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Don Chisciotte della Mancia – Miguel de Cervantes

Libro salvato da Raffaella Foresti

Sfaccendato lettore, potrai credermi senza che te ne faccia giuramento, ch’io vorrei che questo mio libro, come figlio del mio intelletto, fosse il più bello, il più galante ed il più ragionevole che si potesse mai immaginare; ma non mi fu dato alterare l’ordine della natura secondo la quale ogni cosa produce cose simili a sé. Che poteva mai generare lo sterile e incolto mio ingegno, se non se la storia d’un figlio secco, grossolano, fantastico e pieno di pensieri varii fra loro, ne da verun altro immaginati finora? (dal Prologo del Don Chishotte di Cervantes).

Se il mondo fosse finito, ma l’umanità si fosse salvata, da quale libro potrebbe ricominciare?

Riflettendo su questa scelta, nata da una provocazione degli Alieni Metropolitani per lo speciale del nuovo anno, ho passato in rassegna tutti i miei libri preferiti. Le grandi voci della letteratura russa, i dieci secoli di meraviglie francesi, il genio di Dante, la perfezione di Shakespeare… e il mio nuovo giovane amore, la narrativa americana.

Difficile preferire, tra molti, un solo libro da salvare. Per questo ho cambiato prospettiva ed ho cercato non più un’opera da sottrarre all’oblio, da conservare in una teca come rifugio di puro diletto, bensì qualcosa da consegnare al futuro. Un libro, appunto, da cui ricominciare.

Il capolavoro di Cervantes, inevitabilmente, è stata la mia scelta.

Come sapete, il romanzo narra le gesta tragicomiche dello spagnolo Alonso Chisciano, tanto appassionato di romanzi cavallereschi da “smarrire”, nella sua mente, i confini tra realtà e finzione. Cavalcando il fido Ronzinante, scortato dal compagno scudiero Sancio Panza, trasformatosi nel cavaliere errante Don Chisciotte Della Mancia, con tanto di donna da amare perdutamente, il generoso hidalgo si mette in viaggio per difendere i deboli, liberare principesse prigioniere, riparare torti e soprusi. Si scontrerà, suo malgrado, con la realtà dei “normali”, in cui non c’è posto per gli eroi romanzeschi, concludendo la sua sfortunata carriera di cavaliere senza macchia recuperando la ragione per poi, necessariamente, perire.

Conosciamo tutti l’enorme importanza storica e letteraria di questo romanzo, e le mille e più chiavi di lettura individuate, da voci ben più autorevoli della mia, nel corso dei suoi primi quattrocento anni di vita.

Don Chisciotte della Mancia” è una delle opere più rappresentative della letteratura mondiale, il punto zero da cui parte quella nuova era del pensiero – plurale, fratturato e in eterna polemica con se stesso – che chiamiamo “modernità”. Scisso il mondo dell’immaginazione dal mondo del reale (i mulini a vento sono giganti, le osterie castelli, semplici dame nobili principesse), si spezza fatalmente il nesso che lega l’uomo alla natura e si interrompe il fluire ordinario del tempo. Dal Don Chisciotte in poi, per l’umanità e dunque per la letteratura, sarà tutto un “fare i conti” con questa nuova percezione di sé nel mondo, frammentaria, complessa, priva di univoci punti di vista fino all’esasperazione dell’entropia postmoderna.

Non ho alcuna pretesa di addentrarmi in un’analisi dell’opera che sarebbe anch’essa, inevitabilmente, frammentaria e complessa, e priva di univoci punti di vista.., ma mi piacerebbe molto convincervi ad accogliere questo pazzo hidalgo errabondo e a portarlo con voi nella vostra vita di uomini e donne postmoderne che hanno ereditato, loro malgrado, questa frattura dalle radici antiche ormai divenuta disperata voragine.

Sono convinta che dal Don Chisciotte possiamo ricominciare. La perdita degli ideali ci ha fatto male, ma ci ha anche messo davanti agli occhi la miseria del reale restituendoci il potere all’immaginazione.

E dunque, se oggi un’epoca è finita – e per molti aspetti, speriamo veramente che lo sia –sfaccendati lettori! cavalieri erranti! indossiamo catini a mo’ di elmetti e mettiamoci in viaggio. Pensiamo a qualcuno da amare e combattiamo la nostra folle battaglia finché, come scrisse qualcuno, non avremo le braccia rotte… a forza di abbracciare nuvole.

Raffaella Foresti
[email protected] 

 

Author: Raffaella Foresti

“Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane “

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