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Circonvallazione Esterna

Racconto scritto e proposto da Giovanni Ambrosino

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Tredicesimo, dodicesimo, undicesimo piano. Il display combina segmenti rossi in numeri definitivi come scatti di un countdown. Sul controcielo un insetto, si distinguono solo due appendici pelose, alligna nella quiete incandescente della plafoniera. La piastra in alluminio anodizzato ormai ha i bottoni erosi da milioni di dita.

Rinchiuso nello studio di un geometra fosforoso, tra finestre a vasistas, odore di cellulosa e scadenti pareti di cartongesso, ha consacrato tutto il giorno alle tavole del piano regolatore.

Ora, nella cabina rivestita in plalam, stringe il manico della cartella in pelle come uno scorpione la preda.

Nono, ottavo, settimo piano. Precipita nel vuoto attraversato dalle funi d’ acciaio, tra le strutture murarie scosse dalla puleggia, tra lo stridore dell’argano che sferraglia nell’oscurità. E’ solo. Piccole stille di sudore punteggiano la fronte stempiata. Nello specchio la nuca al centro delle spalle contratte è un tronco mozzato, unito senza indugio alla testa. Una palla gelatinata con due o più virgole che spuntano alla base del cranio.

Quinto, quarto, terzo piano. Allenta il colletto inamidato. La linea verticale delle doghe in acciaio si appiattisce fino a ridursi a un punto. Tutto, il tetto, le pareti, la pedana, sembra essere compresso dalle ganasce di una pinza demolitrice.

Primo piano. Un lieve sobbalzo.

Scende le rampe che portano al parcheggio interrato. In un angolo, tra le poche automobili rimaste, due ombre si allungano. Un uomo e una donna, forse. Ridono. Tutti gli altri fuori, via, già fuggiti nei rispettivi loculi domestici.

Si muove deciso e spedito e fluido, non corre, ma un passo segue l’altro senza esitazioni: sa dove andare. Il tacco poggia sul pavimento lurido per un istante, appena la suola aderisce alla superficie il piede è già sollevato e proiettato in avanti. Apre la portiera. Chiude fuori tutto il resto. Posa la cartella in pelle sul sedile del passeggero. Odora il nuovo della plastica abbandonandosi sullo schienale. E’ un giorno importante. Dopo mesi di lavoro il Progetto è realtà.

Gira la chiave. Il quadro si accende. Si alza la barriera elettrica.

Il cluster di grattacieli affiora dal deserto del giorno che muore, come qualsiasi altro giorno. Le strade svuotate, i self-service chiusi, i taxi assenti. Le finestre a specchio catturano nuvole alte e butterate tra residui di arancio. Nessuno, tranne un cingalese intorpidito su un Si Piaggio. Nessuno, tranne ragazzini con lo skateboard: spettri dalle magliette cascanti che si sfidano disegnando pericolose evoluzioni tra le fontane a secco, tra i blocchi di marmo scoloriti, tra le grate divelte.

La figlia del Senatore ti aspetta. Tu corri più forte che puoi. Ma non per lei. La figlia del Senatore sarà già bellissima e pronta ad accoglierti sulla soglia di casa. Le hai scritto: Missione compiuta.
Hai fatto tutto da solo. Non sei più quello che si fa la figlia del Senatore. Alla rendita lineare preferisci i multipli del rischio. Un premio dal rendimento esponenziale.

Un pulviscolo tossico permea l’orizzonte come se fosse la normalità. La circonvallazione è solo una linea del reticolo deforme di strade statali, assi di supporto, provinciali, diramazioni, raccordi. Dedalo in cui perdersi non è casuale. Ogni griglia contiene fette di una città debordata, per ingrossamento patologico, oltre la propria sede
naturale.

La macchina avanza veemente divorando fogli d’asfalto corroso. Oltre il finestrino pustole di cemento si sollevano dalla terra inerme.

Uno. Due. Tre. Palpiti di luce pulsano nello specchietto della Fiat Uno davanti. Segnali perentori come un ultimatum. L’uomo alla guida alza il medio. A Est si alzano fili di fumo denso e acre. Un colpo morbido di pedale. Si posiziona poco dietro sulla stessa linea di marcia. Un altro colpo più deciso. Sperona la coda. I paraurti collimano. Schiaccia a fondo il piede. Il motore della Fiat Uno gorgoglia come acqua bollente nella pentola. La donna urla. L’uomo sterza a destra e si perde nell’eco della barriera antirumore.

Nel cielo acido e uremico le nuvole granulose si muovono lente come vascelli. Non c’è Dio, non c’è Karl Marx in questa terra annichilita. Il parabrezza deflette il flusso turbolento del vento al di sopra del tetto. Ai bordi della carreggiata si srotolano insegne sbiadite di hotel a ore, segnali stradali forati, cartelloni pubblicitari strappati, gigantografie elettorali, e pezzi di terra ancora liberi: caselle ancora da riempire in un insaziabile bisogno di occupazione.

Accende la radio: un dee jay propina verità a buon mercato

Un furgoncino serpeggia tra sfridi edili, lastre di eternith e illuvie pericolose. Il cielo dal turchino trascolora verso un nero non ancora nero. Pneumatici affastellati in equilibrio precario sopra cumuli di indumenti logori. Poveracci, per quattro soldi, scaricano sulla
piazzola di sosta rifiuti speciali. L’ultimo lancio è fatale: un copertone esausto abbandona i compagni, rotola, si ferma solitario in mezzo alla carreggiata.

Tutto, i tralicci dell’alta tensione, l’agglomerato suburbano, i terreni edificabili, rotea così veloce che la regione di piano tagliata dalla strada si accartoccia come una foglia secca.

Sei in testa coda. Non distingui niente se non, laggiù, oltre un manufatto squadrato, oltre un piazzale lastricato di camion, quel punto illuminato da un ultimo cono di luce pallida, lì dove sorgerà il tuo parco residenziale. Diecimila metri quadrati di campagna incolta, comprati a un prezzo stracciato, anni prima, da tuo padre. Troppo prudente per il passo successivo. Ora ci sei tu. Tu che hai in mano il futuro. Il futuro di un giovane uomo che sa stare al mondo. Ad ogni rogito i risparmi di impiegati, piccoli imprenditori, insegnanti, pensionati affluiranno al tuo conto corrente: una liquidità che nelle mani giuste prenderà nomi, paesi, forme diverse e inafferrabili. Sarai Re con la tua corte di familiari, commercialisti e avvocati, amici influenti del giorno e quelli non meno influenti della notte.
Non basteranno i soldi a evitare la galera, quando verrà quel momento. Pochi giorni non ti spezzeranno. Fiero, prenderai tua moglie sotto braccio, in elegante abito da cocktail, discorrendo affabile ai bordi di una piscina sull’Appia Antica, senza temere gli sguardi altrui.
Saranno altri squali, più grossi di te, più feroci, quando verrà quel momento, a spolparti, senza sputare nemmeno le ossa. E gli squali più cattivi saranno quelli a te più vicini, cordiali e istruiti, che anni prima ti avevano spiegato le meraviglie di un mondo senza barriere.
Ti farai chiamare Dottore. Viaggerai in business class. Proverai a conquistarlo il mondo, ma il mondo si ricorderà chi sei, da dove vieni. Non si sfugge al proprio passato
.

La macchina ruota più volte sul suo asse, si allinea per qualche metro alla ringhiera del guardrail, la urta, la squarcia e precipita sulla superficie inerbita, poi si adagia su di un fianco ai piedi della scarpata. Le cinque decadi di grani del rosario spenzolano dal braccio dello specchietto interno. Un rigagnolo scuro di sangue cola sulla tempia. La cassa toracica sussulta. Come un uomo che ride. Ha bisogno di spazio. Issa il tronco, si divincola dalla morsa del finestrino semiaperto dal quale spuntano le gambe.

Il cielo di fine settembre annuncia notti più lunghe. Schegge di luce si alternano a eclissi più durature, come segnali di un faro dalla sorgente incerta. Il rumore dei motori è smorzato dal dislivello.

Zaffate di gasolio pungono le narici. Prende un cleenex, si pulisce, gira intorno all’auto. Il cofano sbuffa vapore che si disperde nell’oscurità. Più lontano, dove inizia la campagna, il vento piega i radi steli d’erba. Recupera la cartella in pelle, la accarezza, ne toglie i residui di terreno. E’ intatta.

Ci vogliono quindici minuti prima che un tuo uomo arrivi a recuperarti. Hai tutto il tempo per risalire il declivio. Quindici minuti, ancora. Poi ripartirai. Non sai fare altro.

Giovanni Ambrosino

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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