“[…] il critico, uomo o donna che sia, ha un esercito di lettori, intere falangi, praticamente. Ma uno scrittore è solo, è una bestia sacrificale, è un pazzo e uno sciocco. Oppure è un moribondo o un ubriacone”.
Questo buio feroce, Harold Brodkey
Quanto “Blue” è il testamento cinematografico di Derek Jarman, tanto “Questo buio feroce” è l’autobiografia a propria mano della morte di Harold Brodkey, una morte dal nome AIDS iniziata e conclusasi in pochi anni.
In questo libro di memorie lucide e allo stesso tempo febbrili prima dell’esecuzione della sua condanna, Brodkey non tralascia nulla, mette sul piatto il passato, un presente infetto, e quello che sa essere il futuro, senza retorica ma con l’estrema posologia dell’onestà: gli ultimi anni con la moglie Ellen, i pensieri di un doloroso e fiero declino descritto comunque come uno dei periodi più felici della sua vita, i detrattori dell’ambiente letterario, l’amore sconsacrato per New York [al pari di quello di Steve McQueen in Shame], una vita sancita dalla scrittura nell’imperativo onnipresente e irremovibile in cui si può e si deve scrivere tutto, senza tralasciare nulla, scrivere la verità, prima di tutto a se stessi.
“Che bisogno c’è di tante notizie dall’estero quando tutto ciò che riguarda la vita e la morte viene trattato e agisce dentro di me?”
Blue, Derek Jarman
Con questo testamento Brodkey scrivendo il ritmo della morte disegna la geometria della paura e la aggira con la poesia.
“Sono annidato vicino alla finestra, dalla quale posso vedere Midtown e la sua mutevole parata di grattacieli e di luci; gli uccelli che passano in volo proiettano delle ombre su di me, sulla mia faccia, sul mio petto. Non posso cambiare il passato, e non credo che lo farei. Non mi aspetto di essere capito. Mi piace quello che ho scritto, i racconti e i due romanzi. Se dovessi rinunciare a quello che ho scritto per guarire da questa malattia, non lo farei.”