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Perché è inutile recensire Joyce, ovvero l’Ulisse

Commento di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

Leggere l’Ulisse di Joyce con la pretesa di comprenderlo è impossibile per la maggior parte dei lettori. Per questa ragione ho intitolato questo mio commento (di più non può essere) “Perché è inutile recensire Joyce, ovvero l’Ulisse“.

“Recensire Joyce”

Se in ogni opera letteraria l’autore è demiurgo della sua stessa materia (esperienze, pensieri, sogni) nell’Ulisse è difficile, se non impossibile, riuscire a distinguere la presenza dell’autore dallo scritto, tanto per l’originalità insuperata dello stile, quanto per la dimensione fortemente simbolica del testo.

Pretendere di recensire l’Ulisse di Joyce risulterebbe tanto arduo quanto tentare di descrivere una persona, citandone a memoria le affermazioni, senza conoscere le motivazioni che le hanno suscitate.

Durante la lettura (faticosa, fastidiosa, annichilente, eppure esaltante) mi sono tornate alla mente le lezioni di letteratura inglese del liceo. Senza soffermarmi troppo su questo punto, sono giunto alla conclusione che anche queste ultime sono state inutili, se non per un fatto: hanno scolpito nella mia memoria l’accostamento tra Joyce e lo “Stream of Consciousness” preparandomi, in qualche modo, al labirinto cognitivo.

Nondimeno, mi hanno presentato un solo frammento di un’opera che va ben al di là della tecnica di scrittura appena citata.

Similmente, con approccio divulgativo, on line (a favore di chi, al liceo, è costretto a preparare una recensione o un riassunto), spesso si riassume l’Ulisse di Joyce come la giornata di un gruppo di personaggi, all’interno dei quali spiccano Leopold Bloom, Stephen Dedalus e Molly Bloom; rispettivamente: Ulisse, Telemaco e Penelope.

il Poema della Complessità Totale

In verità l’Ulisse è un’opera molto più simile alla Divina Commedia che al romanzo (anche se Joyce non sarebbe d’accordo), quindi al poema. Un’opera mitica (nel vero senso del termine) i cui tratti valoriali però sono riflesso della totale confusione in cui versa la sua (e la nostra) epoca.

Frammentazione, relativismo, soggettivismo valoriale, perversioni ed ossessioni compulsive sono perfettamente rappresentati tanto dai personaggi quanto dallo stile attraverso cui l’autore descrive azioni e pensieri.

“Ho inserito così tanti enigmi e puzzle che terrò gli studiosi impegnati per secoli a discutere di ciò che volevo dire”. Per nulla umile, di certo sincero, così commenta James Joyce la struttura del suo capolavoro. Una complessità totale ma strutturata, a tal punto da essere schematizzata con l’intento di agevolarne la comprensione all’amico scrittore Carlo Linati e all’amico Stuart Gilbert (da cui lo schema Gilbert e lo schema Linati) e, forse, per dare un punto di partenza a noi tutti.

Diciotto episodi che, senza l’ausilio degli appena citati schemi e senza l’aiuto del testo “Ulisse, Guida alla lettura” di Giorgio Melchiori e Giulio De Angelis (novelli Virgilio dei gironi dublinesi), si sarebbero mostrati quali un guazzabuglio folle di personaggi isterici e simbologie remote.

Ad ogni episodio corrisponde una scena (sostanzialmente uno scorcio di Dublino), un’ora della giornata (del 16 giugno 1904, data in cui si svolgono le vicende dei personaggi, corrispondente alla data in cui, nel mondo reale, Joyce ha incontrato sua moglie), un organo del corpo, un simbolo, un senso, un’arte ed una tecnica narrativa ben precisa.

Per ogni episodio abbiamo protagonisti e situazioni simboliche. Ogni episodio è tavolo di lavoro stilistico, è scrigno di citazioni letterarie alte (spesso inafferrabili), confronto con tematiche etiche e religiose, piano di approfondimento con la realtà storica, politica e sociale contemporanea all’autore. Tutto ciò, nella sua totalità, è anche (se non soprattutto) riflesso deformato e lontano dell’Ulisse omerico.

L’uomo contemporaneo come nemesi dell’uomo antico.
Al sistema di valori classico, in cui l’uomo diviene eroe consacrandosi ad una promessa eterna e sfidando la Natura e gli Dei, si contrappone l’Ulisse di Joyce, tra una pisciata al gabinetto, un funerale, un tradimento e quattro passi al bordello.

In questo sta a parer mio l’aspetto più interessante di tutta l’opera. L’aver contrapposto due epoche, mettendole l’una in fianco all’altra simbolicamente e sviluppando plasticamente, con uno stile inedito (anche se sarebbe più giusto dire con un insieme di stili), il punto di vista schizofrenico di un’intera esperienza umana.

Battezzando la sua opera “Ulisse” Joyce ha scolpito nella pietra la sua visione del mondo, avendo la forza, come autore, di competere con il testo fondante di tutta la cultura occidentale.

Ubi maior minor cessat

Eliot nel 1923 affermò che l’Ulisse aveva la portata storica di una scoperta scientifica, poiché rappresentava il superamento del romanzo, conseguito tramite la sostituzione del metodo narrativo con quello mitico.

Opera di portata epocale anche per Carmelo Bene che, intervistato sul suo rapporto con l’Ulisse, afferma che Joyce ha cambiato la sua interna esistenza, stravolgendone i gusti, il modo di pensare, la ritmica, gli appetiti musicali.

Ezra Pound commenta l’Ulisse così: “Tutti gli uomini dovrebbero unirsi a lodare Ulisse. Coloro che non lo faranno, potranno accontentarsi di un posto negli ordini intellettuali inferiori. Non dico che tutti dovrebbero lodarlo da un medesimo punto di vista; ma tutti gli uomini di lettere seri, sia che scrivano una critica o no, dovranno certamente assumere per proprio conto una posizione critica di fronte a quest’opera”.

L’invalicabile Sigillo

Opera sempiterna, chiusa, ermetica ma dalle porte sempre aperte alla sfida, l’Ulisse è forse la definitiva chiusura di una plurisecolare esperienza espressiva, di cui rappresenta il sigillo ed il superamento al contempo.

In alcune esperienze contemporanee americane, tanto care a questo portale (parlo di Infinite Jest e di Underworld, e forse anche dell’Arcobaleno delle Gravità) vi è forse un rapporto dialettico, seppur non esplicitato, con questo monumento. Quantomeno un tentativo di confronto, l’interiorizzazione di una tensione superiore.

Nondimeno, mi sembra che la totalità degli scrittori odierni abbiano rimosso la sfida posta dall’autore irlandese. Lo utilizzano come strumento di legittimazione, mettendolo in bella mostra in libreria o sulla scrivania, senza però tentarne l’emulazione o il superamento.

L’Ulisse di Joyce è come una montagna la cui cima ancora non si è riusciti o non si è voluto raggiungere, e che forse rimarrà (per timore? paura? disinteresse? incapacità?) ancora inespugnata.

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Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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1 Comment

  1. L’Ulisse mi è costato diversi faticosi mesi di lettura. Molto spesso ho guardato la finestra, con l’intenzione di gettarcelo fuori. Poi l’ho finito. Ho capito di tutta quella mostruosa (in senso greco) opera, quel tanto che mi è servito per amarlo profondamente. Il capitolo di Molly, l’ultimo, è stato per me la vera lezione.
    È proprio vero che questo libro ha chiuso un’epoca, aprendone un’altra di cui rappresenta la vetta inarrivabile.

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