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Invito a una decapitazione – Vladimir Nabokov

Recensione di Giulia Costi

Che cosa abbia influenzato Vladimir Nabokov nella stesura del surreale “Invito a una decapitazione” non è ben chiaro. Alcuni sostengono siano stati i totalitarismi della cosiddetta “età della catastrofe” (1914-1945) che l’autore visse in prima persona: la rivoluzione comunista che lo costrinse ad emigrare e la sua parentesi berlinese del 1934, anno di pubblicazione del romanzo, in pieno regime nazista. Altri, invece, denigrano il collegamento con il contesto storico avvallando una visione più metaforica del romanzo.

Una cosa è certa: quello dipinto da Nabokov è un mondo surreale in cui un secondino chiede ad un prigioniero di ballare un valzer e in cui il direttore del penitenziario si assicura del gradimento dei pasti serviti ai detenuti. Ancora più assurdo è il fantomatico reato di “turpitudine gnostica” che costerà la vita al protagonista, Cincinnatus. A tal proposito affermerà “Sono circondato da una sorta di squallidi spettri, non da persone. Mi tormentano come solo visioni insensate possono fare, brutti sogni, sedimenti di delirio, assurdità da incubo e tutto quello che qui passa come vita vera”. D’altronde quella creata per noi da Nabokov è una realtà di anime reciprocamente trasparenti e indagabili e in cui l’opacità, e la conseguente imperscrutabilità di Cincinnatus, risulta un’anomalia che uccide.

E così Cincinnatus è condannato alla decapitazione e riportato in cella, ma la datahappybirthday-nabokov dell’esecuzione è incerta. Trascorrerà giorni d’inferno in un limbo tra vita e morte.

Il clima all’interno del penitenziario, in totale contrapposizione con il tormento interiore del protagonista, si rallegra ancor di più con l’arrivo di un nuovo prigioniero: M’sieur Pierre, con il quale Cincinnatus trascorrerà giorni interi a giocare a scacchi e a bere tè. Ma in breve tempo questo nuovo personaggio si rivela in tutta la sua assurdità: basti ricordare l’episodio in cui sostiene di avere un piano di fuga, che si rivela uno scherzo architettato con la complicità del direttore del penitenziario. Tuttavia l’apice di ogni assurdità si raggiunge solo quando Cincinnatus scopre che in realtà sarà M’sieur Pierre a tagliargli la testa.

Dunque tutto è pronto per la fine, ma anche per un nuovo inizio. Cincinnatus è disteso sul ceppo del patibolo e conta i secondi che lo separano dalla morte. Vede l’ombra del movimento rotatorio della scure pronta a calargli sulla testa quando improvvisamente il mondo crolla. Cincinnatus si separa dal proprio corpo e osserva lo sgretolarsi del mondo di cartapesta: gli alberi non hanno spessore, sono bidimensionali, la folla accorsa per assistere alla decapitazione si fa trasparente e inutile, ad eccezione delle ultime file che si rivelano essere dipinte. Tutto cade in pezzi e così, finalmente, Cincinnatus può incamminarsi “verso il luogo dove, a giudicare dalle voci, c’erano esseri simili a lui”.

Un romanzo in cui l’unico essere umano è decapitato, eppure si può parlare di lieto fine. Solo Nabokov.

Giulia Costi

Author: Giulia Costi

Ci sono domande a cui non riesco a dar risposta e pensieri che mi scavano un buco nel petto. Leggere e scrivere sono la mia medicina, il mio oppio, il filo da sutura che tiene insieme i pezzi del mio io.

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