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Considerazioni di A. Corona su Dite la Verità. Voi non siete uomini di R. Foresti

1. Intersezioni Aliene

Lo scorso numero di Alieni Metropolitani (Aprile 2013 – Numero 1) ha inteso celebrare l’opera di William Faulkner con un relativo ‘Speciale’ monografico. La sezione ‘Racconti’ della rivista – slegata, nelle intenzioni, dal tema principale – ha invece visto la presenza di un racconto di Raffaella Foresti dal titolo Dite la Verità. Voi non siete uomini. Questo «racconto lapidario», così definito dalla stessa autrice, tratta della ‘resistenza’ di un uomo dinanzi alla burocratizzazione e all’istituzionalizzazione della sua vita. L’ultimo disperato tentativo di sottrarsi agli innumerevoli dispositivi di controllo e al perenne monitoraggio delle proprie azioni sfocia, per quest’uomo, nell’invocazione finale, che recita: «Vi prego lasciatemi. Sono solo un uomo».

Ora, se Wittgenstein annotò nei suoi diari che nessun grido d’aiuto può essere più forte di quello di un uomo solo, a venire in mente è, in maggior misura, proprio Faulkner: «Ve lo chiedo per favore, non fatelo» furono infatti le parole rivolte dallo scrittore a un gruppo di giornalisti che, nei primi anni Cinquanta, diedero in pasto all’America le sue vicende personali e sentimentali.

Nel racconto di Foresti troviamo una serie di performativi negativi («Non accetto le condizioni generali di contratto», «non vi autorizzo») che ricordano, anch’essi, la posizione assunta da Faulkner e riportata nel pamphlet Privacy. Il sogno americano: che ne è stato? Finché non commetto un delitto o non annuncio la mia candidatura a qualche elezione, non potete invadere la mia vita privata dopo che vi ho chiesto di non farlo»).

Per Faulkner la privacy è quel bene prezioso, da salvaguardare, perché consente all’artista, allo scienziato e all’umanista di ‘funzionare’ e a tutto il genere umano di vivere e respirare. Nondimeno, mette in guardia lo scrittore, pare che l’obiettivo finale delle attuali società sia quello di formare e manipolare un’anonima massa senza più privacy e, perciò stesso, senza identità.

2. L’ultimo uomo sulla Terra

A proposito dell’anonimato, va chiarito che c’è anonimato e anonimato, e che, combattendo per la loro privacy, tanto il personaggio del racconto di Foresti quanto Faulkner ambiscono a conservare una certa dose di anonimato ‘sano’. Se l’uno ‘non comunica la sua attuale posizione’ e ‘non si registra’, l’altro, come scrisse in una lettera del 1948, lottava con le unghie e con i denti per realizzare la sua ambizione di tutta una vita, e cioè essere l’ultimo «individuo privato» sulla Terra. Un primato che Faulkner auspicava di conseguire con successo in quanto «apparentemente non c’è concorrenza per il posto».

Si consideri però un fatto: se la condotta dell’ultimo uomo sulla Terra devia dalla prassi di vita ‘normale’, allora essa si tramuta, gioco forza, in un’anomalia rispetto alla massa. E, come fa notare Canguilhem ne Il normale e il patologico, mentre l’anormale qualifica ciò che non ha norma o che contraddice la regola, l’anomalo può definirsi tale solo in rapporto a una molteplicità.

È utile, a questo proposito, recuperare la posizione di Deleuze e Guattari, per i quali non si può deviare dalla maggioranza senza ‘divenire-minoritari’ e dar luogo inevitabilmente a una ‘micro-politica attiva’. Come si legge in Mille piani. Capitalismo e schizofrenia: «È il contrario della macro-politica e anche della Storia, dove si tratta piuttosto di sapere come si conquisterà o si otterrà una maggioranza. Lo diceva Faulkner, non c’è altra scelta che divenire-nero, per non ritrovarsi fascista».

Le dichiarazioni di Deleuze e Guattari si riferiscono a Non si fruga nella polvere, un’opera del 1948 nella quale, parlando dei bianchi del Sud dopo la guerra di secessione, Faulkner scriveva che «Siamo nella situazione della Germania dopo il 1933, che non aveva altra alternativa se non quella di essere nazista o ebrea».

Ovvero, per tornare al nostro discorso: se all’anonimo personaggio forestiano è sufficiente ‘non aderire alla promozione’ e ‘non essere un Gentile Cliente’ per deviare dalla maggioranza, e se deviare dalla maggioranza significa divenire-anomalo, allora il suo destino è forse quello di essere ghettizzato ed escluso dalla ‘normale’ moltitudine? Detto in altri termini: è possibile ambire a un astensionismo che non si traduca necessariamente nella ‘resistenza’ a un sistema di vita normativo e condiviso?

Il personaggio in questione cerca, in sostanza, di mantenersi semplicemente ‘integro’ o, per meglio dire, di mantenersi ‘immune’ (nel senso letterale di ‘difendere il proprio dal comune’). E, per fare ciò, ‘non conferma, non concorda e non esprime il suo consenso’. Ma, allora, è possibile sottrarsi al flusso della comunicazione senza sottrarsi alla stessa ‘società della comunicazione’?

Se vogliamo ricercare una risposta proprio in Faulkner, non possiamo prescindere dal suo monito: «Presto la privacy sarà davvero scomparsa e chi sarà abbastanza individuo da esigerla anche soltanto per cambiarsi la camicia o per fare il bagno, verrà bollato da un’unica universale voce come sovversivo del sistema di vita americano».

In quest’ottica, dunque, persino delle dichiarazioni come quelle dell’Anonimo forestiano, che si limita a dichiarare-di-non-dichiarare e che non dichiara neanche «di essere pienamente cosciente», possono essere considerate sovversive.

3. Foucault e Arendt, biopotere e potere ‘oikonomico’

In un volumetto del 2011 su Foucault e le nuove forme del potere, Stefano Rodotà ha scritto che «Non parliamo più soltanto di una società dell’informazione o di una società della conoscenza, ma di una società della comunicazione, caratterizzata appunto da ininterrotti flussi informativi nei quali tutti siamo continuamente immersi. Siamo, insieme, destinatari e produttori di comunicazioni. E sono proprio le informazioni direttamente prodotte da ciascuno di noi a renderci più controllabili e più governabili».

Presidente dell’Autorità garante per la Privacy dal 1997 al 2005, Rodotà sottolinea come il suddetto flusso informativo sia legato ai gesti comuni della vita ordinaria: da un badge che registra la nostra entrata e la nostra uscita dal luogo di lavoro alla carta di credito che indica dove ci trovavamo in un preciso momento e quali acquisti abbiamo fatto (rivelando non solo la nostra localizzazione ma anche i nostri gusti e la nostra disponibilità finanziaria); dal telepass dell’autostrada che immortala le tappe dei nostri spostamenti agli accessi ad internet che rivelano la ‘rete’ delle nostre preferenze, dai messaggi di posta elettronica alle telefonate col telefono fisso o mobile, fino alla nostra attività sui social network, che mostrano le nostre relazioni personali.

E tutto ciò, per riprendere le ben note tesi di Foucault, finisce per renderci dei soggetti esposti a un diffuso e invasivo «biopotere» che si impadronisce della nostra vita quotidiana in ogni sua manifestazione e che si dirama attraverso il potere medico-scientifico e il potere del mercato – i quali pure vengono toccati, in maniera più o meno tangenziale, dal racconto di Foresti.

In riferimento al potere del mercato, ha rilevato il Collettivo 33 (gruppo di filosofi napoletani autore, nel 1997, del saggio Per l’emancipazione. Critica della normalità) che i nostri tempi registrano un’immanenza della sovranità all’economia e viceversa, in quanto «Nell’economico agisce un’istanza di sovranità e nella sovranità un’istanza di calcolo. L’economico ha bisogno della sovranità – il politico – per funzionare e la sovranità si esercita per ‘calcolare’ la società».

Ma qual è l’esito di questo gioco? Il diffondersi degli enunciati economici nei discorsi politici, e la corrispondenza tra funzionari del Capitale e funzionari politici, hanno portato a una lingua depoliticizzante che sembra far ritorno a qualcosa di antico quanto può esserlo la figura del pater familias, del responsabile del governo della casa, dell’oikos e, quindi, a quel responsabile dell’oikonomia che esercitava un potere e un controllo dispotico sui membri dell’oikos.

Ha dunque ragione Hannah Arendt quando afferma che l’attuale dominio dell’economia non è che l’estensione mondiale del governo della casa: con l’estendersi della comunità domestica e delle attività economiche al dominio pubblico, infatti, «la gestione della casa e tutte le faccende che rientravano precedentemente nella sfera familiare sono diventate una questione collettiva».

La cosiddetta globalizzazione assume perciò un significato ontologico: la comunità domestica si è estesa su tutta la terra, comportando come diretta conseguenza l’esposizione della ‘nuda vita’ al mondo intero (è questo, in definitiva, il tema centrale esposto da Faulkner in Privacy) e ad un pater ormai impersonale e illocalizzabile (si pensi a Foucault e, prima di lui, a Bentham).

Si rilegga allora l’invocazione dell’Anonimo forestiano, come l’abbiamo definito, e si noterà che essa è rivolta non ad un preciso governante ma a una pluralità non meno anonima, impersonale e illocalizzabile, ad un ‘Voi’ ipotetico, più latente che manifesto, più virtuale che reale.

4. Per concludere. ‘Fascismo soft’ e godimento, virtuale mediatico e mostrificazione della vita

In quanto «lapidario», Dite la Verità. Voi non siete uomini fa venire in mente l’aforisma lacaniano secondo il quale «il godimento è interdetto a colui che parla, in quanto tale». Azzardiamo dunque un’ipotesi: il racconto di Raffaella Foresti può essere interpretato come una denuncia di quel ‘fascismo soft’ analizzato da Camille Dumoulié?

A detta della saggista francese, al furore delle masse del ‘fascismo hard’, il ‘fascismo soft’ sostituisce 1) il ritorno del furore dei media e 2) l’aggressività nei confronti degli individui che scelgono un godimento non canalizzato e non canalizzabile dai flussi di mercato.

Se il furore dei media è stato conosciuto in prima persona da Faulkner, e quello dei nuovi media investe l’Anonimo forestiano, per comprendere il secondo punto occorre invece partire dall’osservazione di Adorno, per cui, quando il godimento si emancipa dal valore di scambio viene giudicato come sovversivo.

Che il fascismo soft si definisca in base al controllo dei godimenti significa in sostanza, per dirla con Dumoulié, che l’immagine pubblicitaria, onnipresente, ha già realizzato ciò che essa propone al nostro desiderio: una vita ricca di colori, di gioia, di originalità; ma si tratta pur sempre una vita virtuale.

Una vita virtuale che, nondimeno, ha come diretta conseguenza nel reale «Un’umanità trasformata in fantasmi che attraversano la vita come in un permanente Halloween, ridotta allo stato di corpi stravolti e vampirizzati dalle stesse immagini che devono imitare». Tale è l’operazione del virtuale mediatico sul mondo: esso vampirizza la vita anticipando il godimento. E, nel fare ciò, l’attualizzazione del virtuale si configura come la messa a morte del godimento stesso: «si gode per voi, si è già goduto. Non avete più nulla da desiderare».

Ecco, allora, che l’unica via di fuga da questa ‘mostrificazione’ e dal controllo mediatico dei godimenti sembra rintracciabile in quello che Léon Bloy ha chiamato «il Desiderio dei poveri», ovvero il desiderio ancora umano che risiede in chi desidera veramente e che è escluso, o si esclude, dal godimento commerciale. Un desiderio anonimo, ma senza nome perché ‘proprio’ e privato; già lontano, dunque, dalla mondializzazione della casa e dall’anonimato di massa.

Andrea Corona
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