Racconto breve di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
Continuavo a riflettere sull’opportunità di acquistare dei cordini per occhiali. Privo di determinazione, mi angosciavo nel dubbio dell’acquisto.
Senza uno spicciolo, mi aggiravo tra gli spazi vuoti del quartiere. Volumi di nebbia. Sagome immobiliari. Camminavo quieto, seguendo il tracciato coatto del marciapiede, lontano dai giardini pubblici delle piazze razionaliste.
La città studi. Le finestre: rettangoli come fiaccole barcollanti a metri di altezza. Piccoli fari di vita sfocati. Brulicanti. Ne sentivo il peso. L’aspettativa globale. L’inserimento negli indici di quel grande archivio umano: il condominio.
Mi sarei incasellato volentieri nel grande consesso contingente. Verticalizzato. Simili Sapiens Sapiens ai lati, sopra, sotto. La blindata, lo zerbino, il porta ombrelli in ottone, la targhetta del campanello con la scritta protetta dalla plastica trasparente: Lui ed Ella.
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Lui viveva nel dubbio e per quanto cercasse non poteva trovare Ella
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Sebbene ogni sera vagassi nel quartiere per cercarla, Ella non c’era più. Di tanto in tanto mi fermavo al negozio dei surgelati. Cibi inscatolati, tumulati in sarcofaghi bianchi dai voyeuristici squarci trasparenti. Una soffusa luce blu, come le vasche criogeniche dei film di fantascienza anni novanta. Pensavo di poterla incontrare in quel freddo artificiale ed algido, in cerca di un pasto precotto, ma mentivo a me stesso.
Ero solito appostarmi al Caffé Pirola, dall’altra parte della strada. Metà caffé barocco, dal gusto ottocentesco, con camerieri in livrea e lampadari in vetro; metà presente, oggi, adesso: tabaccheria cinese e slot machine, in connessione pneumatica. Una porta a vetri ad apertura automatica collegava i due locali, dal medesimo nome, dal differente odore: profumo di brioche calde, di pacchetti di tabacco, di umidità alcolica, di caffé espresso, di azzardata dipendenza videoludica.
Besame Mucho, cantavano i mendicanti boliviani, in abiti da Pelle Rossa, al di là della vetrata.
Ogni pietanza era in viaggio, pronta ad estinguersi, in danze intercontinentali tra un angolo e l’altro della città. Narici assuefatte da aromi commisti, capaci di distinguere: falafel e cotoletta milanese; spaghetti di soja al profumo d’amarone; kebab farciti con olive taggiasche; orate al curry; pasta al forno con miele e burro d’arachidi.
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Ella posside un’identità definita. Ha individuato una meta riconoscibile.
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Ella non è qui. La sua assenza doveva possedere una logica. Probabilmente è riuscita a sfuggire. Come una liana, che salvi dalla fiera in agguato, in uno slancio salvifico ed aereo: il cordino per occhiali. Con esso il suo volto-madonna è stato definito da una lieve linea di cotone lavorata a mano, suggellato da morsetti di rame e piccole guaine in plastica. Una montatura alla moda ha esaltato il suo sguardo lucente, con alchimie di riflessi.
Non era improbabile che Ella fosse differente, trasfigurata, irraggiungibile. Appartata tra simili, il cui accessorio li rende dannatamente riconoscibili, e per questo rari, preziosi, differenti. Sfuggono al melting pot etnico, come se il cordino per occhiali rappresentasse un sigillo di originalità, una coltre di purezza impermeabile ai radicali e liberi cambiamenti dell’epoca. Forse sta bevendo un Té Prince of Wales, vestita di un tailleur verde acqua, mentre, inclinando la testa, scosta la chioma setosa in un luccichio di riflessi castani. Parla di carriera, di colloqui imminenti, di piani alti da cui, a breve, vedrà tutta la città. La metropoli appesa ai cordini dell’oligarchia che, con coraggio, ha trasformato un vezzo accessorio in un simbolo di verità. Non perdono gli occhiali, rimangono loro appesi al collo, come a dire: “il nostro sguardo, per quanti difetti possa aver maturato, rimane desto e, con questo semplice artificio, continua ad indagare sui processi del globo, estrapolandone una comprensione piena”.
Di certo Ella è là, con loro, felice, serena, intatta. Con i suoi cordini si è imbarcata sull’arca dei Belli e dei Buoni; sicura nella sua posizione sospesa, levita sulle magmatiche correnti del mondo.
Vorrei seguirla anch’io, ma non posseggo il coraggio di distinguermi.
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Lui non ha il coraggio di inseguire Ella. Soffre per la condanna che si è inflitto.
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