Recensione di Andrea Corona
«Come è potuto accadere? Sappiamo benissimo, da un pezzo, che noi uomini e la nostra civiltà siamo destinati a perire, ma una scomparsa così totale avvilisce lo spirito. Che è stato? Un urto violento? Un cataclisma? Oppure un lento degradare degli uni e un progressivo evolversi della altre? Propendo per quest’ultima ipotesi».
È nel giusto Ulisse Mérou, giornalista francese del XXVI secolo, autore di un manoscritto imbottigliato e lanciato nello spazio. Questo l’auspicio di Ulisse, che rivolge ai posteri il resoconto della sua straordinaria avventura: «Affido questo manoscritto allo spazio, non con la speranza di ottenere soccorso, ma per contribuire, forse, a scongiurare lo spaventoso flagello che minaccia la razza umana. Dio abbia pietà di noi!». La bottiglia verrà ritrovata, diversi secoli dopo, da un’allegra coppia di turisti in vacanza su un vascello spaziale. La vicenda riportata da Ulisse è quella relativa al viaggio su Soror, altrimenti detto Il pianeta delle scimmie.
Soror, nel sistema astrale di Bételgeuse, è un pianeta extrasolare. Nondimeno, la sua configurazione è gemella a quella della Terra. La spedizione di pionieri del professor Antelle e di Ulisse Mérou si imbatte, così, in una colonia di esseri umani, i quali, però, sembrano del tutto privi di facoltà cognitive e linguistiche superiori. La cognizione e la comunicazione, come pure l’ordinamento politico e sociale, non sono tuttavia assenti sul pianeta: Soror è infatti governato da una società di Simius sapiens, ovvero di scimmie antropomorfe, di cui gorilla, oranghi e scimpanzé costituiscono le caste. Dopo una serie di peripezie e conflitti coi burberi gorilla e coi saccenti oranghi, Ulisse riuscirà a stabilire un rapporto di tolleranza e amicizia con i più socievoli scimpanzé.
Il romanzo di Pierre Boulle, dai toni quasi favolistici, raggiunge il culmine nell’ultima delle tre parti, quando, attraverso l’angosciante sequenza ambientata nel laboratorio, le atmosfere si fanno più cupe e orrorifiche. Scienziati e biologi all’avanguardia, gli scimpanzé conducono esperimenti sugli esseri umani, sino a stimolare la memoria di una donna: «Il geniale Helius è riuscito a risvegliare in lei non soltanto la memoria individuale, ma anche quella della specie. Sotto l’eccitazione elettrica, riaffiorano nei suoi discorsi i ricordi di una remotissima stirpe di antenati; atavici ricordi che risuscitano un passato vecchio di migliaia di anni». E la confessione inconscia della donna, autentica rivelazione per Ulisse, sembra racchiudere l’intero significato del romanzo:
«Ciò che sta avvenendo era da prevedersi. Una pigrizia mentale si è impadronita di noi. Niente più libri; perfino i romanzi polizieschi sono divenuti una fatica intellettuale troppo grande. Niente più giochi, a malapena qualche solitario. Nemmeno il cinema per ragazzi ci alletta più. E intanto le scimmie meditano, in silenzio. Il loro cervello si sviluppa nella riflessione solitaria… e parlano… Noi siamo rimasti qui, al nostro posto, soprattutto per pigrizia. Dormiamo, siamo incapaci di organizzarci per la resistenza… Aiuto! sono loro, sono le scimmie! sta arrivando il loro esercito: non brandiscono che delle fruste!
Il pianete delle scimmie è dunque un libro sull’involuzione umana. A questo punto, un rimando d’obbligo spetta a L’uomo dai denti tutti uguali. «Eccola, la sentenza di Philip Dick: gli uomini di Neanderthal non sono i nostri antenati, ma i nostri successori; non il nostro passato, ma il nostro futuro. L’evoluzione ha fatto marcia indietro, e la razza umana si sta involvendo» scrivevo in quella circostanza. Ma Il pianete delle scimmie è altresì intriso di una forte ironia (in più punti mi ha ricordato i romanzi di Fredric Brown). Ricordate la coppia di viaggiatori che raccoglie il disperato messaggio di Ulisse? Ebbene, come scopriamo nell’epilogo, Jinn e Phyllis – questo il nome dei turisti – sono scimmie. Due scimpanzé che scambiano il resoconto di Ulisse per la scadente opera di un autore di fantascienza: «Uomini ragionevoli? Uomini dotati di saggezza? Uomini ispirati dallo spirito?… No, non è possibile. Qui, il narratore ha passato la misura. Peccato!»
Ulisse, fuggito da Soror, fa ritorno sulla Terra, dove scorge con sollievo la torre Eiffel. Ma nel frattempo molti anni luce sono trascorsi, e ormai la Francia, come l’Europa e come il mondo intero, è sotto il comando delle scimmie. Personalmente, il fatto che Il pianeta delle scimmie sia un romanzo francese mi fa pensare a quel “farsi abitudine o meccanismo automatico” indicato da Montaigne, Cartesio e Pascal con l’espressione abêtir, che letteralmente vuol dire “abbruttire” e “inebetire” e che rimanda a bête, parola francese che designa la bestia e l’ebete. L’esito di Pierre Boulle è dunque chiaro: un mondo senza libri e senza pensieri non può portare che a un imbarbarimento degli uomini, facendoli abêtire trasformandoli in automi, in arance meccaniche. Tutto il resto è fine del mondo umano.
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Andrea Corona