“Per descrivere un bisogno umano, ho sempre desiderato scrivere un libro che finisse con la parola maionese.”
Si conclude così, uno dei romanzi più piacevolmente assurdi che abbia mai letto in tutta la mia vita. Richard Brautigan è riuscito a farmi ridere moltissimo e, nel contempo, ad intristirmi lasciandomi di fronte alla panoramica di questa America “moderna”, tanto evoluta da essere capace di perdere quel legame con la natura che era una delle sue fondamenta. Una terra alla mercé di quello stesso sogno americano forse già morto da tempo.
Il capitolo sull’autopsia di Pesca alla trota in America, questo personaggio-non personaggio che ci accompagna in tutta la narrazione, è proprio la descrizione dell’olezzo terribile che si porta dietro il cosiddetto “american dream”. Autopsia che vede il corpo conservato in un sarcofago contenente seicentottanta litri di alcool e destinato ad arrivare in Inghilterra, il più lontano possibile dall’Idaho, dal Little Redfish Lake, dal Big Lost River e da Lake Josephus.
L’indefinibile protagonista che incontriamo in questo romanzo senza una storia ben precisa, privo della benchè minima inquadratura narrativa è, appunto, Pesca alla Trota in America. E chi è, Pesca alla Trota in America? È un barbone, uno stile di vita,un viaggio, una nazione ma, anche, uno stato d’animo al quale il lettore si affeziona senza sapere per quale motivo.
La grande forza di questo romanzo è nell’uso coraggioso, a tratti spregiudicato del nonsense. Brautigan in questo è decisamente un mostro di bravura. Citarne degli esempi è riduttivo, proprio perchè il romanzo stesso si regge su una totale assenza, perlomeno in superficie, di significato; su immagini fantastiche inserite in un contesto di realtà. Una su tutte il Deposito Demolizioni Cleveland dove si vendono ruscelli da trote di seconda mano. Ruscelli venduti al metro quadro per trentacinque centesimi al pezzo, con un aggiunta di trentacinque centesimi per ogni uccello.
Facile capire perchè il libro sia uscito dopo sei anni, passando per una lunga serie di rifiuti editoriali. Ancora più facile constatarne il proseguo, segnato da un successo incredibile: il libro culto in tutta la West Coast e nei campus universitari è arrivato piano piano in tutto il mondo conquistando i suoi lettori con uno stile nuovo senza definizioni, surreale ma con una visione ben lucida sulla realtà. Un chiaro punto di riferimento della controcultura americana.
I richiami letterari presenti pagina dopo pagina sono innumerevoli: da tutta la tradizione della narrativa pastorale americana, alla forte presenza di Melville con il suo Moby Dick, a quella sfida uomo-natura che però, in questo caso, non vede quest’ultima come vincitrice.
L’ ironia che lo scrittore usa nel descrivere il suo paese non va a colpire solo la classe moderata-conservatrice ma anche tutta quella parte di società alternativa alla quale, come ci dice Enrico Monti nella sua lucidissima recensione “L’America è spesso soltanto un luogo della mente”, spesso l’autore veniva collegato.
Pesca alla Trota in America è un libro che poco si presta ad una recensione e che proprio per questo motivo ho voluto recensire, un romanzo che prima di tutto mi ha fatto ridere di gusto per poi trascinarmi in una malinconica constatazione di ciò che l’America ma, in realtà, il mondo in generale non è più.
Immagine di copertina: Allyson Shotz, Geometry of Light, 2010, aluminium discs and bugle beads on wire or fishing line“I bei tempi sono finiti perché Shorty Pesca alla Trota in America è ormai un uomo famoso, è stato scoperto dal cinema. La settimana scorsa la Nouvelle Vague l’ha tirato fuori dalla sua sedia a rotelle e l’ha steso sul selciato di un vicolo. Poi hanno girato diversi metri di pellicola su di lui.”