La Storia
Dio se ne è andato a pesca. Vestito tecnico color cachi e berretto coordinato. Dopo aver seguito la creazione per tanti lustri, arrivati al Rinascimento, è venuto il momento di una pausa.
Gesù nel frattempo fuma canne e suona la chitarra.
Dio finisce la sua vacanza. E´ euforico: tante solo le trote grosse e grasse pescate dal Santissimo. L’allegria, purtroppo, dura poco. Nelle poche settimane di paradisiaco relax, sono trascorsi secoli tra i mortali. Qual’é il risultato? Genocidi, razzismo, fanatismo religioso, diaspore, distruzione sistematica dell’ecosistema e un continente di rifiuti che galleggia nel pacifico!
“Per Dio!”, sembra il caso di dire, com’è stato possibile un imbarbarimento tale? Eppure lo aveva detto a Mosé: “dì loro di Fare i Bravi”. Ma lui niente, cocciuto, ha voluto reinterpretare tutto e scriverne dieci di comandamenti. Va beh. Ora mai è troppo tardi. Tutti gli evangelisti a rapporto per analizzare la situazione.
Meteore, peste; ma sì, facciamogli fare la fine dei dinosauri e non parliamone più. Eppure c’è qualcosa di buono in quei bipedi. La letteratura, la pittura… per non parlare del rock’n’roll!
Forse una speranza c’é ancora. Figlio mio, mi spiace, ti tocca tornare giù.
Gesù Cristo. Così si fa chiamare e dice di chiamarsi. Nasce il 25 dicembre da una vergine tra i campi di grano infiniti degli States. Ancora giovane, si trasferisce a New York. Aiuta i tossici ad uscire dal tunnel, guida i poveri tra tonnellate di rifuti buoni, scartati dai supermercati; si oppone alla violenza delle divise e di tanto in tanto finisce in carcere.
Lo sguardo profondo, il sorriso serafico, privo di pregiudizi e di giudizi, Gesù suona in una band e ne stende una dopo l’altra. Ha una voce, manco a dirlo, divina e con i suoi jeans sdruciti e un paio di converse bucate, ricorda l’idea platonica di Kurt Cobain.
Così, in un’arida alba newyorkese, dopo una grigliata da barboni su una terrazza di sfrattati, ecco che arriva il segno: un cartellone pubblicitario per un talent scout show, il più grande d’America.
Gesù partecipa, vince una puntata via l’altra, porta a Los Angeles la sua crew diseredata e stravolge le regole del gioco. L’America è in ascolto e lui parla al cuore di tutti: “fate i bravi!”.
Ma come per tradizione, c’é solo un modo per salvare l’umanità. Una lunga e terribile Passione.
Parla l’autore.
«Non riconosco il concetto di bestemmia, sono ateo, per me è qualcosa di illogico. Non mi sento di offendere qualcosa in cui non credo. Spero che nei miei libri ci sia un bel po’ di comico. Ho scoperto che mi viene piuttosto facile scrivere cose che facciano ridere. A un certo punto, al mio sesto libro credo, ho cercato di fare qualcosa di nuovo, di allargarmi e di lasciare un po’ in pace la mia vena comica, ma non mi è riuscito un granché»
«Mi piace la brutalità se è presentata in maniera elegante. Mi piacciono le parolacce quando stanno in una frase ben costruita. Mi piace che una prosa ricercata possa essere condita dalle bestemmie. Il rischio è quello di diventare troppo pomposi, troppo ricercati, io evito questo rischio usando un linguaggio diretto, senza mai pulire niente ma in modo che tutto quello che scrivo sia perfettamente chiaro. Una volta ho chiesto al mio traduttore tedesco quale pensava fossero le ragioni del mio successo in Germania. Mi ha risposto: “Ai lettori piace il modo elegante con cui costruisci le frasi e il modo in cui imprechi”».
Dice di lui Einaudi
John Niven è nato a Irvine, Ayrshire, Scozia. Scrive per «The Times», «The Independent», «Word» e «FHM». Ha lavorato per anni nell’industria discografica, contribuendo probabilmente a mandarla a catafascio. Ha pubblicato il romanzo breve Music from Big Pink e i romanzi Kill Your Friends (satira del mondo della musica britannica al suo apice, che gli ha garantito fama e riconoscimenti) e The Amateurs. Il successivo, A volte ritorno (Stile Libero 2012), è stato un caso editoriale. Nel 2014 ha pubblicato, sempre per Einaudi Stile Libero, Maschio bianco etero.
Commento: tra il vuoto ideologico e il talento narrativo.
“A volte ritorno” è una perla postmoderna. Questo giudizio non ha nulla a che fare con la definizione di “un buon libro”; piuttosto con la presa d’atto che questo romanzo è, più di altri, figlio dei nostri tempi.
Il Gesù Cristo storico viene strappato dalla croce e sbattutto nel cesso, con un certo orgoglio e una certa “pomposità” da parte dell’autore. Gesù partecipa ad un reality. Lo sceglie come mezzo per diffondere il suo messaggio. Questo già basterebbe; ma il messaggio non è quello evangelico; il Gesù di Niven è solo uno sfattone convinto che una comune e qualche canna possano salvare il mondo; è il messia del nulla. Il messia del generalismo, del buonismo, della superficilità.
L’autore è dissacrante, direbbero i politicamente corretti. In realtà è un irrispettoso intollerante razzista, orgoglioso di cagare sulle millenarie convinzioni altrui. Molte delle sue invettive sono in parte condivisibili, seppur sempre riduttive, superficiali, volgari.
Mi ha quasi commosso la cieca aggressività con la quale punta il dito, sempre generalizzando, contro cattolici, musulmani, politici contemparanei. E’ commovente (forse perché un po’ retrò) che riesca ad avere tanta facilità nel giudicare interi processi storici in poche righe.
La realtà è molto più complessa: non vi è mai una sola spiegazione, un solo colpevole o un solo eroe. A John Niven non interessa, si nasconde dietro “una quasi comicità uscita male”, per diffondere le sue convinzioni che – forse mi darete ragione – pesano nulla.
Ciò nonostante il libro si fa mangiare. Immagini, monologhi, scenette e bestemmie volano come freccette al centro delle nostre convinzioni. E anche chi, come il sottoscritto, ha una differente e complessa visione del mondo, alla fine lo deve ammettere: per quanto narri del nulla, lo fa davvero bene.