese all’inizio di tutto questo, quando il salario convulso marinava sere di tempeste serene. Ora tutto è perduto ma viene il meglio. Cala la paura come un sipario in fiamme e accende una speranza.
Una candela elettrica in una Chiesa disabitata.
Non è giusto, non è durevole.
Sei psico-attitudinale.
Sono ultra-psichico rispondo.

E’ un urlare di battaglia, la manopola dell’antincendio, il mio braccialetto azzurro codificato.
Cerco una finestra mi sento soffocare.
Trovo lei che mi prende la mano prima dello schianto.
Immagino il caldo, immagino un sogno.
Quello che in tutte queste notti non ho mai ricordato

Author: William Dollace

William Dollace nasce nel 1979. Collabora quale redattore con la corrente degli “Alieni Metropolitani” e UZAK, rivista trimestrale di cinematografia. Collabora quale Business Writer per BalenaLab e ha collaborato con Archivio Kubrick. Nel 2010 ha pubblicato "Delirio Cinefilo" (358 pag.) per Casini Editore - Roma, recensito da Tommaso Pincio su Rolling Stone. La rivista Carmilla On Line ha pubblicato alcuni suoi pezzi con un'introduzione di Giuseppe Genna.

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