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Panta Rei

Racconto breve di Giulia Costi

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“È sempre un piacere dare belle notizie!” pensò tra sé il medico uscendo dalla stanza in un fruscio di cartelle e radiografie. Paolo, attonito, sedeva sul lettino. La notizia della guarigione lo aveva colpito alla bocca dello stomaco mozzandogli il fiato. Non si arrischiava ad alzarsi perché aveva la netta impressione che le gambe non avrebbero retto il peso del corpo e dell’anima. Così se ne stava seduto a fissare il suo riflesso nello specchio appeso all’armadio dove, sei mesi prima, aveva riposto i suoi abiti civili. Smessi quelli, dal giorno del ricovero, Paolo era diventato un membro dell’ospedale e, per la prima volta in vita sua, sentiva di essere nel posto giusto.

Aveva conosciuto Claudia, un’infermiera fresca di studi che a malapena riusciva a trovare la vena per il prelievo del sangue, ma nonostante tutto quel dolore inutile, Paolo non riusciva a essere in collera con lei. Non che fosse particolarmente avvenente, anzi, i primi tempi le sue mani scheletriche gli provocarono non poco disgusto, ma ora che stava per essere dimesso non riusciva a immaginare una vita senza quelle mani e senza quella costellazione di fori sulle braccia. In ospedale era organizzata ogni sera un’attività diversa. Il mercoledì era dedicato al poker, con salatini al posto delle fish e succo d’arancia al posto del whisky. Era solo lunedì. Il re – così veniva chiamato per le sue abilità nel gioco – non avrebbe nemmeno potuto salutare i suoi amici con un’ultima partita. Da quel momento in poi con chi avrebbe giocato a poker il mercoledì sera? E che fine avrebbe fatto il venerdì delle commedie americane? E il gruppo di lettura della Bibbia la domenica? La sua isola felice nel reparto oncologico dell’ospedale si stava inabissando. Cosa avrebbe dovuto fare? Tornare al suo lavoro alle poste, trovare un altro appartamento in affitto, sostituire il povero Macchia, morto di fame, con un altro gatto pulcioso? No, non sarebbe tornato alla vita di sempre. Strinse i pugni per infondersi un po’ di sicurezza e iniziò a urlare.

Tiziana, l’infermiera di turno, spalancò la porta e corse verso il letto. Appena si fu avvicinata a sufficienza, Paolo la colpì con un pugno dritto sul naso. Si sentì un rumore sordo e uno schizzo di sangue imbrattò le lenzuola asettiche appena lavate. Tiziana cadde in ginocchio tenendosi il naso e i suoi mugolii attirarono un’altra infermiera. Ben presto la stanza si riempì di camici bianchi e stetoscopi. Paolo continuava a urlare che non potevano dimetterlo, che doveva ancora giocare la sua partita d’addio a poker e che a casa non poteva guardare le commedie americane perché non aveva la televisione. Quando arrivò il dottor Cadini, Paolo notò la sorpresa sul suo volto. Lo vide avvicinarsi all’infermiera più anziana e sussurrarle qualcosa nell’orecchio. Vide l’infermiera estrarre una siringa. Vide la siringa riempirsi di un liquido trasparente. Vide la siringa penetrargli la pelle mentre quattro infermiere tentavano di immobilizzarlo. Poi non vide più nulla.

Quando si svegliò si trovava ancora in ospedale, ma non nel suo letto. Gli girava la testa e riuscì a stento a soffocare un conato di vomito. Dall’altra parte della stanza, in un angolo, un uomo di mezz’età stava rannicchiato in posizione fetale ai piedi del letto. Mormorava qualcosa, ma nonostante l’assoluto silenzio, Paolo non riuscì a capire cosa dicesse. Decise di alzarsi per esplorare meglio la stanza, cercando di capire dove si trovasse, ma le mani non si muovevano. E nemmeno le gambe! Notò dei cinturini di cuoio che lo tenevano legato all’impalcatura del letto. Il suo solito sangue freddo gli ribollì nelle vene e iniziò a strattonare. La porta si aprì e entro il dottor Cadini:

«Buongiorno Paolo. Come si sente?» disse appoggiando le mani alla sponda del letto.

«Perché diavolo sono legato al letto? Siete tutti impazziti!» urlò.

«Siamo stati costretti. Ha aggredito un’infermiera e sragionava, non se lo ricorda?» chiese il dottore.

«Certo che me lo ricordo» rispose, un po’ più calmo.

«Dobbiamo tenerla in ospedale ancora qualche giorno per farle degli esami. Domani incontrerà uno psichiatra» disse il dottore, poi aggiunse «Sente dolore da qualche parte?».

«No».

«Molto bene. Confido che verrà dimesso molto presto. È probabile che il suo scatto d’ira fosse dovuto allo stress di sei mesi di chemio». Il dottore sorrise e si voltò per andarsene.

«Vedo delle cose»

Il dottore si riavvicinò al letto «Intende dire che ha delle allucinazioni?»

«Credo di sì».

«E che genere di cose vede?»

«Vedo un uomo… incappucciato, che mi ordina di fare delle cose. Ha una pistola e se non gli ubbidisco lui…», il resto della frase gli rimase impigliata in gola.

Il dottore rimase in silenzio per qualche secondo, poi, con voce grave, disse «Contatto lo psichiatra. Chiedo se possiamo anticipare il colloquio».

Paolo annuì.

Il dottore gli sorrise di nuovo, ma non era lo stesso sorriso di prima. Paolo ebbe come l’impressione che Cadini fosse dispiaciuto, quasi triste.

Quando il medico si richiuse la porta alle spalle Paolo scoppiò in una risata di pura gioia. Non avrebbe lasciato l’ospedale, anche a costo di raccontar fandonie per il resto della sua vita. D’altronde, come inizio non era poi stato male: un uomo incappucciato con una pistola che gli ordina di fare delle cose! Mesi più tardi, tra un sedativo e un antipsicotico, ancora si sarebbe stupito della prontezza e naturalezza con cui aveva iniziato a mentire. Non sarebbe tornato alla sua vita di sempre. Avrebbe continuato a vincere a poker il mercoledì, a guardare le commedie il venerdì e a leggere la Bibbia la domenica. Nulla sarebbe cambiato.

Giulia Costi
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Author: Giulia Costi

Ci sono domande a cui non riesco a dar risposta e pensieri che mi scavano un buco nel petto. Leggere e scrivere sono la mia medicina, il mio oppio, il filo da sutura che tiene insieme i pezzi del mio io.

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2 Comments

  1. Panta Rei; per Eraclito significava “Tutto scorre” qui mi pare l’esatto contrario. Insulso, davvero un bruttissimo racconto senza capo né coda!!

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  2. Il protagonista della storia non accetta l’imminente cambio di vita, a questo si riferisce il titolo: non tutti accettano che tutto scorra.
    Ti ringrazio del commento e di esserti preso cinque minuti per leggerlo!

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