Recensione di Ilaria Bonfanti
Tutte le volte in cui termino di leggere le ultime righe di un libro di John Fante, mi ritrovo a pensare a quanto la sua scrittura sia sorprendentemente fluida. Leggerlo tutto d’un fiato è, per quanto mi riguarda, la regola che non lascia spazio a nessuna eccezione.
La storia, le parole, gli scenari e le situazioni scorrono con una facilità quasi destabilizzante.
Facilità che non è da confondere per nessuna ragione con uno dei suoi sinonimi più prossimi, ovvero la superficialità. I testi di Fante non sono per nulla approssimativi; ci troviamo piuttosto di fronte a un autore intenso, spiritoso e spavaldo, capace di creare immagini che difficilmente abbandoneranno la storia e i ricordi letterari di noi lettori.
“Sogni di Bunker Hill” è l’ultimo romanzo di Fante, un romanzo-testamento dove il paroliere del Colorado ci lascia le sue volontà, servendosi ancora una volta dell’ irriverente personaggio di Arturo Bandini. Libro che lo scrittore, oramai privo della vista, si impegnò a dettare alla moglie Joyce all’inizio degli anni ’80.
Con l’avanzare delle pagine, la voglia di incontrare realmente il nostro protagonista, in uno dei tanti bar di cui è popolata la storia, si fa sempre più forte. Chi non vorrebbe bere una birra con Arturo e condividere con lui le grandi e piccole gioie della vita? Trascorrere ore tra aneddoti e considerazioni, scambiandosi confidenze e umori.
Difficile staccare l’autore dal personaggio ma, del resto, come spesso ripeteva lo scrittore in persona: “per scrivere di qualcuno in un libro lo devi amare per davvero” e ai suoi lettori è noto quanto Fante amò se stesso, forse addirittura più di chiunque altro. La Bunker Hill del titolo conobbe John nel 1934, nemmeno venticinquenne; immediato il parallelismo con il testo, dove ci viene raccontato l’arrivo, nel medesimo quartiere, di un Arturo appena ventunenne.
Il sarcasmo di Bandini-Fante ci accompagna per tutto il romanzo, per le strade di Los Angeles, attraverso gli studios cinematografici e nella tanto amata Bunker Hill, lontana dalla ricchezza hollywoodiana ma pregna di vita vera. Questa magnifica ironia permane persino nei momenti di tristezza e sconforto, momenti che rendono il giovane italoamericano ancora più vicino ad ognuno di noi: un ragazzo senza soldi con del talento e ambizione letteraria.
La passione di Bandini, la quale ovviamente riflette quella dello scrittore, è sincera e, a tratti, di forte emozione.
“Un giorno mi avvicinai agli scaffali dei libri e ne tirai fuori uno. Era Winesburg, Ohio […]. All’improvviso il mio mondo si capovolse. Il cielo precipitò. […] Lessi fino a quando mi bruciarono gli occhi. Mi portai il libro a casa. Lessi un altro Anderson. Leggevo e leggevo ed ero affranto e solo e innamorato di un libro, di molti libri, poi mi sedetti lì con una matita e un lungo blocco di carta e cercai di scrivere, fino a che sentii di non poter più continuare perché le parole non mi sarebbero venute come ad Anderson, ma solamente come gocce di sangue dal mio cuore”.
Identificarsi con Arturo Bandini è un attimo, uno di quegli attimi in cui la genialità e la bravura di John Fante si palesano davanti agli occhi per non abbandonarci mai più.
[email protected]