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Spin Off

Racconto breve di Alfredo Perna

Per darsi coraggio, incominciarono ad intonare il loro inno di battaglia: “È soltanto un sogno, e noi ne verremo fuori! È il nostro sogno, e non sarà il primo e né l’ultimo dei nostri giorni!”

Poi, poco dopo, s’udì in lontananza una nuova serie di esplosioni potentissime. I carri armati tornavano all’attacco. L’ultima, la deflagrazione più prolungata e forte di tutte, fece rimbombare il terreno come un violento terremoto. Si ebbe come l’impressione di un’onda pronta a venir su dal sottosuolo e lacerare la superficie.

Quasi tutti gli uomini, nel medesimo istante, si schiacciarono le mani sull’elmetto, e smisero di cantare. Erano barricati nella lunga trincea da diversi giorni e sapevano bene che il prossimo ordine del Comandante Trenton era imminente.

Edward J. Trenton era un uomo sulla quarantina, di altezza media e con indosso una logora divisa verde militare. Il volto era pallido e teso attorno ad occhi neri stravolti. Le mascelle serrate, come una cavalletta pronta al combattimento, da diversi minuti, attorno alla frase con cui avrebbe dovuto lanciare il prossimo ordine.

Esitava. Posava lo sguardo, a turno, su ogni singolo soldato, ed esitava.

I suoi uomini, in quel momento, cercavano di evitare il suo sguardo.

Poi, quando una nuova esplosione parve proprio vicinissima, la sua frase fu formulata. “Anche stanotte dobbiamo difenderci”, gridò. “Le truppe del nemico avanzano imperterrite e saranno qui tra non molto. Se vogliamo salvarci dobbiamo raggiungere la corteccia dall’altro lato del campo. Dobbiamo essere pronti ad ogni tipo di sacrificio!” La sua voce rimbombava nella stretta fossa con una forza violenta. Non aveva, certo, l’effetto d’uno dei tanti colpi di cannone che continuavano a librarsi per aria, da una parte e dall’altra del campo, ma raggiunse ugualmente il suo scopo. “Tu”, disse indicando ad un certo punto una ragazza, soffermando su di essa lo sguardo. La giovane sussultò, fece un ultimo, invano, tentativo di restare nascosta dietro la mole di un uomo robusto sedutole accanto, ma E. J. Trenton era troppo esperto per giochetti del genere.

Come ti chiami?”, le chiese deciso.

Leslie, Comandante.”

Leslie”, disse senza smettere di osservarla. Era una ragazza sottile, non alta. Sembrava adatta allo scopo. “Te la sentiresti di uscire dalla trincea ed attraversare il campo?”

La giovane donna deglutì un numero imprecisato di volte, esitando prima di rispondere. Pensava che fino ad allora le era sempre andata bene. L’unico suo timore, lo stesso degli altri soldati, era stato quello di venire scelta per essere sacrificata alla causa comune. Se fosse riuscita a raggiungere la corteccia cerebrale, il Sogno sarebbe stato smantellato e loro avrebbero smesso di soffrire in quella guerra.

In caso contrario sarebbe morta. Risucchiata per sempre nell’oblio.

E la notte seguente sarebbe stato sacrificato qualcun altro.

Quando un nuovo ordigno esplose proprio a pochi metri dalla loro postazione, il Comandante gridò con voce nervosa: “Leslie, non abbiamo molto tempo!” Al che la ragazza si sollevò in piedi e, alzandolo a mezz’aria, controllò la funzionalità del suo fucile. Era una doppietta molto vecchia. Macchie di ruggine sparse sulle canne e sul grilletto suggerivano l’impossibilità del suo impiego in qualunque tipo di combattimento. Dall’espressione apparsa sul suo volto pareva non trapelare più alcuna emozione. Era diventata improvvisamente fredda, Leslie.

Bene”, gridò Trenton. Tirò fuori da un vecchio baule di legno La Conclusione Onirica: una sottile asta di acciaio allungabile. L’allungò ad un soldato. Mentre si passavano l’un l’altro la sbarra per lo smantellamento, nessuno degli uomini accovacciati nella trincea degnò di uno sguardo il suo vicino. Il canto d’incoraggiamento di poco prima sembrava un ricordo vecchio di anni. Tutti tiravano il fiato e probabilmente riflettevano sul fatto di essere stati fortunati a non essere stati scelti per uscire allo scoperto.

Parevano piccoli animali impauriti avvolti in divise d’ordinanza rovinate.

Nei giorni precedenti ne erano morti diversi sotto i colpi sferrati dai carri armati. Da ultimo un giovane, poco meno di un adolescente, con una rada peluria bionda attorno a labbra sottili ed il naso aquilino, che era riuscito a percorrere soltanto una manciata di metri prima di essere ucciso da un colpo di fucile vagante.

Quando l’ultima delle mani allungò l’asta in quelle di Leslie, il comandante Trenton gridò ancora: “In bocca al lupo soldato! E che tu possa essere il vincitore!”

Leslie emise un sonoro sbuffo d’aria prima d’attaccarsi lo strumento per lo smantellamento alle spalle, come una specie di zaino. Si sistemò meglio l’elmetto, quindi allungò le braccia nell’aria e s’arrampicò sul muro della difesa, agitandosi come una specie di scimmia consapevole dei suoi ultimi momenti di vita in quella dimensione. Mai nessuno era riuscito a fermare la guerra, prima d’allora. Il Sogno si ripeteva ogni notte con un tumulto di immagini violente. Probabilmente nessuno dei presenti avrebbe mai scommesso un soldo bucato su Leslie.

Perché proprio lei avrebbe dovuto riuscire?

Fu inghiottita dalla notte.

Cominciò a spostarsi velocemente, come un’ombra, sotto la cupa volta celeste.

Trenton aveva visto giusto. La ragazza sapeva correre agilmente, anche con la doppietta stretta tra le mani. Percorse svariati metri – in modo rettilineo, a zig zag, sempre senza fermarsi – e raggiunse in breve il mezzo del campo di battaglia. La zona centrale era un pantano, un suolo grigiastro più melmoso e viscido del terreno della trincea. La donna serrava forte le mascelle mentre intorno a lei i cannoni sparavano palle di roccia più dure del ferro, rischiarando la notte, e lasciando profonde voragini non appena toccavano il suolo.

Per sua fortuna non fu colpita.

Si narrava che il campo di battaglia fosse, in realtà, l’incubo ricorrente di un uomo. Un dormiente in carne ed ossa che mai nessuno avrebbe potuto vedere. Un’entità, quasi. Qualcosa di solido e astratto al tempo stesso, perché poteva manifestarsi nelle vite di loro soldati soltanto attraverso quella guerra.

Leslie aveva sentito decine e decine di volte raccontare questa storia sia durante la leva che in trincea; era un episodio assurdo e aveva finto col metabolizzarlo a poco a poco così come si potrebbe assorbire un cibo duro e scadente. Le loro vite erano la proiezione delle immagini oniriche della mente di una persona. Se pensava a questa storia le correvano i brividi lungo la schiena.

Quando fu proprio a pochi metri dalla sostanza grigia, per farsi coraggio cominciò a cantare a voce alta l’inno: “È soltanto un sogno, e noi ne verremo fuori! È il nostro sogno, e non sarà il primo e né l’ultimo dei nostri giorni!” Poi, si fermò, sciolse i nodi che le tenevano legata alle spalle l’asta di metallo e la lasciò cadere per terra. Socchiuse gli occhi e per diversi secondi ripassò nella mente gli insegnamenti del corso di arruolamento. Così, s’inginocchiò, svitò il fermo dell’asta – con un movimento deciso delle mani – l’allungò sino a raggiungere il massimo dell’estensione e una volta rialzatasi fece aderire la punta uncinata posta all’estremità alla sostanza grigia del cervello dell’uomo addormentato. La Conclusione Onirica avrebbe cancellato, in pochi secondi, le violente immagini della guerra dal pensiero dell’uomo.

S’assicurò che la presa fosse salda, poi cominciò a tirare con tutte le sue forze.

Per prima cosa sparì un’ampia sezione della notte. Una vaga riproduzione di stelle opache, la mezza luna e qualche nube isolata crollarono al suolo come edifici minati. Scomparve poi una parte del campo di battaglia e a poco a poco tutti i carri armati. Una palla di cannone, appena sparata, si bloccò a mezz’aria prima di dileguarsi insieme al frastuono prodotto. Insieme alla parte rimanente della volta celeste oscura si dissolse tutta la trincea e quando, finalmente Leslie capì che era giunto anche il suo momento, s’accasciò per terra, sfinita.

Non era più importante nulla, ora. L’insieme del Sogno sarebbe andato via, sparito per sempre. E il tutto non avrebbe più contato nulla. Sarebbe rimasto solo il silenzio e poi nemmeno più quello. Niente. Nessuno avrebbe saputo mai il fatto che era stata un ottimo soldato, che aveva portato per la prima volta a termine la missione, smantellando il Sogno. Nessuno mai sarebbe venuto a conoscenza del fatto che lei, Leslie, sarebbe stata per sempre un vincitore.

Alfredo Perna
[email protected]

Author: Alfredo Perna

Alfredo Perna (Napoli, 1976) si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Federico II. Tra i suoi interessi: la letteratura, il cinema e l’arte. Dal 2012 collabora con gli Alieni Metropolitani, pubblicando racconti e recensioni.

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