Racconto breve di Ilaria Bonfanti
Non che ci credesse a tutta questa storia dell’oroscopo, fatto sta che “la cosa” era lampante dall’alba dei tempi, da quando, alle elementari, davanti alla scelta della merendina per l’intervallo, le sue due anime la spingevano verso direzioni opposte.
Trattasi di segno doppio.
Lei l’aveva accettato da sempre, a differenza del mondo che le girava attorno, sempre pronto a cercare il limite definitorio nelle cose e nelle persone. O bianco o nero o, se proprio, colorato. A lei era sempre parso così strano il loro non vedere il bianco nel nero o il verde nell’arancione.
Capitavano giorni dove una vita sovrastava l’altra e il disequilibrio delle parti regnava sovrano; c’erano nottate al gusto acido delle persone poco chiare, e mattinate soleggiate dove era facile vedere il verde dei suoi occhi.
I suoi occhi cambiavano come cambiano le emozioni, un vento tiepido di serenità era sufficiente a schiarire quel petrolio pieno di dolore.
Gli anni di sofferenza le avevano lasciato una base d’autunno, le gioie primaverili si affaccendavano per dare luce smeraldo; ogni storia che girava nella sua testa tinteggiava di giallo l’iride.
Lucrezia comprava molte borse per riempirle di contraddizioni; la linearità non le apparteneva e il suo corpo rispondeva a richieste diverse come se in quei vent’anni ci fossero due persone distinte.
Non si trattava di sdoppiamento di personalità, lei aveva due anime e loro non avrebbero mai potuto esistere l’una senza l’altra.
Gli amici avevano smesso di cercare di capirla, i fidanzati la amavano fino ad esaurimento energie, per poi accusarla di averli trascinati in un pozzo senza fondo. Lei, dal canto suo, sceglieva con cura arance rosse per farci delle buonissime spremute.
Quando si ammaló il grigio penetrò nel suo sguardo come quando cerchi un’uscita da una strada a fondo chiuso. Non sempre basta fare retromarcia per cancellare il presente.
Nessuna delle sue due anime pareva trovare una soluzione.
Le giornate passavano lente e le emozioni venivano vomitate insieme ai medicinali che le sedavano corpo e vitalità.
Le pareti di casa si erano scurite, amene ad ogni tipo di primavera.
Quando si ammaló smise di comprare arance rosse e inizió a bere succhi confezionati.
Risollevare due anime non é così facile.
Ogni tanto passava ore chiuse nella sua stanza, provando a convincersi e a convincerle di quanto la vita avesse un senso anche in questo modo, tra quei kili persi e quelle settimane spese nelle corsie degli ospedali.
Loro si davano il cambio cercando di prendersi sulle spalle una sofferenza troppo grande per chiunque; cercavano di dare tregua a quell’espressione oro nero fin troppo bistrattato dalla vita.
Non basta avere due anime.
Non basta saper inventare storie.
Non basta essere forti.
Il lunedì di inizio chemio non era mai una passeggiata, ma capitò che nella disperazione dell’attesa le parole presero forma e diventarono concrete come le arance che non comprava più. Il portatile iniziò ad accompagnarla per tutti quei lunedì e a scandire giorni tristi e pomeriggi dove il sole entrava piano piano nelle sue ossa e nella sua casa.
Scrivere portò linfa nuova nella sua vita, e consentì di mettere speranze nei racconti e di condensare paure dentro fogli troppo bianchi per non essere sporcati.
Non sempre rimanere intonsi é la scelta giusta da compiere.
Ci sono persone che vanno sporcate, vite che vanno esplorate fino a coglierne il marcio che non si vuole vedere.
Il bianco può essere rovinato, soprattutto quando a farlo é l’inchiostro delle possibilità.
Ci sono malattie che ti rimangono dentro.
Lucrezia ora di anime ne aveva tre; quella buia del dolore l’avrebbe accompagnata per tutta la vita, ad ogni controllo, ad ogni avvisaglia, durante quei film sui malati terminali che tanto piacciono agli sceneggiatori.
Non si guarisce mai da un tumore, ti rimane dentro anche quando una schiera di medici ti sussurra che é finita; ma lei ora lo cibava di parole e chiedeva alle sue anime di placarlo in quelle nottate di nebbia novembrina.
Ilaria Bonfanti [email protected]