di William Dollace
Dopo aver assistito al decesso delle ultime scorie di televisione, emblema dell’infinito intrattenimento pre-web, è umano troppo umano il sorpasso istantaneo del carro funebre televisivo che faccia fuoco sulle corsie d’emergenza, svelando la materia strutturale delle riproduzioni del nostro io seriale e del degrado graffiante dei suoi derivati.
Attraverso la lettura delle nostre radiografie dismesse nasce il nuovo reparto di questa astronave aliena: “supercalibrofacile” – la pallottola più facile delle deduzioni che opera uno slalom fra tutte le squilibrate e dislessiche forme artistiche letterarie e cinematografiche senza conservanti.
Si canterà dei game over a grappolo, delle stimolazioni visive, del ticchettio di macchine da scrivere proveniente dalle stamberghe in mezzo ai boschi in cui si nascondono Pynchon e Salinger, dei trapassi delle celebrità e di tutte le mostre delle atrocità, dell’alienazione iper-tecnologica, dell’Uomo che Cade di DeLillo e Mad Men, di quel cinema da margini degli aeroporti abbracciato al Disagio della Civiltà sotto i cavalcavia di Ballard, in mezzo al costante Rumore Bianco del magma in cui siamo immersi.
E ciò nonostante reagendo a quattro mani, con la penna fucile, la mente a coltello e le cicatrici scattanti che non riescono comunque a celare il cuore al proprio posto.
Si farà di qualsiasi cosa incandescente materia letteraria, una promessa sottesa all’impossibilità e alla pericolosità di rimanere immobili.
La nuova sezione è un mobile consegnato smontato e senza libretto d’istruzioni, non nasce come un like da scorrimento veloce ma come un guado da affrontare il cui patto implicito è concedersi il tempo e il lusso sfrenato di rimanerne incagliati con occhi spalancati, come nelle periferie metalliche degli sfasciacarrozze abbandonati e illuminati dalle torri di controllo dell’ironia.
Se la convinzione svincolata dal pensiero e tradotta in parola si presenta come una pellicola riversata in digitale, questi testi nascono come risate fuori sincrono dai Rabbits di Lynch, dopo la morte da schianto del Jude Quinn di Haynes, sotto la pancia della tarantola, nelle vasche da bagno mescaliniche di Burroughs, in un’immagine talmente sgranata da poterci abitare.
E se siete nascosti fra gli emarginati che camminano per visione di cui canta e incanta William T. Vollmann, accanto ai freaks della Arbus, fra i nipoti di Nonna Sparrow in Donnie Darko alla Ennet House o semplicemente seduti in buona compagnia al balcone del “Sloppy Joe’s” bar, gli Alieni Metropolitani e tutti i loro reparti vi vogliono come lettori e possibili interlocutori.
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