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La nausea – Jean-Paul Sartre

Libro salvato da Giulia Costi

Il canto III del Dante francese

Il mondo dei libri si divide in due categorie: i libri da leggere in spiaggia, piacevoli come il calore del sole sulla pelle, ma altrettanto passeggeri, e i libri da leggere seduti ad una scrivania in legno, alla fioca luce di una lampada elettrica, con una matita in mano pronti ad appuntarsi riflessioni particolarmente significative.

La nausea” appartiene sicuramente a quest’ultima categoria; d’altronde stiamo parlando di una delle opere più conosciute del filosofo e scrittore francese Jean-Paul Sartre, nonché uno dei capolavori della letteratura del Novecento.

Pubblicato a Parigi nel 1932, questo diario filosofico, nonostante il timore che l’aggettivo può incutere, è scorrevole, intrigante e… rivoluzionario. Preparatevi a subire una metamorfosi, preparatevi a udire scricchiolare e in seguito sentir vacillare i castelli di carte che definiamo convinzioni. Questo mi porta ad esporvi l’unica critica che mi sento di muovere all’autore. Sartre apre con una prefazione manzoniana fingendo di pubblicare un manoscritto altrui. A mio parere sarebbe stata più adatta un’introduzione dantesca sulla linea di “Lasciate ogni speranza o voi che entrate”, in modo da avvertire i lettori della rivoluzione che si cela tra le pagine dell’opera. Dunque vi domando: siete pronti per questo viaggio introspettivo che trasforma i meandri della mente in gironi infernali?

La vittima, pardon, il protagonista è lo storico Antonio Roquentin in visita nella città fittizia di Bouville per stendere la biografia del marchese di Rollebon. Questo suo progetto non vedrà mai luce, probabilmente perché asfissiato dall’enorme e prepotente impegno intellettuale che la scoperta della Nausea richiede. Visto la vita solitaria e austera che Antonio conduce non sono presenti altri personaggi degni di nota.

Il diario che Antonio comincia a redigere è una reazione ad un episodio così sconvolgente quanto breve e intenso: intento a imitare dei bambini che si divertono a lanciare sassi nell’acqua, Antonio raccoglie un ciottolo e se lo rigira per qualche istante tra le mani. Improvvisamente un senso di disgusto lo pervade e si vede costretto a lasciar cadere il sasso e ad allontanarsi tra le risate dei bambini. Questa è l’alba della nausea.

Episodio dopo episodio, riflessione dopo riflessione, giorno dopo giorno, Antonio finalmente comprende che la Nausea è il sintomo, non la malattia. È dunque questa, la Nausea: quest’accecante evidenza? Quanto mi ci son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto – il mondo esiste – ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente. È strano che tutto mi sia ugualmente indifferente: è una cosa che mi spaventa. È cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giuocare a far rimbalzare i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l’ho guardato, ed è allora che è incominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano. C’è stata la Nausea del «Ritrovo dei ferrovieri» e poi un’altra, prima, una notte in cui guardavo dalla finestra, e poi un’altra al giardino pubblico, una domenica, e poi altre. Ma non era mai stata così forte come oggi.[…] E d’un tratto, d’un sol tratto, il velo si squarcia, ho compreso, ho visto.

Questa angosciosa rivelazione innesca una serie di interrogativi sul senso dell’esistenza a cui Antonio non dà risposte più rassicuranti. “L’essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è esser lì, semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa casa, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare (…) L’esistenza dappertutto, all’infinito, esistenza di troppo, sempre e dappertutto; l’esistenza- che non è mai limitata che dall’esistenza.

La Nausea non è da considerarsi come una semplice manifestazione di tristezza legata all’incapacità di trovare un senso alla vita, ma rappresenta una dimensione ben più grande: introduce lo sgretolarsi dell’apparente significato che il mondo sembrava avere fino ad allora. La Nausea è la conseguenza della vertigine che si prova nel guardare nell’abisso sul quale ogni essere umano tenta di costruire la propria esistenza, la quale, di per sé, non ha alcun significato. Questa è la condanna dell’uomo: la libertà, la libertà di decidere. La Nausea è paragonabile alla “morte di Dio” elaborata da Friedrich Nietzsche, concetto attraverso il quale si esprime il venir meno di ogni verità oggettiva; la perdita di ogni senso precostituito responsabilizza l’essere umano a dare un senso alla propria esistenza. L’uomo si trova in uno stato di confusione dettato dalla consapevolezza che tutto può accadere, che non c’è un percorso da seguire e ad ogni passo ci si pone continuamente l’angosciosa domanda della meta di questo viaggio e del senso che si sta dando alla propria esistenza. Per Sartre, infatti, l’esistenza in sé non ha significato, ma è l’uomo che deve impegnarsi a conferirglielo. La vita umana può essere definita come un progetto volto alla realizzazione di se stessi, ma che può essere stravolto in ogni istante. Quando l’uomo si rende conto della sconfinata libertà in suo possesso, subentra l’angoscia. Questo sentimento è dettato dalla presa di coscienza non solo della libertà di decidere del proprio destino, ma anche dalla consapevolezza che ogni gesto implica delle conseguenze su tutto il genere umano rendendo così l’individuo responsabile e impegnato nei confronti dell’intera umanità. Secondo Sartre l’uomo è condannato ad essere liberoperché anche il non-agire è una decisione non immune dalla responsabilizzazione. Tuttavia è possibile che l’uomo nasconda questa sua libertà per tentare di sfuggire all’angoscia, manifestando così ciò che Sartre definisce “mauvaise foi” ovvero malafede. Nell’accezione sartriana, la malafede è la prova della viltà dell’essere umano, che nasconde a se stesso la propria libertà e il proprio impegno verso il resto del mondo (engagement).

Giunti alla fine di questa recensione, in cui abbiamo ripercorso i punti salienti del capolavoro di Sartre, magari alcuni di noi staranno ripensando a quando gli è capitato di sperimentare quella “vertigine” e quel senso di Nausea che l’autore ha voluto descriverci. Forse, riprendendo in mano l’opera, ci accorgeremo che è proprio di noi che Sartre parla, che non importa come ci chiamiamo, perché siamo tutti parte, chi più consapevolmente chi meno, di un immenso “esercito di Antonio”.

Giulia Costi

Author: Giulia Costi

Ci sono domande a cui non riesco a dar risposta e pensieri che mi scavano un buco nel petto. Leggere e scrivere sono la mia medicina, il mio oppio, il filo da sutura che tiene insieme i pezzi del mio io.

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