Racconto breve di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
La vita è dura, ma non abbastanza da non lasciare spazio ai sogni.
Una parte di me ha sempre desiderato essere come lui. Lo ammiravo di soppiatto, dalla mia finestra, scostando la tenda lisa. Gobbo, con il suo abito elegante, la calvizie incipiente e poche gocce di pioggia a imperlare quella sua ventiquattrore di pelle sdrucita.
L’avvocato gobbo era in pace con il mondo. Con la sua semaforica immobilità, con i suoi gesti lenti da testuggine secolare, si manifestava a tutti per ciò che era: un cittadino modello.
Per mia immensa fortuna, ho sempre potuto contare su una famiglia solida e compatta. Proprio loro furono i primi a consigliarmi di adeguarmi ai tempi.
Ben conoscevano infatti il lato oscuro della mia natura, l’istinto aggressivo e primordiale che il fato pose sulle mie spalle… al solo accenno di ingiustizia, qualunque essa fosse, il mio cuore iniziava a tremare. Sentivo cavalloni di sangue otturarmi le vene del collo e delle tempie. La voce tremolante e insensata e poi l’urlo, il ruggito sconnesso, che brama un nemico e si stempera, deluso, con un insulto.
In effetti la mia vita non poteva procedere sull’incoerente ideale di una convergenza parallela: il gobbo e il leone. Dovevo trovare pace.
Durante una cena mi fu detto: adeguati Valentino, non puoi arrabbiarti per tutto, e poi che cosa hai da nascondere? Se non hai nulla da nascondere, che problema c’è?
Fu così che il gobbo uccise il leone.
Suonarono al mio campanello. Un trillo lieve, appena accennato. Chiesi chi fosse e con sorpresa, mi fu risposto: “l’avvocato”.
Alla porta si mostrò nel suo sorriso morbido, l’alito cattivo del caffè, malcelato da una mentina, ed una borsa di pelle traboccante di burocratica laboriosità.
“I suoi genitori mi hanno informato anticipatamente della sua scelta”, esordì. “Sono qui per una consulenza propedeutica all’operazione e per confermarle, se il mio parere può avere un qualche forma di valore, che sta prendendo la scelta giusta”.
Sorrise ancora e gli proposi un the, che accettò di buon grado. Parlammo a lungo. In alcuni tratti di quella conversazione, così mesta e nobile al contempo, ebbi la precisa sensazione che la felicità potesse ben albergare tra alcune tazzine di porcellana, una cravatta e pochi capelli bagnati appesi per la nuca, alla fronte.
Nondimeno mi informai su ciò che più mi opprimeva. Quindi chiesi: “Avvocato, ma non la disturba tutto questo controllo?”. Con un sospiro e due sopracciglia a ponte levatoio, di rimando mi rispose: “ma se non ha nulla da nascondere… che problema c’è?”. Sorrisi anch’io.
Il leone si accasciò su di un fianco ed iniziò ad annaspare, tossendo rauco. Tra stormi di insetti le zampe graffiavano la sabbia. Neppure un ruggito. Lo sguardo al sole, che caldo, cuoceva la criniera, si spense.
“La facciamo una bella firmetta?”… e firmai.
§§§
- Dottore… a che livello lo moduliamo?
- Lo moduli pure a livello omicron. E’ il minimo sindacale per un laureato. Dovrebbe essere sufficiente.
- Per gli scatti?
- Li intensifichi in rotazione laterale sui trapezi e sugli sterno-cleido-mastoidei. Sullo splenio e il semispinale lasci semplicemente la scossa.
- Per le pupille?
- Google pupils come sempre.
§§§
Uscì dalla gelatinosa membrana della mia coscienza. Un diaframma di una dolcezza al confine con la nausea. Percepivo gli spazi: la stanza, la casa, la città. Umidi vuoti pieni di senso. La mia rinnovata predisposizione ad una profonda sensibilità civile, mi fece commuovere. Dalla finestra non vedevo più una semplice via, piuttosto un curato sentiero d’asfalto, mantello di tubature, cavi e scoli, mantenuti per il pubblico bene. Con un superiore stato di percezione, in cui l’entusiasmo esplose in un mesto sorriso, mi accinsi ad uscire.
Le strade sgombre, bagnate da un’infinita e gocciolante umidità celeste, tenevano i contribuenti chiusi in casa. Ne approfittai per una lunga camminata nel ventre della città, per riscoprirla, accostarmi ad essa cosciente della nuova predisposizione del mio animo.
Mi ritrovai a sorridere davanti ad un cestino, a salutare i netturbini della raccolta differenziata i quali, alzando il guanto lercio in segno di amicizia, rispondevano con semplicità. Camminando, tenevo lo sguardo basso, inseguendo le esaltanti sfumature del porfido, perfettamente posato a terra, dai saggi artigiani vincitori dell’appalto pubblico.
Poi alzai lo sguardo.
Manichini. Un fisico perfetto, coperto da pochi ed eleganti capi di lingerie. Pizzi, sulle plastiche membra color luna. Lo sguardo olimpico, senza pupille. “Quando avrò una donna”, pensai, “sarebbe bello regalarle uno di questi completi”. Spostai la mia attenzione alle targhette dei prezzi. Non feci in tempo a focalizzare due cifre che subito il mio collo si bloccò, come se una lunga mano lo avesse ghermito, stringendolo tra le dita. La mano invisibile premeva, comprimeva i muscoli. Anche le spalle si irrigidirono. Contro la mia volontà, la mia testa si voltò pochi secondi dopo, come bloccata da un colpo di strega. Cercai a quel punto di stare calmo e respirare piano. Ci misi qualche minuto. Tranquillo, ma non ancora rassegnato alla situazione, decisi di ruotare lentamente con il corpo. Iniziai a compiere piccoli passi in cerchio, in modo che il mio volto, in linea con la spalla, si ritrovasse nuovamente di fronte alla vetrina.
- Papà… perché il signore cammina in tondo?
- Starà cercando di guardare la vetrina tesoro, anche se non se lo può permettere.
Prima che la frase, la risposta del padre al figlio, giungesse alle mie orecchie, tentai ancora una volta di guardare, in quella posizione ridicola, la targhetta dei prezzi. Le miei pupille, giunte alla meta, per la seconda volta non riuscirono però a mettere a fuoco il costo. Mille fiocchi colorati, come bolle di sapone incandescenti, sfrecciarono davanti ai miei occhi, impedendomi di guardare. Pochi attimi e le bolle esplosero. I pixel, di cui probabilmente erano composte, si riordinarono: la realtà iniziò ad aumentare. La vetrina, saturandosi di bianco, divenne una cartina geografica tridimensionale, nella quale potevo infilare il braccio e muovermi al di là del corpo. In un nano secondo avevo attraversato tutta la città. La vedevo in bianco e nero; un bianco e nero gradevole, come patinato, in alta definizione. Qua e là alcune zone di colore.
Cosa fossero… non riuscì a spiegarmelo.
§§§
- Dottore…
- Cosa c’é ancora?!
- Mi domandavo se il programma di cittadinanza responsabile potesse in qualche modo avere degli effetti collaterali… insomma, agisce direttamente sulla rete neuronale.
- Ma lei cosa legge? Cosa beve? Cosa mangia? Fuma per caso? Fumare sì che nuoce gravemente alla salute!
§§§
Suonarono al mio campanello. Un trillo lieve, appena accennato. Chiesi chi fosse e con sorpresa, mi fu risposto: “l’avvocato”.
Aprì la porta. Me lo trovai già all’uscio. Nei capelli era rimasto il segno del pettine. Un goccio di profumo abbastanza costoso, ma di cui non riesco a pronunciare la marca. Una borsa piena di buffe carte scribacchiate. Un alito di menta piperita.
“Buongiorno!”, lo accolsi trillante.
“Buongiorno a lei!”, fece di rimando.
Ci sedemmo al tavolo della cucina e prendemmo un the, in tazze di porcellana inglese dipinte con fiori di stagione.
- Come si sente? Sono venuto semplicemente a chiederle questo.
- Direi bene, la ringrazio. Non c’era bisogno di disturbarsi tanto.
- Si figuri. Sa com’è, mi è stato detto che l’altra sera, davanti alla vetrina di “La Perla” è rimasto imbambolato dalle diciassette e cinquantanove alle diciotto e diciotto.
- In effetti è vero, l’avrei…
- Non si preoccupi ora sono qua, mi dica.
- Era come se…
- Il collo ha avuto uno scatto improvviso, facendola voltare. Una volta rientrato in contatto visivo con la vetrina, la sua capacità ottica è stata momentaneamente interrotta per poi riattivarsi in connessione con la rete civica comunale, la quale le ha inviato una mappa virtuale in realtà aumentata.
- Esattamente. Allora è tutto normale. Voglio dire, fa parte della normale procedura. Un semplice shock post operatorio. Mi sembrava troppo strano!
- In realtà, caro il mio Valentino, non si tratta di un errore, o di uno shock, come lo ha appena definito. Piuttosto, quello che lei ha vissuto, è un incentivo.
I luoghi colorati che ha visualizzato nella mappa sono le attività commerciali, i locali, i negozi e i musei a lei adatti secondo la sua ultima dichiarazione dei redditi.
- In che senso, scusi?
- Quello che le ho appena detto. Lei è un livello tre. Quindi, ad esempio, se vuole comprare dell’intimo per la sua fidanzata, non è verosimile che lei si rivolga a La Parla, per i suoi acquisti. Vada piuttosto da Intimissimi, ad esempio. Le faccio un altro esempio. Se deve uscire fuori a cena, segua le indicazioni della mappa. Non perda tempo nel cercare ristoranti dal nome altisonante, dalla cucina ricercata e sperimentale. Vuole bere del prosecco? Vada al bar della stazione. Non li faccia preoccupare inutilmente!
- Ma io in verità non volevo acquistare… volevo solo…
- Sì, comprendo perfettamente. Ma perché mai con un reddito come il suo lei dovrebbe aspirare a sprecare quel poco denaro che guadagna in beni superflui?Le indagini di settore parlano chiaro. Ci pensi bene: cosa se ne fa di quelle cose?Lo sente, sono solo “cose”. Se ne liberi! Mi dia retta. Io me ne sono liberato tanto tempo fa, e guardi come sto bene.
- Ma con le donne come faccio?
- Corteggi dal livello tre in giù. Lo vuole un consiglio da uomo a uomo?
- Sì, certamente.
- Eviti come la peste tutte quelle femminucce che indossano articoli originali. Ha presente borsette, occhiali Gucci, braccialetti pomellato, e compagnia cantando?
- Sì, ho presente.
- Ecco eviti. Approfitti delle cineserie. L’amore della sua vita, in questo momento, sta comprando dell’intimo sintetico in un bazar.
§§§
- Dottore?
- Cosa diavolo vuole ancora!
- Mi domandavo: ma con il giuramento di Ippocrate, con la Costituzione e tutti gli altri assunti fondamentali della nostra…
- Lei è giovane! Impari a domandarsi solo una cosa: ho qualcosa da nascondere? Mi risponda! Ha qualcosa da nascondere?
- No.
- E allora che problema c’é?
Giorgio Michelangelo Fabbrucci [email protected]