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Giù nel buco

Racconto breve di Giulia Costi

Layne viveva in un buco sotto ad una grande quercia. E non solo ci era nato e cresciuto, ma ne era immerso dalla vita in giù. Riusciva a vedere il mondo circostante solo se si aggrappava a una delle radici della quercia e allungava ogni singolo muscolo. Più volte aveva tentato di liberare le gambe dalla morsa della terra e tutte le volte si rendeva conto che era impossibile riuscirci senza farsi tagliare a metà.

Capitava che una bambina andasse a fargli visita. Alice, così si chiamava, passava i pomeriggi d’estate nella casa in campagna della nonna, proprio a poca distanza da Layne. All’inizio si era spaventata nel vedere la testa di un uomo che spuntava dalla terra, ma col tempo i due fecero amicizia. Alice si sedeva vicino al buco e prendeva a raccontare gli avvenimenti della giornata. Ogni tanto parlava anche di esperienze incredibili per Layne come dell’andare a scuola o giocare a pallone. Ma tutte le volte che la bambina terminava i suoi racconti, nonostante i tentativi disumani di Layne di trovare qualcosa da dire, il silenzio si impadroniva della scena. Allora Alice inforcava la sua piccola bicicletta, salutava con la manina il suo strambo amico e tornava a casa dalla nonna.

Il tempo fluiva via. Ogni anno quando le giornate cominciavano ad accorciarsi Layne si domandava se avrebbe rivisto la sua amica l’anno seguente o se sarebbe morto di freddo durante l’inverno. Sulla soglia dell’ennesima estate morente confidò questa sua preoccupazione alla giovane donna che Alice era diventata. Il giorno successivo, proprio prima di ripartire per la città, Alice andò a salutare l’amico, ma non era sola. Si avvicinò sorridente al buco e gli posò un regalo proprio sotto il naso.
Con le mani che tremavano dall’emozione, Layne iniziò a strappare l’involucro colorato. Una volta rimossa tutta la carta si ritrovò in mano un oggetto morbido e soffice che non fu in grado di identificare. Se lo rigirò tra le mani con aria interrogativa. Alice, che dopo tutti quegli anni capiva al volo il suo amico, sorridendo disse:

-È una coperta. Quando hai freddo puoi mettertela addosso così starai più al caldo e l’estate prossima potremo rivederci!-
Doveva proprio essere un genio l’inventore delle coperte pensò tra sé Layne una volta che Alice se ne fu andata.

Erano passati quasi dieci anni da quel giorno e Alice tornava sempre più di rado nella casa in campagna. Layne sentiva molto la mancanza della sua unica amica. Poi, un giorno d’estate in uno svolazzo di capelli neri, una donna si avvicinò alla casa di Layne, si sporse sopra il buco e sorrise.

-Alice!

I due si abbracciarono per un momento infinito, poi Alice si sedette vicino alla testa di Layne e incominciò a raccontare. A quanto pareva aveva ottenuto voti brillanti all’università, aveva da poco cominciato il suo nuovo lavoro di consulente legale. Parlò anche di un fulmine che aveva colpito lei e un certo Marco, eppure, dall’aspetto sano, non si sarebbe mai detto che le fosse accaduta una cosa così tragica. Layne sapeva che la gente moriva a causa dei fulmini. Fatto sta che tra la festa e il fulmine i due avevano cominciato a frequentarsi, poi erano andati a vivere insieme e ora si sarebbero sposati. Layne non sapeva bene cosa significasse il termine “sposarsi”, però si ricordò di come la nonna di Alice, il giorno della morte del marito, fosse tutta vestita di nero e molto triste perché piangeva di continuo, e di come per i mesi seguenti, tutti i giorni, si recasse in visita alla piccola tomba. Doveva essere seria questa cosa di “sposarsi”, se ti impegna ad essere tanto disperati per qualcuno.
Layne avrebbe tanto voluto partecipare al matrimonio di Alice e questo suo desiderio lo spinse a provare e riprovare ancora ad uscire. Invano.

Layne aveva immaginato che quello delle nozze sarebbe stato un giorno denso di felicità e spensieratezza, ma non fu così, non per lui. Per l’ennesima volta si sentì in collera verso se stesso: se non poteva fare ciò che voleva la colpa era solo sua, non c’era nessun altro da biasimare. Aveva fallito. Aveva fallito perché era se stesso.

Guardò il Sole e capì che doveva essere quasi mezzogiorno. Era una giornata tiepida e il vento trasportava un odore di piante in fiore. Layne chiuse gli occhi e tentò di immaginare cosa stesse accadendo a pochi chilometri di distanza. Si immaginò la chiesa, tutta piena di gente sorridente. Si immaginò Alice, vestita di bianco e raggiante come il sole. Marco. Ecco, lui non riusciva proprio a figurarselo. Però doveva perdere proprio tutte le partite a poker se aveva avuto la fortuna di conquistare Alice.

Il ricevimento di nozze si sarebbe tenuto nel boschetto e Layne era così agitato che al minimo rumore il suo cuore iniziava a battere proprio come il becco del picchio che abitava nell’albero vicino. Per distogliere il pensiero da quei minuti che non passavano più iniziò a tamburellare le dita sull’orlo del buco e a canticchiare. Il tutto con scarso successo.
Proprio quando sentiva le forze abbandonarlo udì il rumore di un’auto che si avvicinava, seguita da decine e decine di diversi suoni di clacson e da risate trasportate dal vento. Con gli occhi ridotti ad una piccolissima fessura, Layne guardava nella direzione da cui proveniva il rombo del motore e gli parve di scorgere una lunga auto nera scintillare nella luce arancione del sole al tramonto. Ecco, ora poteva scorgerla bene: era proprio un’auto lunga, la più lunga che avesse mai visto, di un nero corvino, con i vetri posteriori oscurati e un uomo sconosciuto con uno strano cappello alla guida. Layne sperò con tutto il cuore che quello non fosse Marco perché, o lui era rimasto indietro in fatto di moda e stile, oppure quello era un perfetto idiota che indossava un copricapo che sembrava urlare al mondo “Ehi guardatemi, non sono super fico così?”. Per la prima volta nella sua vita Layne dubitò delle scelte di Alice. Con grande sollievo, pochi istanti dopo vide una coppia scendere dalla parte posteriore del veicolo e salutare il guidatore che si allontanava.
Eccola lì finalmente. Alice indossava un lungo abito bianco, elegante ma non appariscente, proprio come lei, le spalle erano velate da un pizzo leggero, i capelli raccolti in uno chignon, gli occhi ridenti e le labbra disposte in un sorriso mozzafiato. Teneva per mano suo marito Marco, un uomo appena più alto di lei, il cui pallore del volto era messo ancor più in evidenza dall’abito nero e dai capelli che ricadevano morbidi sopra le spalle. La coppia si avvicinava sorridendo mentre il sole colpiva l’anello di nozze facendolo sembrare una piccola stella caduta nel bosco. Non appena Alice vide distintamente il volto dell’amico smise di camminare. Il marito si voltò verso di lei con espressione interrogativa e lei gli sussurrò qualcosa all’orecchio. I due si lasciarono la mano, Alice si tolse le scarpe e corse verso il vecchio amico. I due si abbracciarono come mai avevano fatto prima di allora e a Layne sembrò di aver vissuto tutta la vita solo per quell’attimo. Marco era rimasto fermo nel punto in cui la moglie si era tolta le scarpe, in evidente imbarazzo. Per fortuna gli invitati cominciavano ad arrivare con il loro carico di cibo, bevande, candele e tovaglioli. In pochi minuti tutto era stato sistemato e il ricevimento ebbe inizio.

Il boschetto era saturo del suono di decine di voci, di bicchieri tintinnanti, di scoppi di risa. Al calar della sera venne acceso un piccolo falò e bambini e ragazzi presero ad arrostire dei marshmallow che diffusero nell’aria un caratteristico odore dolciastro. Il clima di festa era travolgente, quasi magico. Forse per la gioia del matrimonio di Alice, forse per la piacevole serata, forse per l’alcool, Layne, per la prima volta, per un unico fuggevole istante, dimenticò chi fosse. Quella notte non era imprigionato in una fossa nel terreno, quella notte era un uomo normale.

Giulia Costi

Author: Giulia Costi

Ci sono domande a cui non riesco a dar risposta e pensieri che mi scavano un buco nel petto. Leggere e scrivere sono la mia medicina, il mio oppio, il filo da sutura che tiene insieme i pezzi del mio io.

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