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Racconto proposto da Margherita Zanoletti

Parcheggiai all’ombra, del resto era già calato il tramonto. Nell’aria c’erano quiete, poca polvere e un po’ d’afa d’inizio estate. C’erano il rumore dell’autostrada in mera lontananza, come un memo, e qualche muggito dalla fattoria al di là del prato. Milano era a cinquanta chilometri, ma pareva la bassa più bassa. Non v’era vento, le parole erano ferme nell’aria intrisa di secondi.

Lui fece strada, la trattoria era aperta, però pareva non racchiudere nessuno. Una tivù era accesa. Si affacciò al bancone una signora satanica tinta sui sessanta. “Vorremmo cenare”, accennò lui, e lei gentile si scusò che “era aperta solo se si prenotava la cena”, ma poi “se ci fossimo accontentati di un panino, o di un piatto di ravioli fatti in casa”, allora qualcosa si poteva improvvisare. Benissimo, faceva al caso nostro.

Ci accomodammo fuori, sul davanti. Troneggiavano tre tavoli tondi di plastica e di fronte, una gatta incinta sdraiata su un drappo di prato. Mi avvicinai. La micia sembrava in stadio avanzato, la pancia le si muoveva da sola. Era placida e magra, a parte il rigonfiamento della gravidanza.

Ci sedemmo lì senza guardarci, in attesa che la signora arrivasse ad apparecchiare. Guardavamo avanti, quel prato agricolo che ci divideva dall’autostrada verso casa, e sulla destra la fattoria, da dove emanavano occasionali muggiti e folate di letame. “Che posto fuori dal mondo”, feci con cautela, che non mi sentissero e magari si offendessero. Lui annuì sorridendo perché, per quanto fosse stanco e sciatto, quello stralcio di pianura ci aveva accolti come una cantilena.

Non ci guardavamo e tacevamo, mentre apparve un signore panzuto con un gatto antracite al seguito. Il signore salutò con un cenno di accento e si mise seduto al tavolo di plastica a fianco del nostro. Ricomparve subito anche la signora diavolessa con una tovaglia e delle bevande. Servì prima il signore, mettendogli davanti un bicchiere e del vino sfuso; poi noi: tovaglia a quadretti squillanti, acqua temperata, bottiglione rosso, due calicini di vetro opaco.

“Sarebbe stato meglio tirare dritti fino a casa”, accennai, “ma chi se lo immaginava…” “Di dove siete?”, interruppe il signore. Io ero di spalle e girai solo il capo, a denotare educazione. “Di Milano”, rispose lui. “Io sono di Bosnia, nato a Pola e arrivato in Italia vent’anni fa”. Adesso capivamo l’accento, la pancia, il gatto al seguito. Pareva di sentire una musica balcanica orchestrare i muggiti.

Non v’era vento, e il signore proseguì. Qui c’era tranquillità, ma gli zingari “non gli devi lasciare in giro niente, è pericoloso anche qui. Quando sono arrivato e ho visto che andavano in giro col Mercedes e le catene d’oro, e da noi invece li manganellano. Ma qui c’è troppa burocrazia…”. Lui gli diede corda con un risolino, e mescé vino nei bicchieri. Aveva ragione, acconsentì. La diavolessa spuntò dalla porta con due profonde fondine ripiene di ravioli al sugo. Dal profumo affumicato, erano di carne mista, di avanzi sapientemente incrociati: ravioli bastardi di pianura. Ravioli di trattoria della domenica sera. Ravioli del ritorno, della cucina casalinga, della digestione difficile. Ravioli di carne sudata appiccicata ai vestiti nell’ansia del tramonto afoso di fine giugno.

I piatti finirono in fretta. Niente secondi, le fondine svuotate pesavano molto meno, le nostre pance molto di più. Lui pagò modestamente alla cassa, mentre io recuperai gli stracci, salutai la gatta gravida sul prato e mi avviai per prima verso la macchina. Avevamo ancora un’oretta di strada da percorrere insieme. Cavalcare la macchina e tornare verso Milano a dispetto del signore bosniaco, del piacevole accento piacentino della signora satana, delle canzoni in inglese all’autoradio, dei salami bergamaschi nel frigo.

Dalla portiera aperta uscì un tepore infernale. Saremmo rientrati entro le ore della frescura, in tempo per riposare i nostri sogni al riparo delle frasche inquiete della notte. Quel limite tra la partenza e il ritorno, pensai, era una riga tirata tra se e se.

 

Margherita Zanoletti