Racconto proposto da Jona
COME PETALI DI UNA ROSA NERA
Lei aveva i guanti di seta nera, l’abito, anch’esso nero, lungo, con un po’ di strascico; semplice, senza fiocchi o ricami: un abito da sera con le spalline che lasciava nuda la schiena bianca, d’un bianco d’altri tempi, da cinema in bianco e nero in cui le attrici erano diafane, quasi luminose. I guanti lunghi le coprivano gran parte delle braccia, con un bracciale di brillanti su quello sinistro; aveva un cappello con la falda larga e spiovente in avanti, che copriva parte degli occhi, nerissimi e lucidi, con un taglio grande, col trucco forte sulle ciglia che erano come petali di una rosa nera, cresciuta su un naso piccolo, di una perfezione classica, mentre la bocca grande era dipinta d’antracite, opaca e carnosa, ma non troppo.
Mi portò, una notte, un sacco di parole: le rovesciò sul letto, le appese ai muri, ci inondò la stanza dove si formarono pozze di metafore; le onomatopee rimbombavano e tintinnavano, le parole palindrome facevano giravolte, e gli aggettivi, perfezionisti, davano strati di colore perfetti.
Coi punti interrogativi mi agganciò il cuore,
pretese esclamazioni appassionate.
Punto fermo.
Viaggiavo, una volta, su un treno. Paesaggio che sfuggiva, come sempre, la tendina di tela grossa sull’orecchio, a fantasticare cose un po’ confuse. Quella tavolozza, nei miei pensieri, era una matassa intricata dove elaboravo creativamente schegge di passato, cioè ripescavo , là in quegli scrigni, cose che rimodellavo, proiettando sugli occhi immagini di fatti non avvenuti completamente, o non così. Una specie di “liberamente tratto dalla mia memoria”. Allora lo si cambiava quel passato sognandolo ad occhi aperti con una trama diversa: perché non aggiungere un particolare, non abbellire, non smussare un po’ certi angoli? Perché non aggiungere un albero, che prima era un lampione grigio in una piazza, una fila di lampioni, e farlo diventare un viale alberato?
Ma il mio non era uno sceneggiare premeditato: piuttosto, uno si lasciava andare, creando trame alternative, possibili vie di fuga.
E questo mondo alternativo si animava, impossibile ricacciarlo indietro, di personaggi, come dei caratteristi del teatro, che venivano a vivere negli spazi liberi, proprio accanto a me.
Ma se ti mancano i pennelli, se lo scalpello è un po’ spuntato, se metti troppa acqua negli acquerelli, o troppo poca? Dire quello che sentivo, decifrarmi e dipanare la matassa, fare ordine sulla scrivania.
Stop. Via il sonoro. Cambia scena.
La mia dama di sera cominciò a venire anche la mattina, nei pomeriggi, nell’andare e nel sostare.
La trovavo nei riflessi, mi scontravo con lei uscendo dai bar, e interferiva mentre guardavo lei seduta al tavolino; mi gettava vocali e consonanti come coriandoli, m’intrappolò in un portone con la fluidità dei participi presenti; mi spinse una volta, in quella piazza, facendomi cadere su virgole appuntite, troppe; troppo fiacca era la frase…sì, più punti, più velocità, ritmo, ritmo.
Un tavolino appeso al mare. La sera portava vento calmo sulla battigia. Poca gente, acqua argentata, col sole basso quasi pronto a tuffarsi in mare. La mia dama sedeva accanto a me, ed io stavo in silenzio: un bicchiere in mano, così, a non pensare. E non pensavo mentre lei mi soffiava la nostalgia per tutte quelle cose mai vissute dritta in testa. Come una voglia di felicità, come un’attesa di qualcosa, che era nell’aria, che, non so, non era penosa ma struggente. Come un’emozione indefinita, come sentirsi innamorato di qualcuno che è in te come possibilità, come non vedere l’ora, come “sono vivo”, come “com’era bella lei che passava prima davanti al mio ombrellone”, e come l’amavi, proprio in quel momento e solo in quel momento.
La mia dama misteriosa si tolse il cappello, si sciolse i capelli, e corse verso il mare.
E nella corsa, lasciò chiare orme sulla sabbia: ne feci inchiostro e le misi sulla carta: in fondo erano solo storie, solo vento, ma che, disperatamente, cercavano un senso in questo passaggio breve, una bellezza più alta, una voglia di sopravvivere e un’ultima grande storia tutta da scrivere.
Jona