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Racconto breve di Marco La Terra

fumo ricordo racconto

Immerso nel sordo frastuono dei suoi pensieri che, oramai da troppo tempo, lo bombardavano senza requie, Massimo decise di alzarsi da tavola e andarsene, abbandonando così la compagnia di amici che, parimenti anestetizzata da ogni stimolo esterno, era intenta a fagocitare enormi razioni di brasato con polenta.

Nel prendere una simile iniziativa, l’uomo non si era però accorto di aver bruscamente troncato la conversazione con un’anonima brunetta che, del tutto inconsapevole del proprio amorfismo, da più di mezz’ora lo annoiava con inutili discorsi dall’anelito pseudo-culturale, col chiaro intento di fare colpo su di lui.

- Ma…! Massimo, dove stai andando? -, lo riprese Manuel, a capotavola – Stiamo ancora mangiando! –.

- Fuori a prendere una boccata d’aria, non ho molta fame mi dispiace -.

- Io veramente non avevo ancora finito di parlare -, irruppe la brunetta con tono astioso che, quanto meno, produsse l’effetto di smuoverla dal proprio anonimato estetico – sei veramente un gran cafone, lo sai? Mezz’ora che ti parlo e mai una volta che mi hai guardato negli occhi! –.

- Forse perché sei un cesso! -, la canzonò Nicola, seduto accanto a lei.

- Ma come ti permett… -

- Vedi, tu hai ragione -, la interruppe Massimo, con il suo timbro di voce calmo e pacato, la cui ricercatezza lessicale tradiva il suo profondo amore per le Lettere – ma non mi sento dell’umore per affrontare conversazioni complicate e profonde come quella che stavamo avendo. Ho avuto la compiacenza di lasciarti parlare perché sei donna, e il torto maggiore che vi si possa fare è, in effetti, negarvi il piacere più grande per cui siete state create, ovvero parlare. Non ritengo tuttavia di essere maleducato nell’allontanarmi così su due piedi: inoltre sono stanco, con la testa francamente altrove e ho bisogno di una boccata d’aria. Anzi, credo proprio che andrò a casa. Scusate, con permesso – concluse l’uomo, cominciando a farsi strada fra le sedie dei commensali.

- Te ne vai?!? Ma come? Non puoi fare questo ai tuoi amici! Siamo qui tutti insieme solo per stasera e tu giri e te ne vai? Ha ragione lei allora – lo apostrofò Nicola indicando la brunetta, ormai giunta sull’orlo di una crisi di pianto, – sei veramente un cafone patentato! -.

L’affermazione non fu seguita da alcuna replica poiché Massimo, una volta manifestato il desiderio di andarsene, si era appunto allontanato dal proprio posto senza ulteriori indugi, incamminandosi con passo lento lungo il salone, immerso in chissà quali riflessioni.

- Ricordati almeno di pagare il conto, stronzo! -, fu l’unica frase che il suo cervello registrò, una volta uscito dal locale.

Per quanto distaccato dal contesto circostante, l’’uomo non aveva smarrito i crismi della buona educazione perciò, prima di allontanarsi, aveva dato disposizioni affinché il conto del ristorante gli fosse interamente addebitato.

Al di là della risposta con cui si era congedato poco prima, era perfettamente conscio di non essere stato corretto nell’andarsene via così, senza preavviso alcuno, trincerandosi in quell’improvviso silenzio simile a una notte senza stelle.

Per quanto l’episodio gli dispiacesse, capiva che non avrebbe potuto fare altrimenti: la morsa che stringeva il suo cuore si era fatta via via più intensa, acuta e disperata.

Erano settimane che si trovava in una predisposizione d’animo negativa ma, nel vedersi circondato da quell’informe calca di corpi, il suo magone si era improvvisamente acuito: tutto gli era parso insopportabile e si era allontanato in tutta fretta.

Ora era solo, lungo la strada, e poteva finalmente tirare un profondo sospiro di sollievo.

Si guardò intorno: solitudine, buio, silenzio; unici compagni un timido spicchio lunare, la volta celeste ornata di innumerevoli stelle e qualche raro lampione a illuminare la strada sino in città.

Una compagnia piacevole perché muta, pensò l’uomo.

Tranquillizzatosi in parte, Massimo si incamminò lentamente, con passo calmo e sereno, lieto che l’unico rumore percepibile fosse prodotto dalle sue scarpe che strisciavano pigramente lungo la strada d’arenaria, coperta in superficie da un leggero strato di brina.

La sua figura, ritagliata dal riflesso delle flebili luci alle sue spalle, si stagliava austera ed elegante, avvolta nel leggero impermeabile di pelle nera.

Prima c’era lei, dentro di me, a rischiarare il mio cuore malato e il sentiero da calcare, Adesso tutto è perduto.

Come farò, senza di lei?

Come farò senza i suoi dolci sorrisi ad accogliere i miei risvegli, il suo odore fragrante ad avvolgere quest’inutile corpo, la sua pelle candida, liscia e levigata, a deliziare i miei sensi e lenire le ferite del mio cuore?”.

Sconsolato, l’uomo estrasse l’astuccio di pelle chiara, dove conservava la pipa di ciliegio, ruvido e lavorato: acquistata qualche mese prima da un artigiano austriaco per poche decine di euro, col tempo era diventata sua compagna inseparabile tanto da giungere, con suo grande stupore, a intaccare l’amore viscerale che da sempre nutriva per il Toscano.

Estratta la pipa dall’astuccio l’uomo rimase immobile, per un istante che parve non finire mai, vinto dal silenzio di quella strana notte: lentamente, con il pollice della mano destra prese ad accarezzarne la superficie ruvida e scura, vinto da una sorta di ipnosi.

D’improvviso, la mente lo riportò a quelle sere in cui, un po’ per scherzo un po’ per interesse, Lighea aveva chiesto di fumarla.

Quelle occasioni, che adesso l’uomo ricordava con un misto di gioia sublime e profonda tristezza, lo trovavano intento a riempire la pipa con un tabacco aromatico ai frutti di bosco, in modo che anche lei potesse apprezzarlo. Lentamente, con gesti precisi e accurati, ne riempiva il primo terzo con una piccola presa, delicatamente appoggiata alla base del braciere, il secondo con una lieve pressione del pollice della mano sinistra, l’ultimo con un movimento più deciso, in modo che il tabacco riempisse per intero il camino.

Una volta accesa, l’uomo inalava l’aroma con boccate lunghe e profonde, rilasciando una nube che invadeva l’aria con quel profumo dolce che piaceva tanto alla donna.

- Fammi provare! Fammi provare! – strillava allora divertita, entusiasta come una bambina.

Nell’udire tali insistenze, Massimo cingeva le sue spalle, quasi a volerla proteggere da quell’oggetto così inconsueto e, con pazienza, le porgeva la pipa raccomandando di assaporarla con boccate brevi e leggere anche se, a dire il vero, lui stesso non riusciva a emanciparsi dalla tecnica del coriaceo fumatore di Toscani che era sempre stato.

In effetti, in quelle occasioni i suoi consigli cadevano sempre nel vuoto poiché la donna, assidua fumatrice di sigarette, inspirava il tabacco con eccessiva forza, finendo sistematicamente per tossire.

- Cough! Cough! Tutte le volte la stessa storia, ma dov’è che sbaglio? – gli domandava, con il viso paonazzo e le lacrime agli occhi.

Ancora adesso non riusciva a capire se l’errore fosse di Lighea, che inspirava il fumo troppo rapidamente o se, a monte, egli non si fosse rivelato un pessimo maestro.

Questo ricordava l’uomo mentre osservava lo strumento sospeso a mezz’aria, il camino adagiato sulle prime tre dita della mano sinistra, il resto sul quarto.

Dopo aver certificato la propria indolenza dinanzi all’incedere di quei ricordi, con un lungo sospiro Massimo avvicinò la mano destra all’astuccio e, tratta una prima presa di tabacco, ne seguirono altre due, in base alla tecnica consueta.

Una volta riempito il camino ne accese per intero il braciere e, senza pensarci troppo, riemerse lo spirito del fumatore di Toscani che continuava a vivere in lui: in breve, un fumo denso e pieno invase l’aria circostante.

Un fumo privo di aroma, dal gusto forte e deciso.

Secco, come il suo cuore avvizzito.

Davanti ai suoi occhi poche immagini di quella donna, strana e sfuggente e una serie di ricordi, brevi ma intensi, a tempestare il cuore dell’uomo come le stelle la volta celeste.

Ma, oramai assuefatto alla solitudine, il suo cuore si era come indurito, richiuso, ormai di rado sorpreso da quei ricordi che, furtivamente, lo assalivano quando si trovava in mezzo alla folla.

Adesso stava meglio, molto meglio, perso in quella solitudine invernale che gli era amica e seguace.

L’uomo prese a incamminarsi lentamente, scrutando all’orizzonte le luci della città, che già si intravedevano di lontano.

Sorrise.

I ricordi, così forti ed intensi fino a qualche minuto prima, vennero avvolti in una nuvola di fumo e congelati in un angolo del cuore.

 

 

Marco La Terra
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