Recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
Ho conosciuto Juan Abreu in ufficio. Lorenzo Gelmi (mio collega, che in questa sede ringrazio con infinita riconoscenza, citandolo per nome e per cognome, avendomi reso noto un autore di tale caratura) me lo ha presentato così: “leggilo, è bravo ed è completamente fuori di testa“.
Introduzione corretta, che vorrei però esasperare sostituendo i due epiteti con i seguenti: magistrale e lucidamente folle.
“Padre nostro che verrai a Manhattan, sia santificato il tuo regno, allontana da me la noia. Non lasciarmi cadere in tentazione”
È questa la superiore preghiera.
Tutto è divertimento, il grande dogma; lascito del nuovo messia dalle grandi orecchie nere, il naso tondo e gli occhi acquosi a bottone.
Camminiamo su Terra Ferma, una babele dove i grandi schermi pubblicitari sono sorretti da pali multicolore, novelle braccia d’Atlante, a sostenere un cielo di messaggi commerciali, risorto ozono a protezione dei devastanti raggi solari.
Mia moglie, tua moglie, potrebbe avere l’onore di indossare microschermi in tessuto con loop pubblicitari 24 h. Consumare senza sosta, guadagnando punteggio, elevandosi nella classifica sociale, sino all’olimpo dei consumatori di classe uno.
I nostri corpi si sono finalmente staccati dalle forme e dalle apparenze imposte da Madre Natura. La chirurgia estetica, la virtualcarne… i geni come creta nelle mani della fantasia. L’apparenza che aderisce fedelmente all’essenza, divorandola.
“Alto là al sudore” (citazione extra testuale ndr). Mai più odori sgradevoli e partner stereotipati. Grazie al “masturbatore” potremo finalmente accoppiarci con chi ci aggrada, dando libero sfogo alla nostre più consuete perversioni: orge con centauri ad esempio, o rapporti omosessuali sadomaso con dittatori dal basso profilo storico.
Attenzione però, vi sono delle zone d’ombra. Non tutto è così meraviglisostupendobellissimo come appare. Vi è una zona virtuale, la rete, dove alcuni cyberterroristi potrebbero trarvi in inganno, iniettandovi sentimenti malevoli come la nostalgia o il dolore, attraverso subdole sinfonie di Mozart.
Ancor più angosciante, Garbageland, l’isola dei rifiuti, dove esseri umani orrendamente naturali, dal corpo non mutato, vivono in tunnel sotterranei, protetti da montagne di rifiuti alti come grattacieli. Camminano come vermi nelle viscere della terra, proteggendo un testo sacro (Diarios de campaña di José Martì, ndr) riuscendo a giungere sino all’oceano sommerso del Black: un mare nero, che nasconde le più ignobili e genuine rimembranze umane.
Per nostra fortuna i MIC, i Bradbury e i Cancri Disney vegliano giorno e notte sul nostro paradiso di plastica. Rutilanti, coloratissimi, gioiosamente spietati, massacreranno in prima serata questo blasfemo ricordo della civiltà originaria, rendendo la terra il grande luna park a cui noi tutti aneliamo.
Garbageland è un’esperienza di lettura forte.
Juan Abreu, fuggiasco cubano, attualmente residente a Barcellona, dopo alcuni anni trascorsi negli USA, presenta uno stile unico e tagliente, in cui si ravvedono citazioni dei padri della letteratura cyberpunk (Sterling e Gibson su tutti), della fantascienza distopica (come non ricordare Dick e la sua poetica del controllo?) e del postmodernismo americano (ossessioni pop in stile “la scopa del sistema“).
A differenza degli applauditi scribacchini contemporanei di narrativa fantasy o sci-fi, Juan Abreu non si limita a raccontare una storia originale e avventurosa: esagera, portando ai massimi livelli l’utilizzo della scrittura di genere.
Se la fantascienza è l’ambiente perfetto dove estremizzare le paure nei confronti del futuro e delle distorsioni della società contemporanea, l’autore cubano dimostra in questo senso un’abilità magistrale, delineando con coerenza un mondo folle, perfetto riflesso del presente.
Similmente, se la postmodernità altro non è che un’immensa discarica in cui abbiamo lasciato i cocci delle Grandi Narrazioni (vd. Jean-François Lyotard), Garbageland in questo senso ne è una rappresentazione assolutamente plastica.
Il consumismo come sistema di valori trionfante e unificante, fine a se stesso, trasforma l’umanità in una grande giostra pubblicitaria. La completa amnesia dei valori naturali, porta l’uomo ad utilizzare il proprio corpo ed i propri sentimenti per rappresentare le mode e le necessità contingenti, considerando al contempo coloro che mantengono la propria integrità genetica, dei mostruosi selvaggi. Il declino partecipativo nella gestione della cosa pubblica, porta infine a cedere la propria rappresentanza direttamente a Micky Mouse e a sottomettersi ai suoi dogmi di plastilina.
Narrazione forte, ritmata, profondamente lirica e sfrontata si sposa in Garbageland ad una critica sociale originalissima.
Un piccolo capolavoro contemporaneo, che in forza della sua cesellata bellezza (e quindi della sua debolezza commerciale), non troverete più in libreria.
Giorgio Michelangelo Fabbrucci [email protected]