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Le notti bianche – Fëdor Dostoevskij

Recensione di Andrea Corona

«La mia storia!» esclamai smarrito. «La mia storia! Ma chi vi ha detto che io ho una storia? Io non ho una storia…»

Dostoevskij è riuscito, con quest’opera, a raccontare di un uomo che non c’era. Un uomo che trascorre le sue serate aggirandosi come un fantasma per le vie di San Pietroburgo. Nel corso delle sue passeggiate incontra tante persone, ma senza interagire con nessuna di esse. Accennare un saluto, per il Nostro, costituirebbe un gesto sin troppo ardito. «Io sono un sognatore; ho vissuto così poco la vita reale» dirà di sé all’unica persona di tutto il romanzo con la quale avrà un dialogo, Nasten’ka.

Incontrata per caso, Nasten’ka è una fragile diciassettenne dal cuore infranto che susciterà la compassione e l’amore del sognatore. La ragazza accetterà di rivederlo a patto che questi le racconti la sua storia. Apprendiamo allora che il protagonista è un uomo senza qualità, o meglio, «un tipo» che non arriva neanche alla tangibilità di un essere umano, in quanto «Il sognatore, se occorre una definizione precisa, non è un uomo, ma una specie di essere neutro».

Ecco allora che l’anonimo protagonista, oltre a non avere nome, non ha neanche una consistenza: l’unica cosa che sente è come intorno a lui volteggi la folla, avvolta da un vortice di vita; l’unica cosa che vede è come la gente viva una vita eternamente giovane e che eternamente si rinnova, una vita nella quale nessun’ora somiglia alla precedente. Al polo opposto del suo mondo di sogni e fantasie, dunque, della sua esistenza «monotona fino alla volgarità». Il sognatore è travolto, eppure non toccato, dalla gioia di vivere altrui; è condannato, come in un’eterna coazione a ripetere, a vagare «come un ombra senza scopo e senza meta», al punto da iniziare già a credere di non essere capace di vivere una vita vera e di aver perduto «ogni senso della connotazione, ogni senso della realtà».

Le conversazioni con Nasten’ka si protrarranno per quattro notti, durante le quali la ragazza racconterà a propria volta la sua storia e finirà addirittura per ricambiare l’amore dell’uomo. Ma si tratterà solo di un breve sogno, di una fantasia, di una storia d’amore della durata un battito di ciglia, come il sognatore presagiva allorquando asseriva che «Il futuro significa la nuova solitudine, significa ritorno a quella vita immobile e vana».

Le notti bianche racconta di una vita ai margini, trascorsa stando sul bordo, mentre il tempo scorre. Si tratta, in sostanza, di un’opera sul limbo. I latini lo chiamavano limbus: orlo, lembo. Come cercare di trattenere qualcuno toccando appena il lembo della giacca con la punta delle dita, così il Nostro è destinato a veder sfumare quel po’ di tinta che ha colorato per quattro notti la sua vita, in breve ritornata ad essere quell’esistenza incolore, inodore e insapore che sempre è stata e sempre sarà.

In definitiva, Le notti bianche è un’epopea sull’estraneità al mondo, sull’estraneità al prossimo e sull’estraneità alla vita. Un’epopea, in una parola, sulla nullità. «Oh, Nasten’ka!», sospira il sognatore,«Quanto sarà triste rimanere solo, completamente solo, e non avere nemmeno un rimpianto, nulla… perché tutto ciò che ho perduto non era nulla, era uno sciocco, rotondo zero».

 

Andrea Corona

Author: Andrea Corona

Andrea Corona (Napoli 1982) lavora in campo editoriale. Saggista, è autore di scritti filosofici e letterari pubblicati in volume e su rivista. Per gli Alieni scrive racconti, recensioni e saggi brevi.

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1 Comment

  1. Si potrebbe desiderare di fermarsi presso il più grande e completo Dostoevskij pagina una volta. Si compone di oltre 450 pagine. Con un solo clic, la pagina può anche tradurre in italiano.

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