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La fine del mondo e il paese delle meraviglie – Haruki Murakami

Recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

Perché abbia scelto questo testo per lo speciale “Fine del Mondo” non è difficile da indovinare. Il titolo parla da solo. Nondimeno non spiega al lettore in che modo si affronti il tema. Questo compito spetta a me, con tutta l’umiltà del caso.

Secondo i più esperti sostenitori di Murakami, “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” è uno dei migliori romanzi dell’autore e traduttore giapponese. Mi aggiungo alla fila degli entusiasti, dopo una lettura di inizio inverno che mi ha conquistato forse più di “Kafka sulla Spiaggia”.

Il metodo della narrazione rimane pressoché invariato: due storie, che si sviluppano in modo parallelo alternandosi di capitolo in capitolo.

I romanzi di Murakami a volte, ed è questo il caso, sembrano una treccia: due filoni che si alternano su vie all’apparenza differenti eppure mai distanti, che si ricongiungono in un nodo finale.

Il testo si apre con un viaggio nell’ascensore più lento del mondo. Un ascensore d’acciaio lustro, quasi asettico, completamente silenzioso. L’uomo che vi sosta è “il Cibermatico”, ovvero il nostro protagonista, che si prepara ad incontrare un cliente molto particolare: un vecchio scienziato che vive nei sotterranei del palazzo, intento ad analizzare il suono prodotto dalle ossa. Per questo scienziato il nostro protagonista dovrà effettuare uno shuffling, ovvero un’archiviazione e ripulitura di dati informatici, attraverso l’utilizzo del nucleo della propria coscienza.

A questo punto vi starete domandando se io stia scrivendo termini a casaccio, se davvero non sia ubriaco o quanto meno, che cosa sia un “Cibermatico”.

Una delle caratteristiche che più mi fa amare Murakami è la sua capacità di narrare le fantasie più folli, in completa naturalezza. L’assurdo diventa normalità con Murakami e chi lo conosce non è più sbigottito nel cominciare la lettura con uno scienziato pazzo che ha compreso, tramite le ossa degli animali, come controllare i suoni del mondo e che si è dimenticato momentaneamente di alzare il volume alla voce della nipote, la quale muove le labbra senza emettere un solo suono…

Il lettore dei sogni arriva in città. Una città circondata da mura gigantesche, dalla quale, una volta entrati, non si potrà mai più fuggire. Ad accoglierlo “Il Guardiano” che, come è noto a tutti, cura e gestisce la mandria di unicorni che vive nei pressi della città.

L’uomo non sa perché è giunto fin lì. Non comprende le motivazioni del suo vagare. Per questa ragione segue le regole della città, non senza provare un senso di profonda inquietudine. Come da migliore tradizione civica, ai nuovi arrivati viene tolta l’ombra… o meglio, tagliata, con una lama bene affilata. Non solo, trattandosi il nostro secondo protagonista di un lettore di sogni, dovrà anche farsi incidere gli occhi, al fine di riuscire a resistere alla luce intensa che scaturisce dai crani archiviati in biblioteca, custodi dei sogni più antichi.

Nel romanzo i personaggi non hanno un nome. Vengono identificati in base al proprio ruolo lavorativo o alla propria appartenenza di gruppo. Nell’assurdo si inserisce poi il fantastico, sia mitologico che fantascientifico. Oltre agli unicorni, di cui un esemplare è stato fotografato per la copertina dell’edizione Einaudi, ci sono “gli invisibili” che dimorano nel sottosuolo di Tokio nutrendosi di rifiuti e bevendo acqua putrida (che abbiano ispirato l’autore di 2033?); poi c’è “il Sistema” e “la Fabbrica” dei “Semiotici”, due gigantesche organizzazioni che lottano per la conquista di dati informatici e scientifici; vi sono le Ombre che presto si ammalano e trovano la morte d’inverno, disperate per la lontananza dal loro padrone; ed ancora i cittadini senza cuore (nel senso letterale del termine), che vivono un’esistenza tranquilla e serena, senza provare mai alcun dubbio o fremito.

L’Apocalisse, coerentemente alla struttura del romanzo, viene presentata inizialmente in due modalità. Da un lato come minaccia. Il “Cibermatico” è infatti la chiave di volta delle ricerche sui suoni del mondo e, come una bomba ad orologeria, se non riuscirà a scoprire la verità sui dati da lui processati, sarà di certo “la fine del mondo”. Ma la fine del mondo è anche la parola d’ordine per iniziare il lavoro di shuffling, nonché, passando all’altra metà del testo, la situazione alla quale molti cittadini senza ombra descrivono la propria situazione: oltre le mura vi è solo la fine del mondo.

Di follia in follia, direte voi! Di certo Murakami non è un grande autore solo perché capace di scrivere assurdità in ottimo stile. La sua migliore qualità risiede, a mio modesto avviso, nel saper veicolare messaggi fondamentali, attraverso uno spettacolo di marionette e burattini fiabeschi.

“Il paese delle meraviglie” è il titolo ironico che descrive una Tokio moderna e frenetica, caratterizzata da un senso del dovere che trascende la solidarietà umana; tutta presa da una corsa al progresso, che ha smarrito gli equilibri fondamentali della terra. Una rincorsa alla pazzia che dirige, per l’appunto, alla “fine del mondo”. Una città chiusa in alte mura invalicabili, come lo sono le convinzioni della nostra coscienza, quella più profonda, dove le domande fondamentali dell’uomo (Da dove vengo? Perché sono qui? Che senso ha la mia vita?) non possono trovare risposta se non attraverso il travaglio, il dolore, l’amore e la follia.

Troviamo tranquillità lontano dalle emozioni, proni alle regole folli della società, che pure ci donano un effimero senso di sicurezza. Ecco la fine del mondo.

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Giorgio Michelangelo Fabbrucci
[email protected]
 

Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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1 Comment

  1. “Una città chiusa in alte mura invalicabili, come lo sono le convinzioni della nostra coscienza, quella più profonda, dove le domande fondamentali dell’uomo (Da dove vengo? Perché sono qui? Che senso ha la mia vita?) non possono trovare risposta se non attraverso il travaglio, il dolore, l’amore e la follia.
    Troviamo tranquillità lontano dalle emozioni, proni alle regole folli della società, che pure ci donano un effimero senso di sicurezza. Ecco la fine del mondo.”

    Concordo.

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