Recensione proposta da Mauro Tomelli
Il 2012 appena passato può a ben vedere essere l’anno in cui l’opera di John Cheever è tornata nelle librerie; i suoi racconti e i suoi scritti sono stati ristampati da Feltrinelli che ripropone finalmente uno dei più grandi scrittori americani del dopo guerra; un narratore che, senza una spiegazione logica, era scoparso dal panorama editoriale italiano.
La ricomparsa di Cheever sugli scaffali nazionali, ha sicuramente aiutato la riscoperta di un altro grande scrittore made in USA, le cui opere, fino a poco tempo fa, non erano ancora state tradotte: Stanley Elkin. Il Condominio del 1975 è appena stato stampato da Minimun Fax, casa editrice che già aveva proposto Magic Kingdom (da molti considerato il capalavoro dell’autore).
Il romanzo, apparentemente drammatico, racconta le vicende di una comitiva di bambini, malati terminali, che vengono accompagnati a Disneyland per una vacanza premio da una grottesca “squadra medica”: uno psicologo depresso, un’illustre medico e due infermieri, di cui uno gay e l’altra tabagista, tra l’atro dipendente da una curiosa forma di masturbazione cronica.
Elkin, con un’ironia tagliente tipica dei grandi scrittori ebrei contemporanei (Roth e Bellow su tutti) dà vita ad un racconto dal pietismo drammatico, partorendo un’opera veramente spassosa.
Prossimi alla morte, affetti dalle più rare malattie, ma non per questo rassegnati a passare quel che resta delle loro brevi vite a chiedersi “perche proprio a me”, questi piccoli folletti sfortunati sono determinati a godersi la più bella esperienza della loro disgraziata vita. A capitanare le folli guide turistiche Eddy Bale, fresco di separazione e padre di un malato terminale che ha fatto commuovere il Regno Unito intero, anch’egli determinato a trasformate questa “vacanza” in una specie di missione filantropica. Per riuscire nel suo intento Bale si rivolgerà alla regina d’Inghilterra, la quale darà prova del proprio misericordioso senso di generosità donando, o meglio, dando in prestito, un assegno di cinquanta sterline che dovrebbe servire a Bale come specchietto per le allodole per raccogliere i fondo necessari per l’organizzazione della gita.
Il tutto procede lungo i binari del grottesco, al limite con la verosimiglianza, senza mai uscire dai canoni della realtà; insomma tutto è credibile anche se frutto di una inventiva e di un fantasia dissacrante che pochi scrittori americani, a mio avviso, hanno saputo mettere su carta. Si ha la senzazione che Elkin sia un vero maestro nel mixare in modo del tutto singolare, sprazzi di ironica comicità alla Groucho Marx con una cruda e intensa drammaticità.
Interessante per capire la scrittura Stanley Elkin è il bellissimo saggio di prefazione di Rick Moody che paragona la geniale ma a volte impegnativa narrazione dell’autore, a un assolo di Wayne Shorter nel suo periodo Milesiano, con le improvvise e lunghe esplosioni di sax di; Elkin pare usale la stessa scrittura musicale per elevare il climax del racconto, come se alcune delle sue parti fossero assoli funzionali all’armonia della narrazione. Geniale e poetico.
Mauro Tomelli