Recensione di Marco La Terra
I miti destinati all’eternità sono le persone che cominciano a vivere una volta morte.
Amedeo Modigliani è uno di questi: un mito eterno.
Non solo pittore geniale e scultore d’eccezione ma, in generale, l’incarnazione di due stili esistenziali radicalmente opposti, di vita e di morte: l’amore per l’arte, ovvero l’aspetto più metafisico dell’esistenza umana, si fonde in Modì con una rassegnata (e talvolta pervicace) assuefazione alla morte, unica condizione capace di condurre l’Essere Umano a soglie di perfezione artistica quasi divina.
Ecco spiegato il mito Modigliani: un uomo talentuoso e geniale disposto a logorarsi, fino all’estremo sacrificio, in nome della propria arte, considerata un valore superiore rispetto agli affetti familiari, alle amicizie, addirittura all’amore.
La ricerca della perfezione artistica domina e soffoca tutto il resto, senza eccezione alcuna.
In effetti, leggendo questo breve libro composto dalla figlia Jeanne (grazie al prezioso ausilio di Christian Parisot, biografo ufficiale di Modì), non emerge un ritratto dell’artista quale uomo, bensì dell’artista in quanto tale.
Ciò a dire che, nell’arco della sua breve esistenza, la dimensione affettiva di Modigliani risulta filtrata, e per certi versi imprigionata, dalla sua stessa arte.
Mi spiego.
Nulla viene detto in merito ai rapporti affettivi fra Amedeo e la propria famiglia d’origine, una volta giunto a Parigi, né viene fornito un affresco della sua dimensione extra familiare (si rilevano semplici dati di fatto, come il rapporto burrascoso con Beatrice Hastings o l’esistenza di poche consolidate amicizie, enunciate ma mai descritte nei dettagli).
Questo perché, ad avviso di chi scrive, il Modigliani – uomo fu sempre un essere sfuggente, intuibile nelle orbite vuote dei protagonisti delle sue tele, nelle linee decise del disegno o nella tecnica di stesura del colore ma, nella sostanza, indefinibile e inscindibile dalla stessa atmosfera dei suoi quadri.
Modigliani, mio padre (Abscondita, 2005) è un libro che si pone l’obiettivo di emendare la verità storica che circonda la figura dell’artista dalle mistificazioni postume nate per esigenze letterarie, economiche o affettive, tramandate dalle persone che lo conobbero direttamente.
Il risultato di quest’atto di onestà intellettuale, che è insieme gesto d’amore verso un uomo complesso e geniale e ossequio nei riguardi della verità storica, viene mirabilmente definito a chiusura dell’opera: “sono state scritte migliaia di mediocri pagine sulla pretesa debolezza dell’artista preda delle droghe e dell’alcool, sulle sue crisi, sui suoi eccessi, ma tutto questo rientra nella realtà pseudoromantica che identifica la follia, la sregolatezza con la creazione artistica. Certo, Modigliani può aver rischiato la follia, può aver ricercato l’eccesso, ma è la sua opera che va giudicata. E la sua opera dice che Modigliani è una pietra miliare nell’arte del Novecento, un artista senza seguito, unico nella sua maniera di essere.
Unico e grande”.
[email protected]