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Di cosa parliamo quando parliamo d’amore – Raimond Carver

Libro salvato da Alfredo Perna

 

La prima volta che ho letto “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” ricordo di aver avuto la netta sensazione di stare di fronte ad un’opera di Sol LeWitt. Forme geometriche elementari abituate a dialogare con un’architettura metafisica.

Anche le opere di Raymond Carver sono così: eventi ridotti a stati metafisici posti nel vuoto di una società in grado di produrre solo disastri.

Nelle 17 storie che compongono “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” si incontrano cameriere e venditori ambulanti, autisti e commesse, fornai e contabili in pensione, personaggi riuniti intorno ad un tavolo di una cucina e quasi sempre all’interno di case; tutti inevitabilmente immersi in una quotidianità che non lascia alcuno scampo. Per questi poveri eroi c’è la sola consolazione di un televisore o di una bottiglia di whisky. L’ossessione per la quotidianità costringe i personaggi di Carver a piantare i piedi bene a terra e a non ambire ad alcun successo se non quello di mettere un po’ di latte nel frigo, del cibo a tavola e di pagare l’affitto della casa.

È forse la logica degli eventi di Carver a farci trovare spesso un po’ spiazzati, come nel caso del personaggio di L. D. che, nell’ultimo racconto, “Ancora una cosa”, dichiara alla moglie: “Soltanto una cosa voglio ancora dire”. Ma, alla fine, non riesce a pensare a cosa avrebbe voluto dire. In questo particolare caso, allora, lo scrittore di Clatskanie diventa più simile a certi quadri di Edward Hopper: avvolge le sue storie in uno stato di tensione per poi svolgerle nel vuoto totale della realtà, riducendo le descrizioni ai minimi termini.

A tale riguardo, è paradossale quando Carver rifiuta l’etichetta di minimalista attaccatagli dalla critica: il suo stile asciutto, oggettivo, freddo e preciso fa scuola non solo tra i nuovi scrittori, ma ad un’intera generazione di autori successivi che verrà associata proprio a lui col nome di “minimalisti”.

In alcuni passaggi, invece, Carver dosa magistralmente quella vena poetica che lo contraddistinguerà anche in parecchie altre sue opere come Orientarsi con le stelle o Blu oltremare. La sua è una poesia fortemente concentrata sulla vita quotidiana di cui, attraverso l’uso di un linguaggio ordinario, riesce a esprimere efficacemente le tensioni fondamentali: un certo spaesamento esistenziale, la paura della morte, il bisogno di essere amato, di essere salvato, di comunicare in modo sincero. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, per l’appunto, assistiamo a quello che vorrebbe essere uno scambio dialogico, un confronto tra due coppie che si chiedono cosa sia l’amore. Si può pensare che il tema emerga poiché tutti credono di vivere l’amore e si chiedono dove stia o cosa sia. E invece ogni personaggio dice la sua e per qualcuno, ogni volta, quello non è amore.

I racconti di Carver hanno per protagonisti individui umili, spesso disperati, che si dibattono e si trascinano tra le difficoltà della vita dell’America di provincia. Con la sua scrittura lineare ma attentamente e finemente cesellata, l’autore indirizza il lettore attraverso le coltri di grigia quotidianità per svelargli, improvviso, solo per un attimo, quel poco di poesia che resta nelle piccole vite descritte.

Il migliore racconto di questa fortunata antologia del 1981, a modesto parere di chi scrive, è “Mirino”: un racconto talmente calato nel mondo reale che si potrebbe reputarlo autobiografico.

Questo è l’incipit: “Un uomo senza mani si è presentato alla porta per vendermi una foto della mia casa. A parte gli uncini d’acciaio, aveva un aspetto normale, più o meno sulla cinquantina. ‘Come ha perduto le mani?’, ho chiesto dopo che mi aveva detto cosa voleva. ‘Questa è un’altra storia’ ha detto. ‘La vuole la fotografia o no?’ ‘Venga dentro’, ho detto io. ‘Ho appena fatto il caffè’.

Concisa e ruvida, senza lirismo e priva di espressività, moderata nell’uso delle immagini e di commenti, la prosa di Carver conduce la semplicità agognata da Hemingway alle estreme conseguenze, senza concessioni a metafore, esuberanze o sentimentalismi. Non si può dire di aver attraversato tutto l’universo letterario se prima non si è fatto almeno una breve sosta sul pianeta di Raymond Carver.

Non so chi di voi l’abbia già letto, ma se non l’avete fatto, allora vi consiglio di correre nella più vicina libreria e comprare “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, perché non si tratta di leggere semplicemente dei racconti. Saranno autentiche storie quelle che leggerete. E più andrete avanti a leggerle e più vi renderete conto che il dono di Carver risiede nella sua capacità di colpirvi dritto al cuore.

Alfredo Perna

Author: Alfredo Perna

Alfredo Perna (Napoli, 1976) si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università Federico II. Tra i suoi interessi: la letteratura, il cinema e l’arte. Dal 2012 collabora con gli Alieni Metropolitani, pubblicando racconti e recensioni.

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  1. Carver e la fotografia - […] Conobbi Carver per caso, girando sul web e fui subito incuriosito da una recensione che descriveva il suo lavoro…

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