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La discarica di Santo Stefano

Dai Racconti Brevi di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

 

Racconto di fantascienza fine del mondo

Apparve ingoiando tutto:

l’edicola (con edicolante inclusa); il praticello anemico al centro della piazza; le automobili e i parchimetri; il pescivendolo all’angolo di via Larga; l’intera libreria Giuffrè; un tram (di quelli gialli, elettrici, da cartolina); un pullman colmo di fedeli filippini; la pizzeria (eccezion fatta per il piano interrato)…

Riuscì a strappare persino una porzione della basilica di Santo Stefano, quella stessa dove fu battezzato Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.

In città, soprattutto in taluni ospizi costosi del centro storico, dissero che era stata l’anima del Galeazzo Sforza, che lì trovò la morte cinquecentotrentasei anni prima, a evocare quella sciagura in nome di una tardiva vendetta. In altri ambienti (in zona Piola per la precisione) si disse che l’onnipotente aveva lanciato l’apocalisse in piazzetta, per distruggere il Condominio Santo Stefano, unico edificio modernista di tutto il perimetro. Uno scempio architettonico che, con le sue finestre ad alveare e la sua estetica avanguardista, aveva pisciato in bocca alla bellezza secolare dell’antico brolo meneghino.

Ciò nonostante, ci volle molto tempo prima che qualcuno notasse Calvè.

§§§

Con il suo volto da barbone, sosta sul balcone traballante del civico cinque di piazza Santo Stefano. Andrea Zaccaria esce solo di notte, alzando la tapparella un poco, attento a non far rumore. Si china e, in ginocchio, trascinandosi lento al parapetto, vigile che il busto non superi la ringhiera (per non farsi scorgere da sguardi indiscreti) alza il capo verso il duomo.

La madonnina prima dell’alba risplende più della luna.

Fatti guardare ancora una volta, pensa.

Per lo Stato il condominio divenne inagibile nel 2012. Grazie alle belle arti si evitò l’abbattimento in favore di una stazione di stoccaggio rifiuti. Nondimeno, tutto l’intorno venne stravolto. Andrea, testardo campione della tradizione familiare, scelse la clandestinità: non poteva abbandonare l’appartamento che fu della trisavola; la casa scrigno di pignatte di rame, di piastrelle di cotto scheggiato e multicolore, i ricordi belli di profumi umidi e domeniche imbandite. Si adattò a vivere alla luce delle candele, a farsi la doccia in autogrill prima di raggiungere l’ufficio, a cenare in un MacDrive, a dormire avvolto da coperte che avevano già scaldato un secolo.

Osserva la punta della sua sigaretta, la cenere che sfuma in un cerchio rovente.

Dietro, sfocata, la silhouette della Mediolanum che cambia.

Appoggia la cicca fumante al polpastrello del pollice, e con il medio, la scaglia come una biglia contro l’orizzonte.

Ahi!”

Andrea si china di scatto per non farsi vedere.

Ehi tu! Ehi! Fa attenzione con i tuoi moccini del cavolo!”.

Andrea, chino come un canguro prima del salto, non scatta; rimane mesto, immobile, a guardarsi le scarpe, protetto dal balcone, nel freddo del mattino.

Speriamo non mi abbia visto.

§§§

Quindi lei afferma di aver visto un altro mondo al di là del varco?”

Sì. Io credo di aver visto sconfinati prati verdi. E’ stato solo un attimo ma… mentre tutto veniva risucchiato è stato come se gli oggetti scalfissero la cortina di energia del portale, come uno squarcio, come un buco nel muro, non so bene come spiegare”

Ma lei crede di aver visto, o ha visto? La differenza è importante… soprattutto come ha fatto a non venire risucchiata lei stessa? Lei è cosciente di essere l’unica ad essersi presentata alle autorità come testimone?”

Glielo ripeto: mi sono aggrappata con le mani a quel tombino” – cambio di inquadratura – “sì, proprio quel tombino e ho visto tutto”.

Ma tutto cosa, esattamente?”

Glielo ribadisco, sconfinati prati verdi. Come le immagini dell’uomo del monte, o l’ultimo spot del tavernello, o quell’altro della mozzarella. Un’ orizzonte di prati verdi e rigogliosi”.

Quindi, ora che l’amministrazione comunale ha votato la variazione al piano regolatore, per trasformare la zona in una discarica dimensionale… lei come si dichiara?”

Io mi dichiaro contraria nel modo più assoluto”.

§§§

Mutata geneticamente come un x-men, dopo anni di faraonici progetti lasciati su carta, di ristrutturazioni e di loft da recupero industriale, Milano aveva ritrovato la sua indole futurista; “meglio di Londra” dicevano in molti. Un gigantesco cavalcavia venne eretto per collegare direttamente la tangenziale a piazza Santo Stefano. L’aeroporto di Linate ritrovò la sua centralità, convertendosi da civile a scalo merci internazionale; l’interporto si estese velocemente fino a Parco Forlanini, che presto scomparve, in un luccichio di latte e container. La donna del Giuseppe Perego, che tutta d’oro, illuminava dal cielo la città, intoccabile e algida, nel suo fulgore secolare, divenne a portata di mano, circondata da un ottovolante di strade e di camionisti internazionali. Protetta da una ragnatela di carreggiate, per non essere trascinata via.

§§§

Nel rombo dello scarico, nel frastuono del rifiuto, Calvè se ne sta in un angolo, con sguardo speranzoso e attento, dimenticata dal mondo. Occhi zuppi come di risaia. Capelli di grano, di galaverna, di nebbia immobile.

Torna Bubi, torna stasera, dice a bassa voce, incrociando le dita a mo’ di preghiera.

Il portale non risponde. Rimane immobile nel suo ronzio costante. La discarica che tutto risucchia e tutto trascende, in un gorgoglio interplanetario che sfugge come l’anguilla alle equazioni delle menti più eccelse.

Ma non chiedo poi molto. Rispondimi, ti supplico!

Chi va là?”

Da una coltre di ombre tentennanti, un uomo se ne esce lento, con le mani in tasca ed il volto coperto da una grande sciarpa scura. Sono le sei del mattino. E’ autunno inoltrato. Indossa scuri occhiali da sole.

Chi sei? Vattene!”

Sono venuto a chiederti scusa. Non era mia intenzione… e poi non potevo immaginare che ci fosse qualcuno in piazzetta all’alba”.

Non avvicinarti!”

Ti giuro, non sono male intenzionato. Ho lanciato la sigaretta l’altra sera e pensavo di aver colpito qualche sgherro dello Stato. Allora sono rimasto immobile fino al mattino inoltrato e ti ho vista andare via, mentre arrivavano i primi container…”

Si, ho capito. Scuse accettate”

Bene. Mi fa piacere. Allora adesso vado. La prossima volta starò più attento… ciao”.

No… tu non hai per caso…”

Cosa?”

Lo so che ti sembrerà una domanda assurda, ma… tu non hai visto nulla uscire dal portale?”

Posso avvicinarmi?”

No. Rispondimi e basta!”

Andrea Zaccaria si avvicina e toglie gli occhiali. Calvè scioglie le dita dalle dita e fa un passo indietro, oppure due. Come un ballerina indietreggia ancora, con passi lievi, voltandosi. Il portale si apre desto, in un elettrizzante beige. Coriandoli di luce, neve scintillante rosa e turchese. Teneri fiocchi di galassia imperlano i lineamenti di lei, che pare una fata. Reclina il capo all’indietro ed alza le braccia. Un cigno. Chiude gli occhi. Origami di stelle. Muovendo appena le labbra, petali o confetti, con un flebile fiato, sospira: “lo senti anche tu il suono reale del vento? Sconfinati prati verdi ci attendono”.

Che attendano pure”. Con un gesto deciso strappa la donna all’incantesimo, cingendola al fianco, trattenendola stretta al suo petto, mentre il suo ventre si piega esausto, come di sabina rapita, sulla sua spalla. “Mi spiace”, aggiunge a voce bassa.

§§§

Dove siamo?”

Siamo a casa mia, al sicuro”.

Come ti senti?”

Dov’è Bubi?”

Bubi?”

Il mio barboncino. Il mio barboncino è tornato?”

No, mi spiace, non so di cosa tu stia parlando”.

In una stanza da letto che di questo nome porta solo il materasso, Calvè si è risvegliata. Dopo giorni di sonno, immersa tra le umide coperte sfibrate dal tempo, il suo denso caschetto giallo pare fresco di parrucchiere. Intorno a sé, vecchi libri a terra. Colonne di carta e cartone, come rovine greche, tra mari di pavimento e di polvere. Si è scaldata le mani alla luce di un fornello da campo. Mani che si riflettono in altre mani di uomo, in una corona di fuoco blu.

Deve essere molto vecchia questa casa”

E’ vecchissima, ha più di due secoli. Era la casa della mia famiglia”.

E adesso?”

Adesso non è più agibile e ci vivo da clandestino. Da quando è arrivato il portale…”

Già, da quando è arrivato il portale…”

Cosa fai nella vita?”

Sono impiegato in un’azienda di logistica. In realtà progettiamo la pubblicità da stampare sui teloni dei cargo. Sai, oramai sono ovunque ed è un peccato non sfruttare quelle superfici a fini commerciali… e tu?”

Anch’io sono impiegata. La mia azienda progetta strade. E’ quella che ha studiato il grande cavalcavia centrale.”

Siamo l’indotto dei rifiuti, insomma”.

…”

E come ti chiami? Io mi chiamo Andrea, Andrea Zaccaria”

Io mi chiamo Adele Calvi. Ma gli amici mi chiamano Calvè, per via del mio caschetto biondo; giallo se preferisci”.

Adele si tocca i capelli, perfetti, quasi di bambola, quasi di canarino. La dimessa cornice dell’incontro rende la conversazione intima e romantica. I due sembrano sopravvissuti. Non pare abbiano di fronte un’altra giornata di lavoro. Sono scampati, emersi, approdati alla riva di una nuova interpretazione del reale. Non se lo sono ancora detti, o confidati, ma è questo che li accomuna: una differente interpretazione del reale. Le parole si accavallano e si intersecano. Il loro osservarsi si fa attento ai particolari: l’inclinazione delle bocche, la pozione dei denti, le loro sfumature nelle tonalità del bianco, gli sguardi e il loro appoggiarsi intorno alla sagoma dell’altro. Studiano le forme, le curve ed i declivi. Fuori il vento ed il ronzio costante.

Non ti è mai capitato di andare al supermercato e accorgerti di quanto sia brutta l’umanità?”

Si” risponde lei “non hai idea di quante volte l’ho pensato”.

Hanno tutti le facce stanche, oppure sudate, arrossate, rugose. Non so come dire, ma sembra davvero un museo degli orrori… per non parlare del sabato pomeriggio”.

Non parlarmi del sabato pomeriggio. Magari verso le sei. Hanno tutti il naso più grosso”.

Cosa?”

Si, hanno il naso più grosso. Ma dai, non lo hai mai notato? La pelle piena di capillari; e poi i peli che escono fuori dalle narici. Insomma, sembrano tutti dei gioppini con la gotta”.

Per non parlare delle mogli… ci pensi mai?”

Alle mogli di quelli del market?”

No, alla semplicità dell’umanità. Insomma, se così tanti mostri sono riusciti a riprodursi significa che siamo molto più semplici di quello che stimiamo. Seguiamo l’istinto alla vita. Punto e basta. Trasformiamo la Natura a seconda delle necessità del nostro stomaco: una donna del market può diventare bellissima dopo una lunga astinenza…”

Anche un uomo orrendo può diventare bello”

Si certo, anche un uomo, per carità”

Così come un portale dimensionale che apre un varco verso l’eden può essere trasformato”

in una discarica”

già, in una discarica”.

Perché non mi abbracci?”

Andrea si alza. Si siede al fianco di lei, stringendola con un pizzico di imbarazzo. Le braccia non si avvolgono alla sua cinta, non pesano dolci sulla spalla. Rimangono intorno a lei, strette quel che basta per non apparire appoggiate. Ma le parole continuano a fluire e il caschetto giallo di Calvè, nonostante tutto, emana ancora un tenue aroma di limone, oppure di cedro. L’essenza mediterranea, il piccolo calore del suo corpo esile e bello, sciolgono la sociale diffidenza di lui, che poco a poco si accosta a lei in modo reale: una presenza calda, solidale, includente.

La storia del market… siamo un po’ tutti dei rifiuti, non trovi?”

Perché parli così?”

Non so. Tu che fai le pubblicità sui container; io che lavoro per costruire strade su strade come un grande Big Mac di asfalto. In fondo il messaggio di quel portale è chiaro. Dice: venite a me. Il vostro mondo è finito. Venite e sarete riciclati”.

Riciclati non è un brutto termine per esprimere una seconda possibilità?”.

Beh ma se ci pensi è il solito messaggio di salvezza e redenzione… in fondo che futuro ha un pezzo di carta straccia? Riciclandolo doniamo lui la possibilità di ritornare ad essere un foglio di carta bianco. E’ come ricominciare da zero”.

Quindi tu pensi che quel portale…”

Ma certo! Io li ho visti: sconfinati prati verdi. Mentre Bubi veniva risucchiato ho visto come uno squarcio di luce. Mi è sembrato perfino di sentire un frastuono di cinguettii. Bubi forse è là che abbaia, poco lontano dalla montagna di container che stiamo spedendo in paradiso. Abbaia perché vuole che andiamo da lui. Che attraversiamo il portale. Che torniamo ad essere Adamo ed Eva. Andrea… questo mondo è finito. Forse”

“Sì. Forse dovremmo”.

Un cane corre.

L’erba verde.

Alle spalle la nebbia.

Un profumo di limoni.

La libertà.

___

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Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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4 Comments

  1. Tanta speranza e grande ironia, i miei complimenti!

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  2. Sei un visionario. Come fai ad immaginarti un portale dimensionale usato come discarica in piazza Santo Stefano (una delle più belle e romantiche di Milano)?
    Complimenti GMF per la sorniona critica alla società contemporanea. E grazie per quel filo di fiducia in quel sottile legame tra le persone. È quello già un paradiso. O no?

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    • Ciao Ago. Grazie del commento. Spesso frequento quella piazza, ed ogni volta, rimango stupito da quell’orrendo fabbricato che ne rovina l’armonia. Ho desiderato molte volte vederlo crollare, e da questo pensiero, è nata l’idea di una piazza piena di macerie che dovevano essere buttate via. La discarica in mezzo alla bellezza, se penso agli scempi architettonici che formano interi quartieri metropolitani, in fondo non è un’idea così visionaria… purtroppo è una presa d’atto di come, soprattutto dagli anni ’60 in poi, si sia dimenticato il valore dell’arte e della storia a favore dell’urbanizzazione scellerata e del facile guadagno.

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      • Hai ragione tu. Da quando quel maledetto svizzero ha disegnato finestre senza cornicioni, l’architettura ha preso un andazzo sbagliato, sacrificando sempre la bellezza a supposti criteri di funzionalità e modernità. Teniamo duro. Nei nostri cuori il seme del Bello ha comunque trovato terreno fertile. Sta a noi farlo germogliare.

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