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America – Franz Kafka

Recensione di Andrea Corona

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«Allora sono colpevole», disse Karl, facendo una pausa come se si aspettasse dai suoi giudici una parola amichevole, tale da infondergli il coraggio di continuare a difendersi, ma questa parola non venne

America di Franz Kafka è, senza dubbio, una straordinaria epopea sulla colpa. Karl Rossman, giovane praghese in fuga dall’Europa, giunge a bordo di una nave tedesca nel porto di New York. Mentre è ancora a bordo, si ritroverà a difendere il fochista della nave dalle ingiuste accuse del capomacchinista Schubal. Pur non avendo commesso alcuna particolare mancanza, il destino del fochista sembra, nondimeno, ormai segnato. E l’avventura americana di Karl Rossmann seguirà, in breve, una rotta analoga: assunto come ascensorista presso l’Hotel Occidental, Karl verrà licenziato e umiliato dinanzi ai suoi colleghi e superiori, e, proprio come il fochista della nave, senza aver commesso nulla di grave.

«Non posso dirti espressamente i motivi del tuo licenziamento, perché altrimenti dovrei farti mettere in prigione». L’affascinante sentenza del capoportiere dell’hotel (ma forse, in accordo con un famoso racconto kafkiano, più che di sentenza dovremmo parlare di “Condanna” o di “Verdetto”) sintetizza, come meglio non si potrebbe, una delle caratteristiche predominanti di tutta l’opera di Kafka: il capovolgimento della sequenza logica reato-colpa-punizione. Sì, perché in Kafka non occorre aver commesso dei reati per essere puniti, ma basta essere puniti perché non valga neanche più la pena chiedersi se si è colpevoli o innocenti.

E una colpa ancor più grave perseguita il protagonista di America (romanzo che, si badi bene, era in origine intitolato Il disperso): ripudiato dallo zio Jakob, newyorkese d’adozione, per motivi legati all’onore e ai valori morali, Karl era stato già cacciato da Praga dai suoi stessi genitori, per via d’uno scandalo di natura sessuale (scandalo del quale, però, il giovane pare esser stato protagonista suo malgrado, se non addirittura vittima).

Senza rivelare troppo della trama, possiamo affermare che tutta la vita di Karl, che vagherà come un vagabondo da un alloggio all’altro, finendo per svolgere i lavori più umili e degradanti al servizio dei personaggi più sgradevoli, appare segnata, macchiata, da questa sorta di peccato originale impossibile da estirpare. Emblematico è, appunto, il fatto che Karl non sia stato soltanto espulso dalla casa paterna, o invitato ad abbandonare la città natale, ma cacciato dall’Europa e spedito addirittura in un altro continente. E tuttavia, l’oggetto più caro che questi recherà con sé, sarà proprio la fotografia dei genitori. Fino a quando – particolare non banale – gli verrà rubata.

Ma non solo la colpa è presente in America. L’universo kafkiano, in questa come in altre opere, mostra il suo tratto distintivo in elementi quali l’impossibilità di riscatto, l’attesa vana, l’immobilità fisica connessa alla sopraffazione di un antagonista (abbondano nel romanzo figure imponenti dalle quali il protagonista sarà letteralmente schiacciato e immobilizzato). Senza contare una serie di gesti strani e di posture innaturali del corpo (come il capo esageratamente chino, indice di un desiderio bloccato), fino a giungere ad un’altra nota “cifra” kafkiana: la sensazione che anche il più piccolo degli incidenti possa causare un’irreparabile e immane catastrofe. Ricorrono nel romanzo, a questo proposito, espressioni quali «Karl stava in ascolto come se ci fosse una minaccia nell’aria» e «come se da un momento all’altro dovesse succedere un incidente». Ma è anche, infine, un romanzo nel quale diviene esplicito il tema dell’alienazione, individuale prima (si vedano la sala dei telefoni e quella dei telegrafi nella ditta dello zio Jakob) e metropolitana poi.

Insomma, America è forse il romanzo meno letto di Kafka, ma chissà che non sia proprio questo il più kafkiano.

 

Andrea Corona
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Author: Andrea Corona

Andrea Corona (Napoli 1982) lavora in campo editoriale. Saggista, è autore di scritti filosofici e letterari pubblicati in volume e su rivista. Per gli Alieni scrive racconti, recensioni e saggi brevi.

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