Recensione di Alessia Lo Bianco
“Non sollevare il velo dipinto che quelli che vivono chiamano vita”
Maugham ha fama di essere un autore cinico ed eccezionalmente spregiudicato nel dissacrare i costumi del suo tempo e, dopo Le acque morte, Il velo dipinto è l’opera che meglio esemplifica questa caratteristica.
Colonna portante del romanzo è il concetto d’incomunicabilità. È un tema molto caro a Maugham, il quale sembra aver compreso che stia proprio nella difficoltà del colmare le distanze fra le persone il male più grave da cui è afflitta l’umanità. Un male che, fra le altre cose, sembra non avere cura.
La distanza di cui leggiamo è però una distanza artificiosa, creata e alimentata da una numerosa serie di convenzioni e regole sociali che sono percepite come indispensabili per affrontare la normalità richiesta dal vivere in comune.
Non è una tematica nuova per l’autore, la si può scorgere con sorprendente chiarezza soprattutto in racconti come L’avamposto e Mackintosh; racconti che, con Il velo dipinto, condividono anche l’ambientazione esotica. Un fattore, quest’ultimo, ben lontano dall’essere secondario. Infatti, è proprio quando ogni bagliore di civiltà, per quanto ridicola e fittizia, si allontana dall’orizzonte dei coniugi Fane che la loro spaventosa estraneità l’uno rispetto all’altro prende il sopravvento, mostrandosi in tutta la sua cruda luce e reclamando quel diritto all’esistenza e al riconoscimento fino allora negato. Con l’arrivo a Mein-ta-fu la figura di Walter diventa emblematica dello scontro fra forma e sostanza. Sotto la fredda compostezza mista a un certo disincanto verso il mondo e i suoi abitanti, Walter è un uomo divorato da sconquassanti passioni che finiranno inevitabilmente per distruggerlo.
Il velo dipinto, tuttavia, è anche uno straordinario romanzo di formazione.
Maugham è stato spesso accusato di misoginia ma la sua, in realtà, è una visione estremamente lucida – e nonostante tutto ancora molto attuale – dei meccanismi che regolano l’universo femminile. Kitty non è stupida come si potrebbe credere. È frivola ed egocentrica ma non stupida. Kitty è soltanto superficiale e lo è perché così è stata educata. Maugham, esperto conoscitore dell’animo umano, dipinge con fredda sincerità il ritratto della madre arrivista e ambiziosa della protagonista e ci spiega subito dov’è il nocciolo della questione: una vita vissuta all’insegna dell’ipocrisia e delle apparenze non avrebbe potuto creare una donna diversa.
Il lento sollevarsi del velo dagli occhi di Kitty avviene attraverso passaggi delicati e un lungo, tortuoso percorso di espiazione, segnato soprattutto dal rapporto con la grande antagonista (laddove per antagonista si intende opposto) della giovane: la Madre Superiora. Dopo aver compreso, Kitty scivolerà ancora una volta nell’errore, ma è proprio attraverso quest’ultima, inaspettata e bruciante caduta che l’espiazione si completa.
Non si tratta di uno di quei romanzi che possono essere esaminati sezionando e analizzando singolarmente le sue diverse componenti. Il velo dipinto rifiuta questa logica. Non è possibile evidenziarne un livello per poi passare al successivo spinti da un ragionamento di tipo causa-effetto. È un groviglio di significati autonomi e allo stesso tempo intrecciati fra loro quello che ci si deve preparare a sbrogliare.
E forse sta proprio in questo il piacere più grande nel leggere Maugham.