Recensione di Ilaria Bonfanti
Nel mondo della letteratura italiana del ‘900, Carlo Emilio Gadda è sempre rimasto un po’ nell’ombra. Lo si studia poco, viene lasciato lì all’angolo quasi si trattasse di una “presenza scomoda” con la quale si preferisce non avere a che fare. Gadda c’è ma se ne parla sempre poco.
Chissà perché, mi viene automatico chiedermi.
La risposta credo stia principalmente nella sua “difficoltà”, e non solo di linguaggio: quel plurilinguismo denso di tecnicismi che tanto lo rendeva, e lo rende tuttora, farraginoso ai lettori. I fattori che fanno sì che risulti ancora oggi poco amato sono molteplici e diversificati; in primis, bisogna proprio dirlo: non è simpatico, anzi, si pone in maniera distaccata nell’analizzare con sarcasmo sia la borghesia milanese che la grettezza del proletariato. Il tutto fatto nella sincera volontà di giudicare. Il lettore passa ore a rileggere periodi articolati, a cercare di capire perché pagina dopo pagina vi sono ostacoli “letterari”, va a ricercare parole peregrine sapendo che non può distrarsi perché è costantemente messo alla prova dall’autore e, tutto questo per cosa? Per trovarsi di fronte a giudizi duri e continui che non esimono nessuno, nei quali però non si può non leggere grande verità e forza.
Personalmente la sincerità di Gadda mi ha sempre impressionata piacevolmente e, devo dirlo, anche la scelta di rientrare nella “famiglia” delle letture decisamente complicate.
Fortuna volle che durante i miei anni universitari, nel corso di Letteratura contemporanea, la parte monografica fosse proprio sull’Ingegnere. Questo esame mi consentì di approfondire i suoi scritti, addentrandomi anche in libri meno conosciuti come, appunto, “La Meccanica”.
Nel libro si trovano già tutti i contenuti della narrativa gaddiana: Milano, la cronaca di guerra e tutto quello che le sta attorno, la satira contro il mondo borghese, incarnato dalla famiglia Velaschi, della quale fa parte il giovane Franco appassionato di meccanica. Egli insieme alla bella, anzi stupenda, Zoraide e a Luigi Pessina costituisce il triangolo amoroso di cui narra il romanzo.
Triangolo che però viene affrontato dall’autore senza troppo interesse, o meglio, l’attenzione va ai personaggi in sé, alla loro caratterizzazione ben precisa, alla scelta mirata di farli arrivare da contesti sociali differenti e, partendo da questo piano piano “creare la storia”.
Le peculiarità narrative del nostro autore, come accennavo prima, ci sono già tutte, quello che manca è la complessità della lingua. Intendiamoci, la lettura de “La Meccanica” non è una lettura da spiaggia; vocabolario alla mano, Gadda rimane sempre un grande estimatore di parole non di tutti i giorni, di dialettismi e di neologismi coniati da lui stesso. Posto questo non posso non notare la differenza con i suoi scritti più maturi dove plurilinguismo e linguaggio oscuro e tortuoso fanno da padroni.
Rileggendo questo romanzo, ho ritrovato il desiderio di riscoprire Milano. Le descrizioni della città andavano ad alimentare la voglia di cambiare idea sulla capitale lombarda, rimangiandomi le critiche che non le ho mai risparmiato.
Ebbene sì, così come mi era successo durante quei mesi di studio universitario, da antimeneghina come mi son sempre definita, anche questa volta lo scrittore è riuscito a farmi guardare Milano con occhi diversi.
L’atmosfera di ringhiera viene descritta senza troppi luoghi comuni e privata di quella patina emozionale che troppi autori locali utilizzano a sproposito, offuscandone i lati negativi. Quegli aspetti che, a parer mio, danno consistenza ad una città, rendendola reale e, quindi, bella davvero.
Si parla sempre poco di Carlo Emilio Gadda e sono contenta che in questo speciale se ne sia parlato un bel po’, nel bene e nel male.
6 giugno 2013
grazie riccardo!!!!