Racconto scritto e proposto da Damiano Provenza
Certe sere mi sedevo sull’altare di cemento in cima alla valle, provando ad ascoltare i rumori che arrivavano dalla distesa di cemento che vedevo sotto di me, dove tutto mi sembrava frenetico e sconnesso come il silenzio di frequenze armoniche interrotte.
Mi chiamo numero 21, mi piace la musica del refettorio a tarda sera, la cena del giovedì, il vento che entra nella mia finestra buia. Mi piace il buio. Mi piacciono gli occhi di numero 3.
Scrivo le memorie prima che sia tardi su questi tovaglioli rannicchiati stanchi ammassati sotto il mio letto, affogato dalla ciniglia stanca. L’inchiostro mi sporca le dita, ne sorrido. Dalla mia stanza questa luna a scacchi sembra sorridere, sembra avere occhi per piangere di me. Lacrime per piangere di me. Un cuore per piangere di me.
Ieri sulla quercia che da ombra alla fontana di marmo ho visto un cuore inciso a forza, e dentro scritte con foga parole che non conosco. 16 crede siano nomi, lui crede a miliardi di cose impossibili che non si spiega.
Quando possiamo noi ragazzi ci sediamo in circolo a fissare i “loro” movimenti, fissiamo loro che ci fissano chiedendoci cosa muova i loro cuori. Hanno un cuore? I soldati bianchi si muovono lentamente e ci parlano a bassa voce, quasi ad addormentare ciò che resta dentro questi nostri occhi spenti. Mi chiedo se vedrò mai un posto che non sia questo. Voglio vedere i colori del cielo e della valle anche qui, non questo bianco dei pazzi, non questo nero di stolti profeti silenziosi. Voglio vedere altro.
Qualche mese fa 16 mi chiese se avessi mai pensato a cosa fossero quelle macchioline che si muovono a fondovalle. Se lo erano chiesto tutti, naturalmente, ma non avremmo mai avuta una risposta. Questa condanna a non sapere che muove gli uomini e li tiene sospesi sul naturale eterno dubbio.
Ai soldati bianchi non importa, o almeno questo è ciò che credo adesso, questi dannati uomini di neve sciolta, freddi manichini che danzano, che si prendono me e i miei pensieri. Le loro macchine sul petto sono fredde, i loro petti sono freddi. Gli ho chiesto cosa fosse quel tremito alla voce che mi dava numero 3. Un ghigno per risposta non mi basta. Questo cuore è pieno di collera. E poi cosa sono davvero quelle macchioline che si muovono, sono altri come noi? Magari c’è tutto un mondo di colori oltre queste mura durissime e umide delle lacrime che ci abbiamo versato d’inverno e che vanno più in profondità di tutta la pioggia piovuta nel tempo.
Nel corridoio fuori dalla mia porta c’è un biglietto di carta bianchissima, poche parole scritte sopra, è sterile e perfetto.
Tutto è perfetto. Tutto è vuoto.
Cosa sono queste parole che non capisco, cos’è?
Progetto “Never Soul” 26 Luglio 2008 09:13
Il soggetto numero 8 presenta notevoli progressi alla terapia, diminuzione di emotività in aumento.
Cosa vogliono dire questi numeri? E queste parole? Accanto c’è un altro biglietto scritto a penna sporco e piegato male. La calligrafia è illeggibile, scritto male.
Torna presto da lavoro papà, ti voglio bene. Mamma ha detto di non scordarti le uova.
Piango tutte le lacrime lasciate vive, senza una ragione che spieghi questo vuoto che sento. Ho un bisogno assurdo di credere a qualcosa, di restare aggrappato a qualcosa.
Il soggetto numero 21 è triste, sembra combattere la terapia…
Damiano Provenza