Recensione di Carlotta Susca
Non è detto che un romanzo che descriva la fine del mondo debba fare i conti con la scomparsa della terra. Con un meteorite che azzeri ogni forma di vita, con esplosioni, e vulcani eruttanti, e maremoti.
La fine del mondo può anche essere declinata come fine dell’umanità – e in questo caso l’antropocentrismo ha ragione d’essere applicato: così come qualsiasi morte individuale è la fine di un mondo, l’estinzione di una specie è indubbiamente la scomparsa del mondo per come quella specie lo conosce. E se in genere la brutta fantascienza – penso ai film di Shyamalan – sembra minacciare universi solo perché il protagonista possa riconciliarsi con se stesso o con i propri cari, ricomporre litigi, riedificare le fondamenta di una relazione minata, la declinazione virtuosa del genere punta lo sguardo su pochi personaggi che siano però emblema dell’intero genere umano (perché l’antopocentrismo è la scelta più logica di una persona, ma a patto che non annulli l’esistenza di ogni altra forma di vita: non ci siamo solo noi, al mondo).
Il romanzo di Matheson – ormai noto per il film con Will Smith – ha il pregio di narrare il termine del mondo umano (senza dubbio una fine), ma l’autore non commette l’errore di interrompere ogni scenario al di fuori di quello che comprende l’uomo.
Se Robert Neville è leggenda, lo è perché, al pari dei vampiri che esisteranno dopo di lui, è destinato a diventare una creatura mitologica in un mondo popolato da una nuova specie, come lui considerata leggenda per tutto il periodo precedente alla fine del mondo raccontata nel libro.
E se tirare in ballo i vampiri ingenera oggi un giustificato senso di fastidio – ogni abbuffata dà la nausea – Matheson restituisce al lettore contemporaneo il piacere di leggere una storia di fantascienza, o di orrore, che fornisce spiegazioni scientifiche plausibili tali da rendere il testo coerente e credibile.
Neville è, sì, l’ultimo uomo sulla terra, ma su una terra che ha già pronta una nuova società, mutate le regole sociali, le condizioni fisiche, mutato il batterio dell’epidemia, perché l’entrata di Robert nella leggenda non avrebbe senso se non in presenza di un nuovo consesso di viventi – più o meno umani – in grado di ricordarsene.
Per uno scrittore statunitense è l’applicazione del paradosso di fondo insito nella cultura americana: la nascita di una società, che si pretende migliore (ciascuno lo pensa della propria), al prezzo dello sterminio della precedente.
Carlotta Susca [email protected]P.S.: circa il fatto, poi, che sulla copertina della mia edizione Fanucci 2003 campeggi Will Smith, che dire? Anche gli editori combattono contro l’estinzione – in spregio al buon gusto.
3 gennaio 2013
Mi unisco al j’accuse contro Shyamalan che altro non è se non un cialtrone e rinnovo l’invito a leggere questo libro. Da amante della letteratura di fantascienza lo consiglio assolutamente ma allo stesso tempo è, secondo me, un ottimo libro di una poesia desolante, rapidità di scrittura ed emozioni devastanti (l’episodio del cane è lacrimuccia assicurata). La trasposizione cinematografica non ha nulla a che vedere col romanzo che è diverso nella trama, nel significato e nell’epilogo.
Saluti