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Il Mondo Nuovo – Aldous Huxley

«Sapete cos’erano i “genitori”?» chiese il Direttore.

Molti degli studenti arrossirono. Uno ebbe il coraggio di alzare la mano.

«Gli esseri umani una volta erano…» disse esitando, e gli vennero le fiamme al viso. «Insomma, una volta erano… vivipari».

«E quando i bambini venivano travasati… »

«Partoriti» lo corresse il Direttore.

«Ebbene, allora erano i genitori… voglio dire, non i bambini, naturalmente, ma gli altri…». Il povero ragazzo era pieno di confusione.

«Insomma,» concluse il Direttore «i genitori erano il padre e la madre (ehm! ehm!)».

«Sono fatti sgradevoli, lo so» disse gravemente. «Ma d’altro canto la maggior parte dei fatti storici sono sgradevoli»

Il primo capitolo di Brave New World di Aldous Huxley mi ha fatto fare un salto sulla sedia e regalato svariati moti di fou rire, quel riso convulso che ti coglie di sorpresa e ti lascia estasiato e incredulo. Potrei fare molti paragoni, più o meno legittimi, con romanzi come Noi di Zamjatin o Piano meccanico di Vonnegut, ma l’elemento grottesco di queste pagine è così adorabilmente british da ricordare più che altro gli improbabili sketch del Monty Python’s Flying Circus. E mi sembra quasi di vederli, John Cleese e Graham Chapman nei panni del Direttore del “Centro di incubazione e di condizionamento” e dell’imberbe e impacciato studente.

Ma veniamo alla trama: in una Londra futuristica che inneggia al Dio Ford, gli esseri umani vengono “bokanovskificati”, ovvero prodotti in serie, con conseguente sovrabbondanza di gemelli («Far crescere novantasei esseri umani dove prima ne cresceva uno solo. Ecco il progresso»). All’interno di laboratori simili a fabbriche, si trovano uomini e donne “tipificati” che garantiscono la stabilità sociale, a cominciare da quelle “sale di condizionamento neopavloviano” del reparto infantile della struttura, dove i bambini vengono sottoposti a esperimenti basati sul principio del riflesso condizionato e soprattutto a reiterati trattamenti di “ipnopedia” incentrati sulla diffusione di slogan da far ascoltare durante il sonno.

Se a detta del Direttore del Centro l’ipnopedia «è la massima forza moralizzatrice e socializzatrice che sia mai esistita», lo psicologo Bernard Marx, che conosce tutti i segreti di questa pratica, nutre delle riserve. Ed ecco che, così come l’archivista Winston Smith di 1984 rappresenta in qualche modo l’ultimo residuo di memoria storica, lo psicologo ipnopedico Bernard Marx «si sentiva così miserabilmente isolato. Separato e isolato» dal resto della società. In una società il cui motto è «Comunità, Identità, Stabilità», Marx cerca di incoraggiare se stesso e gli altri ad un sano individualismo, ma per questo motivo inizieranno a circolare delle dicerie sul suo conto, sicché la sua singolare condotta verrà attribuita a nient’altro che ad una quantità di alcool finita per sbaglio nel suo surrogato sanguigno al momento della “nascita”. Molto divertenti, a questo proposito, i discorsi romantici di Marx: nonostante siano bandite le emozioni e le inibizioni di ogni tipo in favore di un infantile e sfrenato edonismo, Marx, pur potendo, come tutti, avere qualsiasi donna in qualsiasi momento, cerca di sedurre la bella Lenina con dei sermoni sulle emozioni, ottenendo, di contro, nient’altro che alzate di spalle e occhiate cariche di sospetto e circospezione (che Marx sia innamorato di Lenina, poi, è un’altra trovata molto interessante).

Il romanzo vedrà un susseguirsi di interessanti colpi di scena (che non intendo anticipare; ma si sappia solo che ad un certo punto si scoprirà l’esistenza di un ragazzo nato da genitori vivipari!), che si accompagnano a una vasta gamma di “cifre”, caratteristiche di quest’opera, come il cinema odoroso, i campi di golf elettrificati, le pasticche di soma (sorta di allucinogeno psichedelico), la divisione in caste (come fossero automobili, gli individui hanno delle uniformi di un colore predefinito che rende riconosciibili i “modelli” di appartenenza) più, naturalmente, una lunga serie di paradossi e provocazioni:

«Distogliendo lo sguardo, arrossì con palese contrarietà; lo fissò con subitaneo sospetto e, quasi offeso nella sua dignità, il Direttore disse: «Non penserete ch’io avessi con quella ragazza dei rapporti inconfessabili. Niente d’emotivo, nessuna continuità. Tutto era perfettamente sano e normale»

C’è tuttavia una frase, una frase con la quale vorrei concludere e che, pur pronunciata in questo capovolto mondo nuovo, risulta di una bellezza universale: «Le parole possono essere paragonate ai Raggi x; se si usano a dovere, attraversano ogni cosa».

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Author: Andrea Corona

Andrea Corona (Napoli 1982) lavora in campo editoriale. Saggista, è autore di scritti filosofici e letterari pubblicati in volume e su rivista. Per gli Alieni scrive racconti, recensioni e saggi brevi.

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