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Ho sognato di essere una bibliotecaria

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Devo imparare a controllare la mia ansia.

Il che non significa scolarmi il vino bianco che tengo in frigorifero per cucinare o distruggermi nella corsa fino ad arrivare a non pensare a nulla che non sia la mia stessa stanchezza; significa trovare un modo per non entrare in panico.

L’entrata in panico è, da sempre, il mio marchio di fabbrica. Fatico a ricordare un periodo della mia vita senza questa amica-nemica così scomoda ma, nel contempo, così ricorrente da diventare di casa come le più radicate abitudini.

L’entrata in panico si manifesta con chiari segnali fisici: la comparsa di un rossore degno di nota, la sudorazione eccessiva e il bisogno impellente di andare in bagno. Ovviamente la maggior parte delle volte è accompagnata da altrettanti campanelli d’allarme emozionali: battito accelerato, ansia dirompente capace di sfociare come niente in angoscia, per non parlare del completo azzeramento cerebrale e della voglia irrefrenabile di sparire.

So bene di aver scritto quella cazzata sull’abitudinarietà ma, appunto, di cazzata si tratta.

Abituarsi non significa arrivare ad un processo di accettazione. Io odio entrare in panico (e chi non lo odierebbe?).

Non sopporto la mia incapacità di gestire le pressioni esterne, gli ostacoli, le presentazioni pubbliche, i discorsi in ufficio, le discussioni davanti a molte persone e, persino il “semplice” gesto del relazionarsi. Mi innervosisce vivere con la consapevolezza di quanto la mia crescita anagrafica non sia stata per nulla accompagnata da un aumento di autostima che mi aiutasse a sconfiggere, o anche solo ad arginare, questo problema.

Io vorrei un lavoro di quelli senza esposizioni, un lavoro senza eventi ai quali dover partecipare, senza discorsi, senza telefonate. Vorrei un lavoro in quella biblioteca dietro casa: piccola, senza troppi clienti, senza PC, senza nulla al di fuori dei libri. Potrei addirittura trovare delizioso rispondere al telefono, sporadicamente.

Adoro la componente silenzio. Nelle biblioteche non puoi urlare, non puoi permetterti di lasciare la suoneria in modalità on sul cellulare, persino parlare risulta fuori luogo.

Sogno una vita dove alzare la voce sia solo un’immagine sbarrata all’ingresso della sala; sogno una vita in una biblioteca di quartiere.

La mia invidia è specificatamente direzionata verso ogni singola bibliotecaria che lavora quotidianamente sul territorio nazionale. Soprattutto quelle che si occupano di piccole biblioteche di paese o di periferia.

La parola ambizione non mi è mai sembrata così interessante, non l’ho mai adorata tanto da farne una fissazione come molte delle persone che mi circondano. Detto sinceramente, la parola ambizione non mi è mai piaciuta.

Ai tempi del liceo avevo un’amica, una di quelle amiche con cui ti siedi su una panchina e prima che tu te accorga è già buio. Lei mi guardava sempre fissa negli occhi, mi diceva: “ io non voglio essere mediocre, noi non saremo mai mediocri”. Pronunciava quella parola con disgusto, la trattava con ripugnanza ed io, da sempre incline all’accondiscendenza, fingevo di assecondarla con brevi cenni col capo.

La mediocrità è sottovalutata, si pensa che ci crolli addosso come una punizione divina quando invece molto spesso viene scelta con coscienza tra le innumerevoli possibilità che la vita ci offre.

Non capisco a cosa serva mirare all’ambizione quando si potrebbe stare su un terrazzo con una bottiglia di vino buono leggendo grandi libri, intervallati da roba più scadente.

Trovo fondamentale leggere testi scadenti de vez em quando, come dicono i portoghesi.

Il tutto dopo un turno di lavoro in biblioteca, questo è chiaro.

La frustrazione del confronto mi fa venire la gastrite.

Ho due sorelle e un fratello, sono tutti laureati, hanno figli biondi e posizioni lavorative degne di nota. Io non mi sono laureata, mi mancava solo la discussione della tesi ma la paura a volte paralizza; paralizza me perlomeno.

Non riesco a guardare film e serie TV ambientate negli ospedali e ad ogni minimo sintomo penso di essere portatrice di qualche malattia grave. Ipocondriaca fino alla punta dei miei capelli biondi, tinti.

Forse una bibliotecaria non dovrebbe tingersi i capelli.

Anche pensare alle malattie mi fa venire la gastrite.

E poi c’è lo stress, lo stress cronicizza la mia gastrite e rovina i miei tentativi di una manicure decente.

Ma ora, ho scoperto lo zenzero.

Ho scoperto anche che la signora che lavora in biblioteca, la quale ovviamente non si tinge i capelli, sta per andare in pensione; forse un giorno potrei essere al suo posto, avere dei bambini, non necessariamente biondi, e vivere in quell’appartamento con le finestre rosse alla fine della via.

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immagine di copertina: Roll Folding Book from katescreativespace.com

Author: Ilaria Bonfanti

"Dammi del caffè (molto) nero bollente, una zucca da mettere nel forno e una bic nera senza gel, senza cappuccio e senza troppi fronzoli e ti assicuro che siamo già sulla buona strada. Aggiungici i miei ventisette anni e una vita divisa tra Bergamo e Rio de Janeiro, vita che mi ha resa una polentona con il sorriso carioca. Vanno a completare il quadro un giradischi che non smette mai di suonare musica, quella stessa musica rubata ai vari mercatini di antiquariato e, una montagna di libri. Libri che stanno nella testa, nei ricordi, nelle intenzioni e in giro per tutta la casa. Colleziono Baroni rampanti nelle diverse lingue, adoro andare al mare in bicicletta, stare in silenzio in autunno e rubare l'uvetta dalle fette di panettone. Non sopporto le colazioni fatte di fretta, le persone arroganti e il mese di novembre. Questa sono io e, con un po' di fortuna, ci capiterà di scontrarci in una libreria in giro per il mondo."

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