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recensione di William Dollace
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Abolire la morte è il nostro fantasma che si ramifica in tutte le direzioni” Baudrillard

J.G. Ballard

Il fine ultimo di Crash, inutile dirlo, è quello di monito, di messa in guardia dal mondo brutale, erotico e sovrailluminato, che sempre più suasivamente c’invia il suo richiamo dai margini del paesaggio tecnologico” J. G. Ballard, postfazione a Crash, 1974

J.G. Ballard espone la sua vetrina glaciale di seme e tecnologia. La sua rassegna appare come una profezia erotecnologica che oltre la ragione ne esplora nuove cavità.

Vaticinando la fusione calda fra vorticosi amplessi e lo sfascio lucido e meccanicizzato della Società tecnologica, con i suoi riti iniziatici, sagoma amplessi sulle traiettorie autostradali fra le decorazioni oliate, nature morte ricucite di parabrezza trafitti e vetri infranti da crani e articolazioni, nella metallica masturbazione cruscotto/tecnologica delle forme automobilistiche.

Questo tema, sviluppato in un crescendo di folle contorsionismo celebrogenitale, è esposto e reiterato a libitum in un’auto/psia di parole.

Nella postfazione dello stesso Ballard furoreggiano lucidamente alcuni concetti chiave illuminanti e caldamente anticipatori che abbracciano, sovraesponendola, l’intera nostra Società e il disagio che l’avvolge [infatti James cita appropriatamente “Il disagio della Civiltà” di Freud] disvelando in modo perfetto l’evolversi del Concetto stesso di Fantascienza e Riattivandone il ruolo fondamentale nella Narrativa moderna. Fantascienza, non rappresentata da un Futuro incollocabile o dallo Spazio sconosciuto, ma dalla Ricollocazione precisa del Nostro temuto Presente. Ballard ridefinisce i territori della fantascienza come quelli dello “spazio interno intendendo per tale quel territorio psicologico (manifesto, per esempio, nella pittura surrealista) nel quale s’incontrano, fondendosi, il mondo interiore dello spirito e il mondo esteriore della realtà” [pag. 201] e magistralmente, allarga il campo scandendone il concetto politico e tracciando il ruolo stesso dello scrittore in questo illuminante passo: “Viviamo in un mondo governato da fantasie di ogni specie: promozione di prodotti di massa, pubblicità, politica esercitata come una branca della pubblicità, volgarizzazione immediata di scienza e tecnologia in immagini popolari, confusione e fusione di identità nel settore dei beni di consumo, svuotamento di ogni libera o originale risposta immaginativa all’esperienza da parte della televisione. Viviamo insomma all’interno di un enorme romanzo. Allo scrittore in particolare è quindi sempre meno necessario inventare il contenuto fantastico del proprio romanzo. L’invenzione fantastica essendo già data, il suo compito è l’invenzione della realtà.” [pag. 203].

David Cronenberg

Il (suo) rimodellamento del corpo da parte della tecnologia” è lo scontro furioso senza effetti rallentanti e rallentati da intelletto sopraffino e nessuna gioia degli occhi tranne la lamiera infilata nella retina della presunta morale, scontri, dolorosi, rapidi e violenti come gli amplessi sui cofani e negli abitacoli, schegge di vetro e carni ricucite che sprigionano emoAzioni corporee in morti viventi dallo sguardo fisso e distante, da binocolo arrancanti arrapati respiri furiosi in cerca di prede ancora da cacciare in un nuovo territorio da protesi urbana erotica in cui si ode metallica la sinfonia delle cicatrici di Howard Shore, vagina metallica sopra le geometrie degli strumenti di controllo.

L’inseguimento/spostamento l’accelerazione/decelerazione di Vaughan come un corteggiamento animalesco con la sua carrozzeria movente estensione dell’organo sessuale ["Per lui, ferite del genere erano le chiavi di una nuova sessualità, generata da una perversa tecnologia; e le loro immagini stavano appese nella sua galleria mentale come oggetti esposti in un museo da macello"] e la perfetta simbiosi degli organi che irrompe come unione di corpi rimescolati dall’adesione delle loro forme inarcate sulle lamiere per/lustrate sono l’Estensione di un Dominio eccentrico e incontrastato del traffico che veicola e controlla fuori campo come un fantasma le vite degli individui sconnessi ai margini del paesaggio di piloni e cavalcavia: le maniglie come clitoridi, le manopole del cambio come cazzi, le cicatrici come orifizi, il simbolo come manifesto eretto del corpo e sulle sue superfici, nella psicopatologia del sesso strumento di guida e cofano accartocciato dell’animo, con la lingua che insegue l’esplorazione delle suppellettili da cruscotto, una portiera aperta verso il futuro imbevuto di morte, il sedile imbottito come casa, il volante come rampa di lancio per la perdita e l’ossessione di ogni controllo, l’orgasmo come sbandata di un crash reiterato.

William Dollace

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