Recensione di Alfredo Perna
Si narra che una sera d’estate William Faulkner fosse seduto in veranda insieme alla moglie ed osservassero scendere il tramonto. Ad un certo punto la donna casualmente, più o meno con queste parole, commentò: “Niente è paragonabile alla luce d’agosto, non è vero?” Quasi nello stesso istante William Faulkner è come se fosse folgorato da un’illuminazione. Balza in piedi, corre nel suo studio e cambia il titolo del romanzo che stava ultimando: da “Dark House” diventa “Light in August”.
Diversi critici hanno tentato di speculare sul significato del titolo. Per anni facendolo derivare dall’uso colloquiale della parola “light”, luce: volto a significare dare alla luce, usato in genere per descrivere una mucca quando partorisce (dà alla luce) e ritorna alla luce (muore), in collegamento alla gravidanza di Lena Grove, la giovane donna protagonista dell’opera.
Tant’è che Faulkner, a proposito della scelta del titolo, ha negato tale interpretazione, spiegando: “Ad agosto in Mississippi ci sono alcuni giorni, orientativamente a metà del mese, in cui all’improvviso ci sono precipitazioni anticipate, fa freddo, c’è una qualità di luce luminosa, dolce e fosforescente, sebbene sia un fenomeno antico, non dei giorni nostri. Avrebbe dovuto rappresentare i fauni e gli dei – secondo la tradizione greca dell’Olimpo. Dura giusto per un giorno o due, poi va via. Il titolo mi rimanda a quel momento in cui la luminosità diventa precedente alla nostra tradizione cristiana.”
Luce d’agosto fu portato a compimento, e pubblicato nel 1932, poco dopo che l’autore fosse diventato una celebrità. Il settimo dei suoi romanzi è ambientato nel periodo compreso tra le due guerre, e si incentra su due stranieri che arrivano in momenti diversi a Jefferson, nella contea di Yoknapatawpha – immaginario territorio del Sud dove l’autore ha ambientato gran parte dei suoi libri e che è ormai divenuto un luogo mitico, nonché letterario, del Novecento – ricreata sulla base di quella da cui proviene Faulkner: Lafayette, in Mississippi.
L’opera si focalizza subito su Lena Grove, una ragazza bianca incinta proveniente dall’Alabama alla ricerca del padre del bambino, che non è ancora nato, per quindi passare ad esplorare la vita di Joe Christmas, un uomo misterioso e sfuggente, carnefice e martire al tempo stesso, che si è stabilito a Jefferson da pochi anni e passa per bianco, ma che segretamente crede di avere antenati neri. Christmas, privo di riscatto e di redenzione, che fugge da tutto e da tutti per dimenticare le inquietudini delle sue origini razziali, lavora alla segheria con Lucas Burch, il padre del figlio di Lena, che ha cambiato il suo nome quando ha scoperto che lei era incinta.
Ben presto, nella comunità di Jefferson, si spargerà la voce di un brutale omicidio, risucchiando tutti i suoi membri in una spirale vertiginosa.
Joanna Burden – “yankee”, discendente di abolizionisti, e per tale motivo odiata dai cittadini di Jefferson – proprietaria del capanno in cui Christmas e Burch vivono, è stata assassinata. Burch, coinvolto nella scena del crimine, svela che Christmas aveva una relazione con lei; ed è proprio per tale motivo ritenuto colpevole dell’assassinio. Mentre Burch è in carcere, in attesa di intascare la taglia che pende sulla testa di Christmas, Lena è assistita da Byron Bunch, uno scapolo zelante che si innamora di lei. Bunch, a sua volta, trova il sostegno in un altro emarginato, l’ex ministro Gail Hightower – per aiutare Lena a partorire e per proteggere Christmas affinché non venga linciato – un reverendo presbiteriano ripudiato dalla sua Chiesa per un vecchio scandalo della moglie adultera e suicida, che non ha nessuno da inseguire e niente da cui fuggire, perché la sua vita stagnante è già finita molti anni prima che nascesse, risucchiata dalla morte miserabile del nonno in una guerra priva di coraggio e di eroismo.
I protagonisti di Light in August consumano le loro vicende in un mondo che si dipana quasi sempre in strade in salita, circondate da casotti abitati da neri invisibili e bisbiglianti, sceriffi, taglialegna, predicatori, e donne “dal volto di pietra”. L’autore ama focalizzarsi su personaggi disadattati, emarginati dalla propria società, e rappresenta lo scontro di persone alienate, contro una società rurale puritana e pregiudicata. In uno stile modernista, vorticoso, non strutturato che va dall’allegoria cristiana al racconto orale, Faulkner ci ha restituito il senso di una narrazione epica, frutto di un intrecciarsi di storie e voci che si rincorrono, contraddicono e sovrappongono, e dà vita ad un magma fluido, caldo e avvolgente, dove passato e presente, verità e menzogna, tragedia e commedia convivono. Le tematiche esposte sono l’etnia, il razzismo, il sesso, le classi sociali, e la religione nell’America meridionale.
A tratti è come se le parole, le frasi di Faulkner ci guidassero in un grande deserto, assolato e cocente, col solo scopo di smarrirci e darci ad intendere che l’unica maniera di sopravvivere è quella di continuare ad avanzare. Leggere Faulkner è quasi come masticare pietra. La sua è scrittura che sa di essere dura, ruvida. Ci costringe a scalare improbabili dune impervie, a desiderare di bagnare la gola diventata troppo asciutta, ma quando si è finalmente fuori di quel deserto ci si accorge di essere stati ripagati con una storia potentissima.
Manca, a differenza delle altre opere, la Natura forte e dirompente, tranne forse che quando le due colonne di fumo si levano minacciose dalla casa incendiata dei Burden ed è da quest’incendio che il male, la disperazione, la violenza, inquinano e spazzano le vite dei personaggi di questo libro. E sempre a differenza delle opere precedenti, in cui Faulkner sperimenta notevolmente, spingendo la forma-romanzo ai suoi limiti più estremi, in Luce d’agosto questa componente sembra mancare o avere uno spessore più sottile; l’autore americano usa un linguaggio più sobrio di quello a cui già ci aveva abituati, che quasi mai abbonda di troppi aggettivi, controllato e limpido. Mancano i lunghi monologhi o i paragrafi infiniti e stilisticamente è forse il suo romanzo più accessibile. Il primo accoglimento dell’opera, però, ha acceso alcuni dissapori: secondo l’opinione di alcuni giornalisti lo stile di Faulkner, così come la questione del soggetto suscitava delle riserve. Soltanto col tempo c’è stata una rivalsa tale da far considerare il romanzo come uno dei più importanti di Faulkner e una delle migliori opere in lingua inglese di tutto il XX secolo.
Alfredo Perna [email protected]