Recensione di Andrea Corona
Ci vogliono due persone per farti, e una per morire. È così che il mondo finirà.
Mississippi, anni Venti. Mamma Addie è malata e nella fattoria Bundren si attende il momento del suo ultimo respiro. Il marito e i figli della donna sembrano accettare stoicamente il volere del Signore, sebbene alcuni componenti della famiglia, più che rassegnati, appaiono indifferenti e disamorati. Il figlio primogenito, il falegname Cash, sta costruendo lui stesso la cassa da morto per la madre, alla quale mostra man mano i progressi del suo lavoro. Come apprendiamo da una vicina dei Bundren, la signora Cora Tull, la volontà di Addie è quella di essere sepolta nel paese in cui è nata, che si trova però in un’altra contea dello Stato. Il clima è torrido, siamo in estate, eppure si avvicina una tempesta di tale veemenza che «è come se su tutta la terra la pioggia, maledetta, volesse proprio questa, di casa, per pioverci sopra».
La donna, finalmente, spira. Ha inizio così il – lungo – peregrinare del feretro. Caricata la salma su di un carro, tutta la famiglia si dirige alla volta di Jefferson County. Senza rivelare troppo della trama, nelle pagine che accompagnano la famiglia Brunden nel suo esodo apprendiamo che mamma Addie, dopo aver dato alla luce Cash e Darl, partorì Jewel a seguito di una relazione extraconiugale e poi, per compensare al torto fatto al marito Anse, gli diede prima la femmina Dewey Dell e infine il piccolo Vardaman. «E adesso lui ha tre figli che sono suoi e non miei. E allora potei prepararmi a morire» dice la donna nell’unico monologo assegnatole da Faulkner.
Il romanzo è infatti ripartito in capitoli che corrispondono ai monologhi dei protagonisti, dei quali portano il nome: se a Jewel, il figlio “bastardo”, vengono assegnati pochi capitoli (e quindi pochi monologhi), Darl, il figlio “strano” ma prediletto, ha il compito di condurre gran parte della narrazione.
«Ci vogliono due persone per farti, e una per morire. È così che il mondo finirà». Darl si esprime come un profeta pazzo, eppure il suo sguardo alienato è più lucido di quello altrui. Come un pazzo verrà trattato quando Dewey Dell e Jewel complotteranno ai suoi danni – in un passo che, personalmente, mi ha ricordato il complotto di Rebecca e Giacobbe contro Isacco. A tal proposito: “Mentre morivo” abbonda di allusioni bibliche, epiche e mitologiche, che vanno dal diluvio all’esodo, dalle “parabole” alla “babele” del linguaggio, dalle profezie al simbolismo dei numeri (che mamma Addie venga sepolta dopo nove giorni mi ha fatto pensare alla “Teogonia” di Esiodo, allorquando si legge che nove giorni e nove notti sono la misura del tempo che separa il cielo dalla terra e questa dall’inferno).
Ma, ciò detto, non si commetta l’errore nel quale stavo per cadere io stesso all’inizio della lettura: fino a quando guardavo a “Mentre morivo” come a un florilegio di citazioni e rivisitazioni classiche non riuscivo a farmelo piacere; ma in seguito, giunto ai due terzi del romanzo, ho capito che quest’opera di Faulkner è essa stessa una bibbia e un poema epico. “Mentre morivo” è, per così dire, più libri messi insieme (una “Bibbia”, appunto) che parla(no) di amore, odio, tradimento, pentimento, nostalgia, vendetta, debito nei confronti dei padri e obblighi nei confronti della discendenza.
A un’analisi più strettamente letteraria, quest’opera di Faulkner sembra legata alla tradizione del simbolismo americano di Hawthorne e Melville, in quanto popolata di tematiche religiose e preoccupazioni morali che, concretizzandosi in narrazioni allusive e simboliche, danno vita a potenti immagini mitiche. Dall’altro lato, tuttavia, è innegabile che questo romanzo sia animato da una volontà di sperimentazione formale che risente, in maniera altrettanto marcata, della lezione di grandi romanzieri europei quali Joyce e Proust. E i meccanismi del monologo interiore, delle prospettive multiple di racconto, del flashback e del flashforward sono qui sostenuti con grande maestria e originalità linguistica.
Per concludere, “Mentre morivo” è un libro sul «desiderio di nascondere quell’abietta nudità che ci portiamo dietro, qui, e ce la portiamo dietro ancora una volta, testardamente, furiosamente, sottoterra». Come chiosa il dottor Peabody, il personaggio più razionale del romanzo.
Andrea Corona [email protected]
5 aprile 2013
Nella mia modesta libreria casalinga ci sono tre romanzi che occupano in bella evidenza un angolo particolare; stanno lì per ricordarmi come abbiano saputo trasmettermi, ciascuno a suo modo, l’ineguagliabile magia della scrittura quando tratta di vite umane in preda a tormenti e ad acuti disagi esistenziali. E, per conseguenza, della loro lettura che ci arricchisce. Li cito in ordine alfabetico: Chiamalo sonno (Henry Roth), Mentre morivo (William Faulkner),Sotto il vulcano (Malcom Lowry).
Bene la recensione, che meriterebbe tanti commenti dai vostri lettori.
5 aprile 2013
Nella mia modesta libreria casalinga ci sono tre romanzi che occupano in bella evidenza un angolo particolare; stanno lì per ricordarmi come abbiano saputo trasmettermi, ciascuno a suo modo, l’ineguagliabile magia della scrittura quando tratta di vite umane in preda a tormenti e ad acuti disagi esistenziali. E, per conseguenza, della loro lettura che ci arricchisce. Li cito in ordine alfabetico: Chiamalo sonno (Henry Roth), Mentre morivo (William Faulkner),Sotto il vulcano (Malcom Lowry).
Bene la recensione, che meriterebbe tanti commenti dai vostri lettori.
29 aprile 2013
Il film di James Franco tratto da As I Lay Dying sarà presentato Cannes. Rischioso ma imperdibile!