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Melancholia

Approfondimento di Giulia Costi

Il primo piano di una donna triste e emaciata alle cui spalle cadono uccelli morti dal cielo e le note di Richard Wagner al preludio di Tristano e Isotta a sottolineare la tragicità del quadro. L’anticipazione dell’Apocalisse. Questa è la scena con cui il regista danese Lars Von Trier apre “Melancholia”, film presentato per la prima volta il 18 Maggio 2011 in occasione del Festival di Cannes.

Ma seguiamo Von Trier nel suo flashback e facciamo un passo indietro.

Nella prima parte del film la macchina da presa segue le vicende di Justine (ruolo che permette all’interprete, Kristen Dunst, di assicurarsi il premio per la migliore interpretazione femminile al 64° Festival di Cannes), ovvero la donna che abbiamo visto all’inizio, ma molto diversa: il regista ci fa conoscere una Justine bella, sorridente, novella sposa che si dirige assieme al consorte Michael al rinfresco di nozze organizzato dalla sorella Claire.

Nonostante le affermazioni aspre e decisamente fuori luogo della madre, contraria all’istituzione del matrimonio, la cerimonia prosegue in un clima di festa e spensieratezza, ma non per molto. Gradualmente, Justine comincia a mostrare i segni di un disagio, che diventa sempre più evidente e profondo man mano che la serata prosegue. Come si comprenderà poi successivamente, le nozze rappresentano soltanto un’auto-imposizione attraverso la quale la protagonista sembra voler allontanare tutti i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Proprio come Zeno, protagonista del celebre romanzo di Italo Svevo, che, ormai risoluto a trovar moglie, accetta di sposare una donna che non ama. Il motivo? In entrambe le opere non è esplicitato. Personalmente credo che si tratti di una ricerca di sicurezza nella misura in cui i protagonisti non si sposano per un reale amore, ma semplicemente per incontrare le aspettative tipiche della società moderna. A differenza di quello tra Zeno e Augusta, il matrimonio tra Justine e Michael naufraga la notte stessa delle nozze, naufragio suggellato anche da un tradimento da parte della sposa. Ma quella sera va in frantumi non solo la relazione tra i novelli sposi, ma anche il rapporto di lavoro tra Justine, appena promossa direttrice artistica, e il suo superiore. Abbandonata dal padre, anziano latin lover, e dalla madre, incapace di provare empatia e affetto, la protagonista si trova a contare sul solo appoggio di Claire che, delusa dal comportamento della sorella minore, non esita ad esternare tutto il suo risentimento. L’incapacità di allontanare dubbi e insicurezze attraverso il matrimonio apre in Justine una profonda crisi depressiva, che le impedisce anche i gesti più elementari.

A ribaltare il quadro psicologico sarà l’arrivo di Melancholia, un pianeta che si avvicinerà alla Terra, ma non ne entrerà in collisione. Così si credeva, perché nei giorni seguenti e dopo attenti calcoli matematici circa gli spostamenti di Melancholia, l’ipotesi della collisione diventa più che reale. Claire, incarnazione cinematografica della persona “normale”, capace di costruirsi una vita e di circondarsi di affetti, accoglie con disperazione la notizia della fine del mondo. Justine, invece, si risolleva e, anzi, spera che la collisione avvenga. Questa è una delle caratteristiche principali dei malinconici: la tendenza a non apprezzare totalmente ciò che si possiede in modo da evitare la sofferenza legata ad un’eventuale perdita.

Von Trier tiene a precisare che, più che una collisione, lo spettatore assiste alla distruzione della Terra. Melancholia, infatti, è di dimensioni dieci volte superiori rispetto a quelle del nostro pianeta, numeri che evocano un Globo come ”atomo opaco del male” di cui parlava Giovanni Pascoli nella poesia “X Agosto”. La Terra e Melancholia possono essere, in un certo senso, paragonate alla felicità e alla tristezza: secondo Von Trier, nonostante la presenza di alcuni piaceri, la vita è certamente caratterizzata dall’infelicità, in quanto nessun piacere terreno può competere con il dolore e la paura della morte. Questo pensiero lo esprime anche Justine la quale, rispondendo alla sorella affranta alla notizia dell’imminente impatto tra i due corpi celesti, afferma “La Terra è cattiva, non dobbiamo addolorarci per lei. […] La vita sulla Terra è cattiva”. Nell’ottica della protagonista, la fine del mondo è tutt’altro che un evento negativo. Justine, nonostante i buoni propositi, ha collezionato una serie di sconfitte che l’hanno portata alla consapevolezza di essere incapace di prendere parte a quella vita che lei stessa definisce “cattiva”. Melancholia, quindi, travolge e distrugge tutto ciò che arreca dolore a Justine, l’esistenza. A dispetto di tutte le diversità, tristi o felici, falliti o di successo, malinconici o sereni tutti si rassegnano alla morte, seduti mano nella mano ad aspettare la distruzione.

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Postilla: la malinconia secondo Lars Von Trier

Il personaggio interpretato da Kritsten Dunst è anche quello in cui il regista stesso si riconosce maggiormente; egli stesso afferma She is based a lot on my person and my experiences with doomsday prophecies and depression” (“Lei è basata molto sulla mia persona e le mie esperienze circa le profezie sulla fine del mondo e la depressione”). Mentre Claire è la rappresentazione di quella che comunemente viene definita una “persona normale”, la sorella è affetta da una costante malinconia che la porta ad analizzare il mondo con uno sguardo differente e questo la porta a non riconoscersi nei rituali borghesi. Il matrimonio che si è imposta per tentare di lasciarsi alle spalle le sue incertezze e le sue ansie fallisce nel momento in cui intravede l’insensatezza di quella celebrazione. Così come il regista stesso precisa, la domanda che più di tutte attanaglia il personaggio protagonista e le persone malinconiche in generale è quella del “ne vale la pena?”. La risposta alla domanda può essere affermativa solo nel caso in cui dietro al rituale si nasconda un reale significato, e non è il caso del matrimonio tra Justine e Micheal.

I malinconici sono spinti alla ricerca di un reale valore e questa ricerca comporta una certa dose di sofferenza. Von Trier vede nella malinconia stessa un valore di partenza “we tend to view melancholia as more true. We prefer music and art to contain a touch of melancholia. So melancholia in itself is a value. Unhappy and unrequited love is more romantic than happy love.” (“ tendiamo a vedere la malinconia come più vera. Preferiamo che la musica e l’arte contengano un tocco di malinconia. Quindi la melanconia in sé è un valore. Un amore infelice e non ricambiato è più romantico di un amore felice.”).

Giulia Costi
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Author: Giulia Costi

Ci sono domande a cui non riesco a dar risposta e pensieri che mi scavano un buco nel petto. Leggere e scrivere sono la mia medicina, il mio oppio, il filo da sutura che tiene insieme i pezzi del mio io.

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