di William Dollace
Gli scatti di Evan Thompson ci mostrano la vita via via come un’area dismessa in costruzione, da non oltrepassare o da attraversare correndo, le luci che scheggiano come sconfitta contro il tempo, la notte che le canta e le contiene nella placenta di cemento e metallo che è il sogno di una vita: San Francisco.
Non c’è disincanto se non appropriarsi del qui e ora, scatto di uno scatto in velocità che elude lo spazio e si fa fluido di luce, l’elettricità un fiume che scorre tra le ragnatele di filo spinato divelte dall’American Dream. In un attimo di quiete il volto dell’America che ha paura, coperta da una maschera antigas e protetta dalla propria bandiera.
Eppure non v’è angoscia, questi scatti cercano varchi per mostrarsi e per mostrarci. Corpi protesi al futuro in istantanee che canonizzano La connessione, come il Golden Gate Bridge, il simbolo visionario che come una fucilata sospesa attraversa penetra e oltrepassa la baia.
Altro rito di varco è la metropolitana che come una vena striscia sotto la pelle di asfalto della città tagliata a metà dalla nebbia, in cui scorrono strade imprigionate sotto ragnatele di metallo, veicoli di corpi umani colti nel momento della delusione e paradossalmente nel medesimo istante in cui la vita abbraccia le trappole facendole saltare.
La fotografia di Thompson è nello stesso tempo chirurgia da obiettivo e organo cardiaco in frequenza furente, corpo e occhio, inscindibili, con l’occhio che si fa da parte e il cuore che ride senza copione.
Itinerari spediti a nessuno, in perpetua collisione.
Eppure è tutto un tender la mano.
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* Qui tutti gli scatti. Tutte le foto sono di Evan Thompson.